La società libera
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La società libera

Friedrich A. Von Hayek

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La società libera

Friedrich A. Von Hayek

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Questo volume si annovera fra i più impegnativi lavori di Friedrich A. von Hayek e tra le maggiori opere del Novecento. È una compiuta ricostruzione dei princìpi del liberalismo classico, svolta da un autore a cui tutti hanno riconosciuto la proforndità dell'acume teorico e la vastità del sapere. E ci fornisce un quadro d'insieme normalmente irreperibile. Ecco perché il testo hayekiano, sebbene apparso originariamente nel 1960, ha una sua prorompente attualità. Irriducibile avversario di Keynes, Hayek ci fa partecipi della ricerca delle condizioni che rendono possibile o impossibile la «società libera». Egli ha dedicato gran parte della sua vita a tale ricerca. E ci porta per mano, con un linguaggio piano e comprensibile, a esplorare le regioni gnoseologiche, economiche, giuridiche e politiche della libertà. La base di partenza è costituita dal problema della dispersione delle nostre conoscenze di tempo e di luogo, di cui la concorrenza e il mercato rendono possibile la mobilitazione. Di qui il conseguimento di risultati imprevedibili e impredicibili, che sono il tipico prodotto della libertà individuale. A ciò è legata l'attenzione di Hayek nei confronti della sovranità del diritto, posta come garanzia della scelta, dell'autonomia dell'azione dei singoli. Un'idea attraverso cui l'autore ci aiuta a "decifrare" il significato storico-politico della Grande Società e dei movimenti a essa ostili: anche di quelli apparentemente meno minacciosi che, sostituendo il diritto con la legislazione, trasformano la dinamica sociale in una corsa a quei "doni" avvelenati della politica, che minano le condizioni della libertà. La società libera è un irrinunziabile strumento di orinetamento, che non ha destinatari privilegiati. L'arricchimento culturale che essa consente è certo: perché getta una potente luce sul mondo in cui viviamo, sulle sue origini, sui suoi travagli e sulle sue prospettive.

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Parte seconda

La libertà e la legge

9. Coercizione e Stato

È uno stato di assoluto vassallaggio quello in cui si rende un servizio incerto e indeterminato, in cui non si può sapere la sera che servizio si dovrà rendere al mattino, quello cioè in cui un individuo è legato a tutto quel che gli si ordina.
HENRY BRACTON*
1. Nella nostra precedente discussione abbiamo provvisoriamente definito la libertà come mancanza di coercizione. Ma la coercizione è un concetto quasi altrettanto insidioso quanto la libertà stessa e quasi per la stessa ragione: non distinguiamo chiaramente tra quanto ci viene fatto dagli altri uomini e l’effetto che le circostanze fisiche hanno su di noi. La lingua inglese ci fornisce due parole diverse per fare la necessaria distinzione: in inglese possiamo legittimamente dire che le circostanze compel, costringono qualcuno a fare qualcosa; ma per indicare il costringere che derivi dall’attività umana dobbiamo usare to coerce.
La coercizione ha luogo quando le azioni di un uomo sono poste in essere per servire la volontà di un altro uomo, non per uno scopo dell’attore ma per lo scopo dell’altro. Non che chi subisce la coercizione non abbia alcuna possibilità di scelta; se così fosse, non parleremmo del suo «agire». Se la mia mano è guidata da una forza fisica nel tracciare la mia firma o se il mio dito è spinto sul grilletto di un fucile dalla stessa forza, non sono io che agisco. La violenza che fa del mio corpo lo strumento fisico di un altro è evidentemente un male come la coercizione vera e propria e per la stessa ragione dev’esser evitata. Tuttavia, la coercizione implica che abbia ancora una scelta, ma che la mia mente sia ridotta a strumento di qualcun altro: perché mi si presentano alternative manipolate, in modo che il comportamento a cui si vuole che io mi attenga diventi per me il meno penoso1. Benché forzato a una scelta, sono ancora io a decidere quale sia in quelle circostanze il male minore2.
Ovviamente, la coercizione non include tutte le influenze che l’uomo può esercitare sull’azione di altri. Non include nemmeno tutti i casi in cui una persona agisce o minaccia di agire in un modo che (egli sa) nuocerà a un’altra persona e la indurrà a mutare intenzioni. Una persona che mi ostruisce la strada e mi costringe a spostarmi, una persona che ha preso in prestito dalla biblioteca il libro che voglio io o anche una persona che, producendo rumori spiacevoli, mi costringe ad allontanarmi, non si può definire propriamente una persona che mi sottopone a coercizione. La coercizione implica sia la minaccia di infliggere un danno, sia l’intenzione di provocare così un certo comportamento.
Sebbene chi è sottoposto alla coercizione abbia ancora una scelta, le alternative che gli si presentano sono determinate da chi ve lo sottopone, così che il primo sceglierà quel che vuole il secondo. Egli non è del tutto privato dell’uso delle sue capacità, ma è privato della possibilità di usare la sua conoscenza per fini propri. L’uso efficace dell’intelligenza e della conoscenza di una persona nel perseguimento dei propri scopi richiede che questa abbia la possibilità di prevedere alcune condizioni prodotte dal suo contesto e di attenersi a un piano d’azione. La maggior parte dei fini umani possono essere realizzati solo attraverso una catena di azioni collegate, su cui si è deciso come su un tutto coerente, basato sulla premessa che i fatti saranno quali ci si aspetta che siano. Possiamo realizzare qualcosa solo perché e nella misura in cui possiamo prevedere gli eventi o per lo meno conoscere le probabilità. E, benché spesso imprevedibili, le circostanze fisiche non ostacoleranno di proposito i nostri scopi. Ma, se i fatti che incidono sui nostri piani sono sotto l’esclusivo controllo di un altro, analogamente sarà controllata la nostra azione.
Pertanto, la coercizione è un male: perché impedisce a una persona di utilizzare completamente le sue facoltà mentali e di conseguenza gl’impedisce di dare alla comunità il maggior contributo di cui è capace. Chi è sottoposto alla coercizione cercherà pur sempre di fare quanto meglio può per se stesso, ma l’unico piano dentro cui le sue azioni si possono collocare è quello concepito dalla mente di un altro.
2. I filosofi politici hanno discusso del potere più spesso di quanto non abbiano discusso della coercizione, perché in genere potere politico significa potere di servirsi della coercizione3. Ma, sebbene i grandi, da John Milton ed Edmund Burke a Lord Acton e Jacob Burckhardt, che hanno presentato il potere come il male per eccellenza4, avessero ragione in quel che volevano dire, è fuorviante parlare di potere semplicemente in quel senso. Male non è il potere come tale – la capacità di realizzare quel che uno vuole –, ma solo il potere di esercitare la coercizione, di forzare altri uomini a servire la propria volontà con la minaccia di far loro danno. Non c’è niente di male nel potere esercitato dal direttore di qualche grande impresa a cui degli uomini si sono volontariamente uniti per fini propri. Fa parte della forza della società civilizzata che, con una simile volontaria combinazione di sforzi sotto una direzione unificata, gli uomini possano aumentare moltissimo il loro potere collettivo.
Non è il potere nel senso di estensione delle nostre capacità a corrompere, ma l’assoggettamento di altre volontà umane alle nostre, l’utilizzazione di altri uomini, contro la loro volontà, per i nostri scopi. È vero che nelle relazioni umane il potere e la coercizione sono molto vicini l’uno all’altra, che il disporre di grandi poteri da parte di pochi può mettere questi in grado di esercitare la coercizione su altri, a meno che tali poteri non siano frenati da un potere ancor maggiore; ma la coercizione non è una conseguenza del potere tanto necessaria né tanto comune come in generale si crede. Né un Henry Ford, né la commissione per l’energia atomica, né il generale dell’esercito della salvezza, né (almeno fino a tempi recenti) il presidente degli Stati Uniti, hanno poteri che si estendano all’esercizio, per finalità da loro esclusivamente decise, della coercizione sul singolo individuo.
Sarebbe meno fuorviante se a volte i termini «forza» e «violenza» fossero usati al posto di coercizione, poiché la minaccia della forza o della violenza è la più importante forma di coercizione. Ma non sono sinonimi di coercizione, perché la minaccia della forza fisica non è il solo modo in cui la coercizione può essere usata. Del pari, l’«oppressione», che è forse l’opposto della libertà, esattamente come lo è la coercizione, dovrebbe riferirsi soltanto a una situazione di continui atti di coercizione.
3. La coercizione dovrebbe essere accuratamente distinta dalle condizioni o dai termini in base a cui i nostri simili si prestano a rendere specifici servizi o benefici. È solo in circostanze del tutto eccezionali che l’esclusivo controllo di un servizio o di risorse a noi essenziali conferiscono a un altro il potere di esercitare una vera coercizione. La vita nella società significa necessariamente che per il soddisfacimento di molte delle nostre necessità dipendiamo dai servizi di alcuni nostri simili; in una società libera, questi reciproci servizi sono volontari e ciascuno può decidere a chi vuole rendere i servizi e a quali condizioni. I benefici e le occasioni che i nostri interlocutori ci offrono, potremo averli solo se soddisferemo le loro condizioni.
Questo è vero tanto per i rapporti sociali quanto per quelli economici. Poniamo che una padrona di casa m’inviti a uno dei suoi ricevimenti solo se mi conformo a certi modelli di comportamento e d’abbigliamento; oppure che il mio vicino mi rivolga la parola solo se osservo modi convenzionali: né l’una né l’altra cosa è un esempio di coercizione. Né si può legittimamente definire «coercizione» il fatto che un produttore o un negoziante rifiuti di fornirmi quel che voglio, se non accetto il suo prezzo. È certamente così in un mercato competitivo dove, se le condizioni della prima offerta non mi soddisfano, posso rivolgermi a qualcun altro; ma di regola non è meno vero se mi trovo davanti a un monopolista. Per esempio, se desiderassi moltissimo farmi ritrarre da un famoso pittore, che rifiutasse di farlo a un prezzo che non fosse altissimo, sarebbe ovviamente assurdo dire che subisco un potere coercitivo. Lo stesso vale per qualsiasi altra merce o servizio di cui posso fare anche a meno. Finché i servizi di una data persona non sono cruciali per la mia esistenza o per la conservazione di ciò che per me ha il massimo valore, le condizioni richieste per rendere quei servizi non si possono propriamente definire «coercizione».
Un monopolista potrebbe tuttavia esercitare un vero e proprio potere coercitivo se fosse, diciamo, il proprietario di una sorgente d’acqua in un’oasi. Immaginiamo che altre persone vi vadano a stare, con l’idea che l’acqua possa essere sempre disponibile a prezzo ragionevole e poi scoprano, poniamo perché un’altra sorgente si è inaridita, che per sopravvivere non hanno altra scelta che fare quanto esige il proprietario monopolista: sarebbe un caso evidente di coercizione. Si possono immaginare diversi altri casi analoghi di controllo monopolistico di un bene essenziale, da cui la gente sia del tutto dipendente. Ma, solo se è in grado di rifiutare una fornitura indispensabile, il monopolista può esercitare la coercizione, per quanto spiacevoli possano essere le sue richieste per chi fa assegnamento sui suoi servizi.
Vale la pena notare, in vista di quanto diremo in seguito sugli strumenti idonei a frenare il potere coercitivo dello Stato, che ogniqualvolta un monopolista abbia la possibilità di acquisire poteri coercitivi, il mezzo migliore e più efficace per evitarlo è probabilmente esigere che esso tratti tutti i clienti alla stessa stregua, insistere cioè che i suoi prezzi siano gli stessi per tutti e vietargli ogni discriminazione. È lo stesso principio mediante cui abbiamo imparato a reprimere il potere coercitivo dello Stato.
Il singolo datore di lavoro non può di regola esercitare la coercizione, così come non può esercitarla il fornitore di una particolare merce o servizio. Finché può eliminare solo una delle molte possibilità di guadagnarsi la vita, finché può solo smettere di pagare gente che non abbia speranza di guadagnare altrettanto altrove, egli non può esercitare la coercizione, anche se può causare un danno. Innegabilmente, vi sono casi in cui le condizioni di lavoro creano possibilità di vera coercizione. In periodi di acuta disoccupazione, la minaccia di licenziamento può servire a imporre prestazioni diverse da quelle pattuite. E, in condizioni come quelle proprie di una città mineraria, il datore di lavoro può benissimo esercitare una tirannide del tutto arbitraria e capricciosa su un uomo che gli sia antipatico. Ma tali condizioni, sebbene non impossibili in una società prospera e competitiva, alla peggio sarebbero solo rare eccezioni.
Poteri illimitati di coercizione esisterebbero in caso di monopolio completo dei posti di lavoro, quale si avrebbe in uno Stato pienamente socialista, in cui il governo fosse l’unico datore di lavoro e proprietario di tutti gli strumenti di produzione. Come scoprì Lev Trockij: «In un paese dove l’unico dator...

Table of contents

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Prefazione di Lorenzo Infantino
  6. Prefazione
  7. Ringraziamenti
  8. Abbreviazioni
  9. Introduzione
  10. Parte prima: Il valore della libertà
  11. Parte seconda: La libertà e la legge
  12. Parte terza: La libertà nello Stato assistenziale
  13. Appendice: scritti di Sergio Ricossa
  14. Prefazione all’edizione italiana del 1998
  15. Prefazione all’edizione italiana del 1969
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von Hayek, F. (2011). La società libera ([edition unavailable]). Rubbettino Editore. Retrieved from https://www.perlego.com/book/1242431/la-societ-libera-pdf (Original work published 2011)

Chicago Citation

Hayek, Friedrich von. (2011) 2011. La Società Libera. [Edition unavailable]. Rubbettino Editore. https://www.perlego.com/book/1242431/la-societ-libera-pdf.

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von Hayek, F. (2011) La società libera. [edition unavailable]. Rubbettino Editore. Available at: https://www.perlego.com/book/1242431/la-societ-libera-pdf (Accessed: 14 October 2022).

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von Hayek, Friedrich. La Società Libera. [edition unavailable]. Rubbettino Editore, 2011. Web. 14 Oct. 2022.