Aveva smesso di nevicare da un paio dâore e il cielo sâera riempito di tutte le stelle che lâocchio umano è in grado di distinguere. Ai bordi della strada che sâinerpicava su per la muntagna, cumuli di neve seppellivano i muretti di pietra lavica. CosĂ imbiancato, il paesaggio intorno, invisibile nel buio della notte, doveva essere uno spettacolo.
Bosco, roccia, di nuovo bosco, ancora roccia. Nunzio Scimemi quella strada la conosceva a memoria. A occhi chiusi lâavrebbe potuta percorrere, nonostante il ghiaccio. Facendo uno sforzo di memoria avrebbe perfino potuto tracciarne il vecchio percorso, quello che la colata lavica del 1983 aveva spazzato via.
â Santa Panda 4 x 4, â sospirò. â Macari sul ghiaccio cammina.
Non ebbe il tempo di finire la frase che le ruote posteriori slittarono. Sterzò e riprese il controllo.
Tanuzza lo guardò storto.
â Non è che per colpa di una fissazione tua dobbiamo finire contro un albero?
Nunzio sbuffò: â Ma quale fissazione e fissazione, ho paura di essermi scordato una finestra aperta. Se mai sia entra qualche animale, domani mattina il capo cantiere si mette a sdilliriare con me. GiĂ non mi può vedere, e ogni cinque minuti cerca scuse per ghittarmi fora, ci manca solo che faccio uno sbaglio e mi ritrovo disoccupato in mezzo minuto.
Tanuzza non replicò. Non avrebbero trovato nessuna finestra aperta, lei lo sapeva. Nunzio cercava solo scuse per andare a controllare la sua roccaforte di apparecchiature e ponti radio che soggiornavano nellâammezzato di quellâalbergo in disarmo di cui lui era rimasto unico custode fino a pochi anni prima e che adesso, finalmente, stava per rivedere la luce.
Una volpe attraversò la strada, si fermò un attimo a fissare lâauto e scomparve nel nulla.
â Nunzio, io te lo dico: dalla macchina non scendo, manco davanti allâalbergo. âSa quanti animali ci sono in giro a questâora!
â Ma quali animali! E poi davanti allâalbergo oramai accesero un faro che illumina fino a Nicolosi.
Le ultime curve, poi svoltarono a sinistra. La strada si restringeva, diventava ancora piĂş isolata, ma per fortuna la neve era stata spalata anche lĂ. Il direttore dei lavori sicuramente aveva pensato anche a questo, altrimenti lâindomani mattina per raggiungere il cantiere ci sarebbe voluto il gatto delle nevi. Manco il 26 di dicembre riposava, quel cristiano.
Il Grand Hotel della Montagna apparve come unâombra scura, illuminata per metĂ dal faro puntato sul piazzale dovâerano radunati i mezzi da lavoro.
Nunzio scese dallâauto e andò ad aprire il cancello. Entrò fin dovâera possibile.
â Meno male che mi misi i doposci, â constatò. Si voltò verso Tanuzza. â E che obbligai macari a tia a metterteli, â aggiunse, ridendo della sua espressione sempre piĂş contrariata. Niente, non câera che fare: Tanuzza Tomasello non era cosa di montagna. Del resto, ad Aci Trezza era vissuta. Tutta la vita fino ai sessantâanni. Figlia e sorella di pescatore, moglie â anzi vedova â di pescatore e pescatrice lei stessa. Come sâerano potuti accucchiare, tre anni prima, Nunzio ancora non se lo spiegava. Ma tantâera. E per giunta pure dâamore e dâaccordo andavano.
Quasi sempre.
â Avaâ, Tanuzza, scendi, che qua da sola non ti ci posso lasciare.
La donna sospirò rassegnata. AprĂ la portiera e mise a terra un piede, inguainato in un Moon Boot rosso tirato fuori da uno scatolone di roba anni Ottanta risalente ai tempi in cui lei e la buonanima di suo marito portavano i picciriddi sullâEtna. I tempi in cui lâalbergo era nel pieno della sua attivitĂ .
Cercando di evitare i cumuli di neve piĂş alti, raggiunsero lâingresso.
Nunzio tirò fuori le chiavi ed entrò, seguito da Tanuzza.
â Ragione avevi, â fece subito lei.
â Qualche finestra aperta câè, â confermò lui, stupito. In effetti era quasi certo di aver chiuso tutto bene.
Accese un faro che gli operai avevano piazzato nellâingresso e la reception sâilluminò. Spoglia, quasi spettrale.
Tanuzza rabbrividĂ: â Mi fa troppa impressione.
Nunzio annusò lâaria. Lo spiffero freddo proveniva dalla sala comune, quella col camino che era giĂ stata parzialmente ristrutturata.
â Torno subito. Tu mettiti lĂ , dietro il bancone.
Tirò fuori una torcia e raggiunse il salone.
Puntò la luce sui finestroni e vide che uno era socchiuso. Si spinse fino al camino, davanti al quale aveva intravisto unâombra, finchĂŠ non urtò qualcosa col piede. Spostò la torcia in direzione del pavimento, davanti a sĂŠ.
Il cuore gli si fermò.
Tornò indietro di corsa, per puro caso non inciampò in un cavo lasciato là per terra dagli operai. Afferrò Tanuzza, la trascinò fuori e si chiuse la porta alle spalle mentre tentava di estrarre il telefono dalla tasca. Le mani gli tremavano al punto che lo fece cadere due volte.
â Nunzio, che successe? Un fantasma pari, per quanto sei pallido! â disse la donna, preoccupata.
Non le rispose, impegnato a chiamare il numero giusto senza sbagliare.
â Pronto, polizia? Dovete venire subito⌠â Prese fiato. â Al Grand Hotel della Montagna.
Vanina si svegliò di soprassalto. Annaspò per due minuti in preda allo smarrimento tipico di quando si cambia letto e stanza, cercando a tentoni il telefono che nel frattempo aveva smesso di suonare. Accese la luce e guardò lâora: le 4.37. Santiando in aramaico cercò di capire dove fosse finito lâiPhone nuovo di zecca che aveva appena ricevuto per Natale in sostituzione di quello vecchio, che ormai si scaricava ogni mezzâora. Lo trovò incastrato tra il materasso e la spalliera.
La notifica della chiamata senza risposta divideva in due lo screensaver con la foto dellâAddaura che da anni Vanina passava di telefono in telefono. Aggrottò la fronte e richiamò. Se lâispettore Marta Bonazzoli la cercava a quellâora di notte poteva significare solo una cosa: che in territorio catanese un morto ammazzato sâera manifestato, piombando tra capo e collo del funzionario di turno alla sezione Reati contro la persona della Mobile etnea. La sezione che da piĂş di un anno era diretta da lei: il vicequestore aggiunto Giovanna Guarrasi, detta Vanina.
â Marta, che fu?
Il rumore di sottofondo indicava che la poliziotta era in auto. Alla guida, manco a dirlo.
â Vanina, perdonami se ti ho disturbata a questâora, ma sono sicura che non avresti gradito se avessi aspettato fino a domattina.
â Va bene, non ti preoccupare. Ora però evitiamo di perderci in preamboli inutili e andiamo al dunque, â un rumore di ferraglia disturbò la comunicazione. â Ma dove sei? â chiese Vanina.
â Su una delle strade che portano in cima allâEtna.
â Stai salendo su adesso? Da sola? â fece Vanina stupita.
â No, sto ridiscendendo. E non sono sola, câè Spanò con me.
â Buongiorno, dottoressa, â fece lâispettore capo.
â SĂ, buongiorno: buonanotte, Spanò, â lo corresse lei. Si tirò su appoggiandosi alla spalliera e sfilò una Gauloises dal pacchetto sul comodino. Si ricordò che in casa di sua madre non si fumava in camera da letto e non lâaccese. Sospirò, preparandosi ad ascoltare.
â AmunĂ, forza, cuntatemi tutto.
Parlò Marta.
â Alle tre del mattino un tizio ha chiamato in questura dicendo che al Grand Hotel della Montagna câera il cadavere di una donna.
â E che è âsto Grand Hotel della Montagna? Mai sentito nominare.
Riemerse la voce di Spanò: â Dottoressa, è un vecchio albergo, uno tra i primi costruiti sullâEtna. Fino a una certa epoca fu macari molto frequentato. Poi verso lâ83 unâeruzione di chidde belle sostanziose lo isolò completamente, e da allora non ebbe sorte. Ă chiuso da anni, ma ora, a quanto pare, lo stanno ristrutturando.
â Continuate.
Marta riprese la parola. â I colleghi della questura hanno passato la chiamata a noi. Lâuomo si chiama Nunzio Scimemi. Ma era abbastanza scioccato e non ha saputo darmi spiegazioni. Ha detto che ci avrebbe aspettato lĂ.
â E lâha fatto?
â SĂ sĂ. Quando siamo arrivati lâabbiamo trovato chiuso in macchina con la compagna. Tremavano come foglie. Non so se per la paura o per il freddo. Non vedevo tanta neve dallâultimo Natale che ho passato in Val Camonica con i miei.
â Addirittura! â Detto da una bresciana abituata alle nevicate alpine lasciava un poâ perplessi, ma lâEtna era capace di questo e altro, ormai Vanina lâaveva capito. Una convivenza tra ghiaccio e fuoco che a pensarla pareva impossibile. E invece. â Vogliamo concludere? âSta donna morta ammazzata chi era?
â Ecco, appunto, il problema è proprio questo.
â Marta, non mi fate incazzare, cosa significa che il problema è proprio questo?
â Che quando lâispettore e io siamo entrati col signor Scimemi nel salone dellâhotel non câera assolutamente nessuno. NĂŠ morto nĂŠ vivo.
Vanina ci riflettĂŠ un momento.
â Siamo sicuri che âsto Scimemi non vi pigliò per i fondelli?
Stavolta rispose Spanò: â SĂ, dottoressa. Piuttosto, conoscendolo, è capace che se lâimmaginò.
â PerchĂŠ, lei lo conosce?
â Un poco.
â E cosa le fa sospettare che abbia immaginato tutto?
â Beâ, Nunzio Scimemi è sempre stato una persona, come dire⌠tanticchia immaginifica...