Manifesto del Partito Comunista
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Karl Marx, Friedrich Engels

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Karl Marx, Friedrich Engels

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Uscito nel 1848, il Manifesto fu commissionato a Marx ed Engels (che all'epoca avevano rispettivamente 29 e 27 anni) dalla Lega dei Comunisti per esprimere il proprio progetto politico. Partendo dall'analisi della storia come lotta tra classi, gli autori analizzano l'attuale assetto borghese della società, e continuano fino all'esposizione degli obiettivi politici dei comunisti e alla definizione dei rapporti con tutti i partiti d'opposizione. A 150 anni dalla sua scrittura, il Manifesto mantiene intatta la sua forza e la sua lucidità.

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Information

Publisher
Ledizioni
Year
2014
ISBN
9788867052646
covermanifesto

INDICE

Prefazione all'edizione italiana del 1893
Prefazione
I. Borghesi e Proletari
II. Proletari e Comunisti
III. Letteratura socialista e comunista
IV. Posizione dei comunisti di fronte ai diversi partiti d'opposizione

Prefazione all’edizione italiana del 1893

Al lettore italiano
La pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista coincidette, si può dire, con la giornata del 18 marzo 1848, con le rivoluzioni di Milano e di Berlino, che furono l’alzata di scudi delle due nazioni situate nel centro, l’una del continente europeo, l’altra del Mediterraneo, due nazioni, fino allora infiacchite dalla divisione e dalle discordie intestine, e passate, per conseguenza, sotto il dominio straniero. Se l’Italia era soggetta all’imperatore d’Austria, la Germania subiva il giogo, non meno effettivo benchè più indiretto, dello zar di tutte le Russie. Le conseguenze del 18 marzo 1848 liberarono l’Italia e la Germania da codesta vergogna; se dal 1843 al 1871, queste due grandi nazioni furono ricostituite e, in qualche modo, rese a se stesse, ciò avvenne, come diceva Carlo Marx, perchè gli uomini che hanno abbattuta la rivoluzione del 1848, ne furono, loro malgrado, gli esecutori testamentari.
Dappertutto quella rivoluzione fu l’opera della classe operaia; fu questa, che fece le barricate e pagò di persona. Solo gli operai di Parigi, rovesciando il Governo, avevano l’intenzione ben determinata di rovesciare il regime della borghesia. Ma, per quanto essi avessero coscienza dell’antagonismo fatale che esisteva fra la loro propria classe e la borghesia, né il progresso economico del paese, né lo sviluppo intellettuale delle masse operaie francesi, erano giunti al grado che avrebbe resa possibile una ricostruzione sociale. I frutti della rivoluzione furono dunque, in ultima analisi, raccolti dalla classe capitalista. Nelle altre nazioni, in Italia, in Germania, in Austria, gli operai non fecero, da principio, che portare al potere la borghesia. Ma in qualsiasi paese il regno della borghesia non è possibile senza l’indipendenza nazionale. La rivoluzione del 1848 doveva dunque trarsi dietro l’unità e l’autonomia delle nazioni che fino allora ne mancavano: l’Italia, la Germania, l’Ungheria. La Polonia seguirà alla sua volta.
Se dunque, la rivoluzione del 1842 non fu una rivoluzione socialista, essa spianò la via, preparò il terreno a quest’ultima. Collo slancio dato, in ogni paese, alla grande industria, il regime borghese di questi ultimi quarantacinque anni ha creato, dovunque, un proletariato numeroso, concentrato e forte; allevò dunque, per usare l’espressione del Manifesto, i suoi propri seppellitori. Senza l’autonomia e l’unità restituite a ciascuna nazione né l’unione internazionale del proletariato, né la tranquilla e intelligente cooperazione di coteste nazioni verso fini comuni potrebbero compiersi. Immaginate, se vi riesce, un’azione internazionale comune degli operai italiani, ungheresi, tedeschi, polacchi, russi, nelle condizioni politiche precedenti al 1848!
Così, le battaglie del 1848 non furono date indarno; del pari non passarono indarno i quarantacinque anni che ci separano oggi da quella tappa rivoluzionaria. I frutti vengono a maturanza, e tutto ciò ch’io desidero è che la pubblicazione di questa versione italiana sia di buon augurio per la vittoria del proletariato italiano, quanto la pubblicazione dell’originale lo fu per la rivoluzione internazionale.
Il Manifesto rende piena giustizia all’azione rivoluzionaria che il capitalismo ebbe nel passato. La prima nazione capitalista è stata l’Italia. Il chiudersi del medioevo feudale, l’aprirsi dell’èra capitalista moderna sono contrassegnati da una figura colossale; è quella di un italiano, il Dante, al tempo stesso l’ultimo poeta del medioevo e il primo poeta moderno. Oggidì, come nel 1300, una nuova èra storica si affaccia. L’Italia ci darà essa il nuovo Dante, che segni l’ora della nascita di questa nuova èra proletaria?
Londra, 1° febbraio 1893.
Federico Engels

Prefazione

Uno spettro s’aggira per l’Europa - lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa si sono alleate in una santa battuta di caccia contro questo spettro: papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi. Quale partito d’opposizione non è stato tacciato di comunismo dai suoi avversari di governo; qual partito d’opposizione non ha rilanciato l’infamante accusa di comunismo tanto sugli uomini più progrediti dell’opposizione stessa, quanto sui propri avversari reazionari?
Da questo fatto scaturiscono due specie di conclusioni.
Il comunismo è già riconosciuto come potenza da tutte le potenze europee.
È ormai tempo che i comunisti espongano apertamente in faccia a tutto il mondo il loro modo di vedere, i loro fini, le loro tendenze, e che contrappongano alla favola dello spettro del comunismo un manifesto del partito stesso.
A questo scopo si sono riuniti a Londra comunisti delle nazionalità più diverse e hanno redatto il seguente manifesto, che viene pubblicato in inglese, francese, tedesco, italiano, fiammingo e danese.

I. Borghesi e Proletari

La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi.
Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.
Nelle epoche passate della storia troviamo quasi dappertutto una completa articolazione della società in differenti ordini, una molteplice graduazione delle posizioni sociali. In Roma antica abbiamo patrizi, cavalieri, plebei, schiavi; nel medioevo signori feudali, vassalli, membri delle corporazioni, garzoni, servi della gleba, e, per di più, anche particolari graduazioni in quasi ognuna di queste classi.
La società civile moderna, sorta dal tramonto della società feudale, non ha eliminato gli antagonismi fra le classi. Essa ha soltanto sostituito alle antiche, nuove classi, nuove condizioni di oppressione, nuove forme di lotta.
La nostra epoca, l’epoca della borghesia, si distingue però dalle altre per aver semplificato gli antagonismi di classe. L’intera società si va scindendo sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi direttamente contrapposte l’una all’altra: borghesia e proletariato.
Dai servi della gleba del medioevo sorse il popolo minuto delle prime città; da questo popolo minuto si svilupparono i primi elementi della borghesia.
La scoperta dell’America, la circumnavigazione dell’Africa crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell’America, gli scambi con le colonie, l’aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all’industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all’elemento rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione.
L’esercizio dell’industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina stessa.
Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le ...

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