Questioni teologiche
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Questioni teologiche

Emanuele Massimo Musso

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I termini "morale" ed "etica" significato etimologico
L'istituzione culturale conosciuta comunemente come "università", come è risaputo, è una tipica creazione del medioevo latino. Nell'università medievali le lezioni iniziavano dalla lettura di un testo di una auctoritas nella materia studiata, da qui la dicitura "lezione". A questa lettura faceva seguito l'explicatio terminorum, il sollevare obiezioni che generavano il dibattito tra studenti e baccellieri e, infine, la chiusura-risoluzione della questione grazie la determinatio del magister. Analogamente anche noi iniziamo con un'explicatio terminorum, una breve e semplice spiegazione dei vocaboli "morale" ed "etica". Il primo deriva dal latino mos-moris che significa "modo d'agire", "comportamento". Il secondo dal greco éthos che equivale anch'esso a "modo di comportarsi". I due termini, lo notava già Cicerone1, sono sinonimici; benché qualche autore abbia tentano di attribuire la parola "etica" alla filosofia oppure all'agire collettivo e il lemma "morale" all'ambito della teologia e del comportamento individuale. In questa sede, considerata anche l'equivalenza etimologica, impiegheremo i termini "morale" ed "etica" come sinonimi.

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Information

Publisher
EDUCatt
Year
2018
ISBN
9788893352840

Alcune questioni
di teologia morale fondamentale

Le fonti bibliche della riflessione morale cristiana

La Bibbia costituisce indubbiamente la fonte primaria e originaria dell’agire e della teologia morale dei cristiani. Teoricamente, soprattutto dopo il forte richiamo del concilio Vaticano II di fare della Scrittura l’anima della teologia (compresa ovviamente anche della teologia morale), sembra che l’esodo delle Scritture ebraico-cristiane sia terminato. Tuttavia, forse non è così infrequente notare, dal punto di vista della fenomenologia della prassi pastorale odierna, una persistenza – a mo’ di fiume carsico – di correnti di etica e di spiritualità cristiane che continuano a soffrire delle restrizioni dell’uso della Bibbia imposte dal concilio di Trento, nutrendosi ancora (almeno parzialmente) delle proprie tradizioni teologiche e spirituali non alimentate e sostenute da solide radici biblico-patristiche.
I libri sapienziali. Pur essendo, per un cristiano, la Bibbia ispirata da Dio e perciò parola di Dio; tuttavia come le membra del corpo umano anche i libri delle Scritture hanno diverse funzioni. Alcuni Salmi e il Padre nostro, per esempio, si prestano ad essere dei testi molto adatti per la preghiera. Altri libri biblici, invece, costituiscono il terreno buono in cui far germogliare la teologia morale. Occorre qui ricordare anzitutto, fra i testi di ciò che i cristiani sono soliti chiamare Antico o Primo Testamento, i libri sapienziali.
I sapienziali occupano un posto consistente nelle Scritture. È il gruppo di scritti, infatti, che contano il maggior numero di pagine all’interno delle nostre Bibbie. Se ne può dedurre che essi rappresentino una dimensione essenziale dell’esistenza e del rapporto con Dio. Si tratta dei libri di Giobbe, di un buon numero di Salmi, dei Proverbi, del Siracide, di Qoelet, della Sapienza e – in una certa misura per la sua tematica sponsale – il Cantico dei Cantici.
Sono libri “umani, troppo umani” – per usare un’espressione nietzschiana –, racchiudono sentenze, consigli e aforismi che potremmo definire diuturni, concreti, di buon senso; che mirano a regolare con saggezza e prudenza i rapporti sociali. I sapienziali ci insegnano che l’inizio della sapienza sta in un rispetto o timore reverenziale nei confronti di Dio, come base teologica per poter rispettare i fratelli in umanità e il creato tutto.
Questi scritti planano dalla concretezza della vita quotidiana fino alla contemplazione della Sapienza personificata e creatrice: così nel capitolo 8 dei Proverbi, nel capitolo 24 del libro della Sapienza e nell’intero Siracide. Non bisogna trascurare i Salmi, anche questi sono una fonte di saggezza e di vissuto morale. Il commento che ne ha fatto sant’Agostino può considerarsi una vera e propria summa della vita morale e spirituale del cristiano.
All’interno del Nuovo Testamento i sapienziali sono presenti, per esempio, nella lettera di Giacomo e la Sapienza personificata funge da fondale alla grandiosa e solenne presentazione paolina del Cristo come la Sapienza (nella prima ai Corinzi 1,24ss. e in Calossesi 1,16-17) e nell’elaborazione giovannea del Cristo Parola-Logos-Sapienza del Padre (nel prologo dell’evangelo e della prima lettera di Giovanni).
Anche oggi una teologia morale aggiornata non può prescindere dai sapienziali. I libri sapienziali, in effetti, possono suscitare o incrementare l’amore e hanno il pregio di formare la mente congiuntamente al cuore.
Il discorso della montagna. È sufficiente scorrere anche velocemente le pagine del Nuovo Testamento per accorgersi che esso offre diversi versetti d’ordine morale, sia nelle parole di Gesù sia nella predicazione apostolica. Prima di accostare questi testi, bisogna tener presente un principio di lettura fondamentale: la morale per noi è diventata l’ambito degli obblighi, dei precetti, degli imperativi (ipotetici o categorici) e soprattutto dei divieti; per gli antichi la morale aveva anzitutto a che fare con la felicità e tracciava la via da seguire per tagliare questo traguardo. Piuttosto che essere una morale dei precetti (come lo sarà prevalentemente in età moderna e postmoderna) era una morale delle virtù (ossia di quelle disposizioni abituali nel compiere il bene). Un esempio: il discorso della montagna (cf. Mt 5-7) inizia, secondo la consuetudine dell’etica antica, annunciando chi sono i felici (i “beati”) e che cos’è la felicità e prosegue indicando le vie per raggiungerla, approfondendo il decalogo (cf. Es 20,2-17; Dt 5,6-21).
Il discorso delle beatitudini si presenta nei vangeli canonici in due versioni: la succitata di Matteo e quella di Luca (6,17-48). La prima è stata preferita fin dai primissimi tempi della storia della Chiesa per formulare la catechesi morale, tanto da divenire una vera e propria magna charta del vissuto cristiano. La resa lucana delle beatitudini pone l’accento sull’intervento di Dio nella storia, quella matteana punta piuttosto sulla risposta dell’uomo.
Il sermone della montagna, quindi, fin dall’epoca dei padri della chiesa, è stato assunto come codificazione della norma definitiva della vita cristiana. Ecco che cosa scrive, a questo riguardo, Agostino di Ippona nel suo commento alle beatitudini nella versione di Matteo:
Se qualcuno esaminerà con fede e serietà il discorso che nostro Signore Gesù Cristo ha proferito sulla montagna, come lo leggiamo nel Vangelo di Matteo, penso che vi riscontrerà la norma definitiva della vita cristiana (perfectum vitae christianae modum) per quanto attiene a un'ottima moralità. Non osiamo affermarlo alla leggera, ma lo deriviamo dalle parole stesse del Signore. Difatti il discorso si conclude ad evidenziare che in esso vi sono tutti i precetti che attengono a regolare la vita. Dice infatti: Riterrò simile chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica a un uomo saggio che costruì la propria casa sulla roccia. Scese la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa non cadde perché era fondata sulla roccia. Riterrò poi chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica simile a un uomo stolto che costruì la propria casa sulla sabbia. Scese la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa ed essa rovinò e fu grande la sua rovina. Non ha detto soltanto: chi ascolta le mie parole, ma ha aggiunto: chi ascolta queste mie parole. Quindi, come ritengo, le parole che ha rivolto stando sul monte educano tanto efficacemente la vita di coloro che intendono viverle che essi sono paragonati a chi costruisce sulla roccia. Ho espresso questo pensiero affinché appaia che il discorso è al completo di tutte le norme dalle quali è regolata la vita cristiana. A suo luogo si tratterà di questo argomento più esaurientemente20.
Il discorso della montagna in Matteo si presenta come la spiegazione di che cosa significhi l’appello di Gesù alla conversione, perché ormai il Regno dei Cieli è a portata di mano (cf. Mt 4,17). In breve: il discorso non ci dice che cosa sia il Regno, ma chi ne fa parte21. Matteo raduna in un insieme ordinato detti che possono essere stati pronunciati da Gesù in diverse circostanze. Il sermone sul monte forma, inoltre, il primo dei cinque discorsi che strutturano il vangelo di Matteo.
Il discorso non è un mosaico di parole disparate anzi, come è stato sottolineato, è ben strutturato e compaginato. Il baricentro è costituito dalla preghiera del Padrenostro, come a dire: la pratica delle beatitudini è anzitutto un dono gratuito del Padre celeste (“grazia”) da chiedergli in preghiera22.
Giunti a questo punto, affiora spontanea una domanda: il discorso delle beatitudini non è forse riservato per una “nicchia” di persone, non è per una élite? In realtà, oltre ai “discepoli”, fin dal primo versetto del discorso è menzionata anche la “folla”. La chiusa di Matteo ricorda che il vangelo (compreso il discorso della montagna) ha una destinazione universale. Giovanni Crisostomo23 e Agostino di Ippona24, nei loro commentari a Mt 5-7, hanno ribadito che i destinatori del discorso sono tutti gli uomini.
Lo schema del discorso è abbastanza lineare e semplice25.
1) Le beatitudini riprendono i vari “macarismi”26 presenti nell’Antico Testamento (si pensi, per esempio, al Salterio). Il Regno dei Cieli è riservato ai poveri e ai perseguitati a causa di Gesù. I padri hanno visto nelle beatitudini la risposta di Gesù alla questione filosofica sul che cos’è la felicità e sul come conseguirla. Così, il Cristo appare come il vero “maestro”, l’autentico “filosofo”. Attenzione a un dato letterario e teologico insieme: la prima e la settima beatitudine coniugano il verbo al tempo presente, le altre al futuro. Il significato è semplice: il Regno dei Cieli, ovvero il rapporto con Dio che ci dona la felicità, non è solo una realtà ultramondana ma inizia e si implementa qui e ora.
2) Dopo la descrizione dei discepoli come “il sale della terra” e “la luce del mondo”, vengono ripresi e approfonditi da Gesù cinque precetti del Pentateuco: “avete inteso che fu detto... io, invece, vi dico”. Da qui in avanti la giustizia è situata al livello del cuore dell’uomo, alla radice dei suoi atti, dove si forma l’amore per Dio e per il prossimo fino a raggiungere l’amore per il nemico.
3) Il “tripode” della pietà ebraica viene riformulato: l’elemosina (che regola i rapporti con il prossimo), la preghiera (con Dio) e il digiuno (con se stessi). Bisogna compierli per amore del Padre e non per essere visti. Torna di nuovo il piano dell’intenzione del cuore. Qui troviamo la preghiera del Padre nostro: vero centro (letterario e teologico) del discorso.
4) Verso la fine si raggruppano diverse sentenze: sul guardarsi dall’attrazione del denaro, sulla misericordia da usare nei giudizi e sul conservare la fiducia nella preghiera.
5) A questo punto, Gesù formula in positivo (e non in negativo come era già conosciuta in diverse culture) la “regola d’oro”: “tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a lo...

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  1. Sommario
  2. Nozioni introduttive
  3. Alcune questionidi teologia morale fondamentale
  4. Per approfondire
  5. Note
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Musso, E. M. (2018). Questioni teologiche ([edition unavailable]). EDUCatt. Retrieved from https://www.perlego.com/book/1087865/questioni-teologiche-pdf (Original work published 2018)

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Musso, Emanuele Massimo. (2018) 2018. Questioni Teologiche. [Edition unavailable]. EDUCatt. https://www.perlego.com/book/1087865/questioni-teologiche-pdf.

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Musso, E. M. (2018) Questioni teologiche. [edition unavailable]. EDUCatt. Available at: https://www.perlego.com/book/1087865/questioni-teologiche-pdf (Accessed: 14 October 2022).

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Musso, Emanuele Massimo. Questioni Teologiche. [edition unavailable]. EDUCatt, 2018. Web. 14 Oct. 2022.