La strada smarrita
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La strada smarrita

Breve storia dell'economia italiana

Gianni Toniolo, Carlo Bastasin

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La strada smarrita

Breve storia dell'economia italiana

Gianni Toniolo, Carlo Bastasin

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Il lungo percorso che aveva portato gli italiani dalla povertà al benessere è stato smarrito di fronte alle sfide dell'economia globale. Nonostante i rischi attuali, la storia recente mostra che l'Italia non è condannata.

Nell'ultimo decennio dell'Ottocento l'Italia inizia la rincorsa dei paesi più avanzati e alla fine del ventesimo secolo raggiunge un reddito per abitante non dissimile da quello di Germania, Francia e Regno Unito. È un percorso di successo, che crea un'economia moderna. Da un quarto di secolo, tuttavia, l'economia italiana cresce assai meno della media europea. I fattori di sviluppo che avevano funzionato nel dopoguerra si sono rivelati inadatti all'economia globale. Pesano mali antichi mai curati: bassi livelli di istruzione, prassi burocratiche e giudiziarie obsolete, gestioni aziendali poco trasparenti. Il reddito perduto con la crisi del 2008-2013 non è stato ancora recuperato. La differenza tra il benessere economico degli italiani e quello degli altri europei e dei nordamericani è tornata ai livelli degli anni Sessanta. Il clima di incertezza politica, finanziaria e istituzionale scoraggia gli investimenti, crea un ambiente ostile alla crescita e rischia di provocare un avvitamento dell'economia. Eppure ci sono stati momenti recenti nei quali l'Italia sembrava potesse riprendersi, segno che non è condannata a un perenne ristagno. Con questo libro, Carlo Bastasin e Gianni Toniolo ripercorrono la strada di un robusto sviluppo e indagano i motivi che l'hanno fatta smarrire per capire come fare a ritrovarla.

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Information

Year
2020
ISBN
9788858141694

1.
Un secolo di sviluppo
tra due periodi di ristagno

1.1. I frutti della crescita economica italiana

Al momento dell’unificazione politica, nel marzo 1861, la penisola italiana era un’area povera e arretrata. Povera, perché il tenore di vita medio della maggior parte dei suoi abitanti era poco lontano dalla mera sussistenza; arretrata, perché il reddito per abitante era considerevolmente inferiore a quello medio dell’Europa occidentale, in particolare a quello del Regno Unito e della Francia, simili al neonato Regno d’Italia per dimensione demografica.
Cerchiamo di quantificare sinteticamente le due dimensioni della povertà e dell’arretratezza. Per farci un’idea della prima, cominciamo col dire che il Prodotto interno lordo (Pil) per abitante, cioè la quantità di beni e servizi prodotta annualmente per ogni cittadino del nuovo regno, può essere stimata attorno ai 2050 euro attuali, cioè 170 euro al mese, un reddito non superiore a quello della maggior parte degli odierni paesi dell’Africa sub-sahariana. I 170 euro mensili, tuttavia, erano molto mal divisi tra gli italiani: il 44 per cento di essi doveva arrangiarsi a vivere con meno di 83 euro al mese, cioè sotto la linea della povertà assoluta (Vecchi 2017: 359).
Il Pil è solo uno degli elementi, seppure assai importante, del tenore di vita di una popolazione. Altre rilevanti dimensioni del benessere, peraltro abbastanza correlate al Pil, confermano la povertà degli italiani negli anni attorno al 1861. La vita media non raggiungeva i 30 anni (Vecchi 2017: 90), soprattutto, ma non solo, a causa di un’elevata mortalità infantile: oltre un quarto dei nuovi nati non arrivava al primo compleanno. Nemmeno nel più povero paese odierno la durata media della vita è breve quanto quella dell’italiano di allora. L’istruzione era privilegio di pochi. Nel 1861 sapeva leggere e scrivere solo il 26 per cento degli italiani in età superiore ai 15 anni, l’analfabetismo era molto più elevato nelle regioni meridionali, dove raggiungeva l’86 per cento, che nel Centro-Nord. Il nuovo regno nacque, dunque, povero e sotto il peso di forti disuguaglianze sia di reddito, sia di ricchezza, tra le persone e tra le diverse aree geografiche (i sette Stati che si unirono nel 1861-71).
L’Italia era anche un paese arretrato (Tabella 1). Vedremo presto l’importanza di soffermarsi sull’arretratezza, che rappresenta una variabile centrale nella nostra storia. Se il concetto di povertà, pur con tutte le difficoltà insite nel definirla e misurarla, è basato sulla scarsità di beni e servizi disponibili in media ai membri di un dato paese, indipendentemente dal confronto con altri, quello di arretratezza è un concetto intrinsecamente relativo. Si può essere arretrati, essere indietro, solo rispetto ad altri. Attorno alla metà dell’Ottocento, tutti i paesi erano “poveri” secondo i parametri di valutazione che usiamo oggi, ma alcuni erano assai meno poveri di altri.
Tabella 1. Livello del reddito per abitante italiano rispetto ad altri paesi (%) (Dollari Usa 1990, a parità di potere d’acquisto).
Usa
Germania
Francia
Regno Unito
1861
61*
91
82
50
1896
46
59
61
38
1913
46
70
70
52
1938
54
66
74
53
1973
64
89
83
90
1995
70
89
94
98
2007
62
96
88
85
2016
53
77
78
72
*1870
Fonti: dal 1861 al 1973: Maddison 2010, Historical Statistics of the World Economy, 0 – 2008, Oecd, Paris (http://www.ggdc.net/MADDISON/oriindex.htm); dal 1995 al 2016, The Conference Board (https://www.conference-board.org/data/).
Lo “sviluppo economico moderno”, che aveva preso l’avvio nelle Isole britanniche tra fine Settecento e inizio Ottocento con la Prima rivoluzione industriale, si stava diffondendo lentamente e in modo ineguale all’Europa nord-occidentale, alla Francia, alla Germania e, successivamente, alle penisole italiana e iberica e all’Europa orientale. Attorno al 1861, la mappa della diffusione dello “sviluppo economico moderno” si andava delineando chiaramente e con essa quella dell’arretratezza di ogni paese rispetto al “primo paese industriale”, il Regno Unito, che godeva allora del più elevato Pil per abitante, benché già minacciato in questo primato dagli Stati Uniti. Seguivano Francia e Belgio. La “rivoluzione industriale” tedesca era iniziata da appena un ventennio, quella italiana cominciava a delinearsi con la diffusione della meccanizzazione nell’industria tessile nel Nord-Ovest del paese. Per l’Italia, al momento dell’unificazione, basta ricordare – tenendo conto che si tratta di ordini di grandezza piuttosto che di misure precise – che il suo Pil per abitante era circa la metà di quello del Regno Unito, circa l’82 per cento di quello francese, e il 90 per cento di quello che nel 1871 diverrà l’Impero tedesco (Tabella 1). Se al momento della nascita un italiano medio poteva sperare di vivere solo fino a 30 anni, un francese o uno svedese avevano una aspettativa di vita di 45 anni. Il tasso di mortalità infantile italiano era il più alto in Europa dopo quello tedesco (Vecchi 2017: 108). Nel 1870, gli italiani avevano avuto in media meno di un anno di istruzione formale, contro i quattro anni ...

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