Capitolo 1
La lunga recessione
Per comprendere la nostra situazione attuale, è necessario individuare come questa si leghi a ciò che lâha preceduta. Alla luce della storia, fenomeni che sembrano novitĂ radicali, potrebbero rivelarsi delle semplici continuitĂ . In questo capitolo sosterrò la tesi che tre momenti nella storia relativamente recente del capitalismo siano particolarmente rilevanti per la presente congiuntura: la risposta alla recessione degli anni Settanta; il boom e la recessione degli anni Novanta; la risposta alla crisi del 2008. Ognuno di questi momenti ha creato le condizioni per la nuova economia digitale e ha determinato i modi in cui essa si è sviluppata. Tutto ciò deve essere come prima cosa collocato nel contesto del nostro vasto sistema economico capitalistico e degli imperativi e delle restrizioni che questo impone a imprese e lavoratori. Ă vero che il capitalismo rappresenta un sistema incredibilmente flessibile, ma è anche dotato di caratteristiche rigide, che funzionano come parametri di massima per qualsiasi periodo storico dato. Se vogliamo comprendere le cause, le dinamiche e le conseguenze della situazione odierna, dobbiamo come prima cosa capire come opera il capitalismo.
Il capitalismo, caso unico tra tutti i modi di produzione conosciuti finora, è incredibilmente efficace nellâinnalzare i livelli di produttivitĂ . Questa è la dinamica chiave che esprime la capacitĂ senza precedenti delle economie capitalistiche di crescere a grande velocitĂ e di aumentare gli standard di vita. Cosa rende il capitalismo diverso? Ciò non può essere spiegato attraverso meccanismi psicologici, come se da un certo punto in poi avessimo deciso tutti insieme di diventare piĂš avidi o piĂš efficienti nella produzione rispetto ai nostri antenati. Piuttosto, quello che spiega la crescita di produttivitĂ del capitalismo è un cambiamento nelle relazioni sociali, e particolarmente nei rapporti di proprietĂ . Nelle societĂ precapitalistiche, i produttori avevano accesso diretto ai propri mezzi di sussistenza: la terra da coltivare e da abitare. In quelle condizioni, la sopravvivenza non dipendeva in maniera sistematica dallâefficienza del processo di produzione di ciascuno. I capricci dei cicli naturali potevano significare che il raccolto non sarebbe stato adeguato in un certo anno, ma queste erano ristrettezze contingenti e non di sistema. Lavorare abbastanza duramente per accedere alle risorse indispensabili alla sopravvivenza era lâunica cosa necessaria. Con il capitalismo, questo cambia. Gli agenti economici si separano dai mezzi di sussistenza e, per assicurarsi quanto necessario a sopravvivere, devono ora rivolgersi al mercato. Anche se esistevano giĂ da migliaia di anni, sotto il capitalismo gli agenti economici si trovarono ad affrontare in maniera mai sperimentata prima la dipendenza generalizzata da questi. La produzione si orientò, di conseguenza, al mercato: bisognava vendere beni per mettere assieme i soldi necessari ad acquistare i beni di sussistenza. Tuttavia, visto che unâenorme quantitĂ di persone ora faceva affidamento sulla vendita, i produttori dovettero affrontare pressioni competitive. Con prezzi troppo alti, i loro beni non sarebbero stati venduti, e in breve tempo avrebbero assistito al collasso delle loro attivitĂ . La dipendenza generalizzata dal mercato portò come risultato allâimperativo sistemico di ridurre i costi di produzione in relazione ai prezzi. A questo si può arrivare in diversi modi; tuttavia i metodi piĂš significativi furono lâadozione di tecnologie e tecniche efficienti nel processo di lavorazione, la specializzazione e il sabotaggio dei concorrenti. Alla fine il risultato di queste azioni competitive fu espresso nelle tendenze a medio termine del capitalismo: i prezzi declinarono tangenzialmente fino al livello dei costi, i profitti tra settori industriali differenti tesero a diventare uguali e la crescita senza sosta si impose come logica ultima del capitalismo. Quello dellâaccumulazione divenne un elemento implicito e scontato allâinterno della trama di qualsiasi decisione dâaffari: chi assumere, dove investire, cosa costruire, cosa produrre, a chi venderlo, e cosĂŹ via.
Una tra le conseguenze piĂš importanti di questo modello schematico di capitalismo è che esso chiede un costante rinnovamento tecnologico. Nello sforzo di tagliare i costi, battere i concorrenti, controllare i lavoratori, ridurre il tempo di rotazione e guadagnare quote di mercato, i capitalisti sono incentivati a trasformare continuamente il processo lavorativo. Ciò è stato allâorigine dellâimmenso dinamismo del capitalismo, poichĂŠ i capitalisti tendono ad aumentare costantemente la produttivitĂ del lavoro e cercano di superarsi lâun lâaltro nel generare utili in maniera efficiente. La tecnologia però è centrale nel capitalismo anche per altre ragioni, che esamineremo in maggior dettaglio piĂš avanti, ed è stata spesso utilizzata per ridurre la manodopera e indebolire il potere dei lavoratori specializzati (anche se esistono controtendenze che puntano a riqualificare la manodopera). Le tecnologie âdespecializzantiâ consentono a lavoratori meno costosi e piĂš flessibili di soppiantare quelli specializzati, e anche a trasferire i processi mentali lavorativi al management piuttosto che lasciarli nelle mani di chi lavora in officina. Dietro questi cambiamenti tecnici, tuttavia, ci sono la competizione e la lotta â sia tra classi, prese dal tentativo di guadagnare forza lâuna a scapito dellâaltra, che tra capitalisti, che cercano di abbassare i costi di produzione al di sotto della media sociale. Ă questa seconda dinamica, in particolare, che gioca un ruolo chiave nei cambiamenti che sono al centro di questo libro. Ma prima di poter capire lâeconomia digitale dobbiamo prima guardare a un periodo precedente.
La fine dellâeccezione postbellica
SarĂ via via sempre piĂš ovvio a molti di stare vivendo in unâepoca che deve ancora venire a patti con il crollo degli assetti del dopoguerra. Thomas Piketty sostiene che la riduzione della disuguaglianza dopo la Seconda guerra mondiale è stata unâeccezione alla regola generale del capitalismo; Robert Gordon ritiene che la grande crescita di produttivitĂ della metĂ del Diciannovesimo secolo sia stata unâeccezione alla regola storica; numerosi pensatori appartenenti alla sinistra, inoltre, hanno sostenuto a lungo che il dopoguerra fu per il capitalismo un periodo positivo in maniera non sostenibile. Quel momento eccezionale, definito a grandi linee dal liberalismo incorporato a livello internazionale, dal consenso socialdemocratico a livello nazionale e dal Fordismo a livello economico â è in caduta libera fin dagli anni Settanta.
Cosa caratterizzava la situazione postbellica delle economie ad alto reddito? Per quanto riguarda gli scopi di questo libro, due elementi (anche se non esaustivi) sono stati di cruciale importanza: il modello di business e la natura degli impieghi. Dopo la devastazione della seconda guerra mondiale, lâindustria manifatturiera americana era in una posizione dominante a livello globale. Era caratterizzata da grandi impianti di produzione costruiti secondo le linee fordiste, dal nome dellâindustria automobilistica che fungeva da paradigma. Queste fabbriche erano orientate alla produzione di massa, controllo manageriale top down e approccio just in case, che richiedeva lavoratori e forniture extra in caso di picchi nella domanda. Il processo di lavoro era organizzato secondo i principi tayloristici, che miravano a suddividere ogni mansione in compiti dequalificati piĂš piccoli, riorganizzandoli nel modo piĂš efficiente possibile; i lavoratori erano raccolti in gruppi numerosi in singole fabbriche. Da questa situazione prese corpo il lavoratore di massa, capace di sviluppare unâidentitĂ collettiva sulla base del fatto che câerano altri lavoratori come lui che condividevano le sue stesse condizioni. I lavoratori di questo periodo erano rappresentati da sindacati che cercavano un equilibrio con il capitale e reprimevano iniziative piĂš radicali. La contrattazione collettiva garantĂŹ una crescita dei salari piuttosto rapida, e i lavoratori furono sempre piĂš impacchettati nelle industrie manifatturiere con lavori piĂš o meno a tempo indeterminato, salari alti e pensioni garantite. Nel frattempo, lo stato sociale redistribuiva il denaro a chi rimaneva fuori dal mercato del lavoro.
PoichĂŠ i concorrenti piĂš prossimi erano stati devastati dalla guerra, lâindustria manifatturiera americana ne approfittò diventando la superpotenza dellâera post-bellica. Eppure Giappone e Germania avevano un loro vantaggio comparativo â in particolare, i costi relativamente bassi del lavoro, una forza lavoro qualificata, tassi di cambio vantaggiosi e, nel caso del Giappone, una struttura istituzionale di grande supporto â tra governo, banche e aziende cruciali. In piĂš, il Piano Marshall aveva gettato le basi per lâespansione dei mercati di esportazione e per la crescita dei livelli di investimento in tutti questi paesi. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Ventesimo secolo, il settore manifatturiero giapponese e tedesco crebbe rapidamente sia in termini di rendimento che di produttivitĂ . Fatto ancora piĂš importante, mentre il mercato si sviluppava e la domanda cresceva a livello globale, le imprese giapponesi e tedesche iniziarono a rosicchiare le quote delle imprese americane. Allâimprovviso, numerose industrie manifatturiere di grandi dimensioni si ritrovarono a produrre a livello mondiale. La conseguenza fu che il settore manifatturiero globale raggiunse un eccesso di capacitĂ produttiva tale da far subire ai prezzi dei beni prodotti una pressione al ribasso. A metĂ degli anni Sessanta, lâindustria manifatturiera americana si ritrovò colpita dal basso a livello di prezzi praticati dai suoi concorrenti giapponesi e tedeschi, il che portò a una crisi di redditivitĂ per le aziende nazionali. Gli alti costi fissi degli Stati Uniti semplicemente non erano piĂš in grado di competere con dei concorrenti. Con una serie di adattamenti dei tassi di cambio, questa crisi di produttivitĂ fu alla fine trasmessa al Giappone e alla Germania, facendo scoppiare la crisi globale degli anni Settanta.
A fronte della redditivitĂ in calo, le aziende manifatturiere si sforzarono di ravvivare le proprie attivitĂ . Come prima cosa, le imprese iniziarono a osservare i competitor di successo e a modellare loro stesse su quegli esempi. Il modello fordista statunitense sarebbe stato rimpiazzato da quello toyotista, giapponese. In termini di processo del lavoro, la produzione andava sveltita. Una sorta di iper-taylorismo puntava a spezzare il processo nelle sue parti piĂš piccole, assicurandosi che ci fossero il numero minimo di impedimenti e di tempi morti allâinterno della sequenza. Lâintero processo andava riorganizzato al fine di essere il piĂš possibile lean. Azionisti e consulenti aziendali non facevano che dire alle societĂ di limitarsi alle proprie competenze di base, di licenziare qualunque lavoratore in sovrappiĂš e di tenere le rimanenze...