The Renaissance Theatre: Texts, Performance, Design
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The Renaissance Theatre: Texts, Performance, Design

Volume II: Design, Image and Acting

  1. 130 pages
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The Renaissance Theatre: Texts, Performance, Design

Volume II: Design, Image and Acting

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Originally published in 1999, this book is a critical analysis of Renaissance theatre, including chapters on speaking theatres, performing theatre and redesigning Shakespeare.

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Information

Publisher
Routledge
Year
2019
ISBN
9780429640360
Edition
1
Subtopic
Drama

1 La memoria del teatro nel medioevo e il caso terenzio

Cesare Molinari
Nelle vecchie storie del teatro (ma talvolta anche nelle più recenti) un consolidato luogo comune dice che nel corso dell’alto medioevo, dopo la splendida fioritura dell’antichità classica, greca e romana, il teatro stesso era scomparso dalle civiltà occidentali. Tanto è vero che si è andati cercando una seconda ‘origine’ del teatro nella liturgia cristiana, con il risultato di creare un simpatico parallelismo con le ‘origini’ rituali ipotizzate per il teatro greco: è nata così la definizione di ‘dramma liturgico’, definizione che probabilmente avrebbe fatto rabbrividire i buoni frati del convento di San Gallo.
Come tutti i luoghi comuni, anche questo contiene un discreta porzione di verità. Infatti da un lato è vero che l’attività dei giullari, dei mimi, dei cantastorie e, in generale, dei performer medievali doveva in certi casi avere tutte le caratteristiche di ciò che oggi chiameremmo uno spettacolo teatrale; ed è vero anche che la liturgia può quanto meno essere descritta in termini teatrali. Però, d’altra parte, è egualmente vero che nessuno, né i signori che li promovevano, né gli stessi performer, né, tanto meno, i religiosi dovevano pensare che quello cui stavano assistendo, o che avevano allestito potesse essere considerato ‘teatro’ nel senso che gli antichi attribuivano a questo termine: c’era, al più, una vaga coscienza che mimi e giullari fossero in qualche modo gli eredi degli antichi attori – eredi degenerati peraltro di un teatro degenerato, come sosterranno poi i comici dell’arte.
Ciò che era scomparso insomma era la coscienza del teatro, insieme con l’istituzione. Neppure sembra, del resto, che almeno fino al XIII secolo siano stati allestiti spettacoli drammatici in un luogo appositamente predisposto, con attori che recitavano una parte in un dramma: in questo senso non può essere interpretata neppure la grande Passione di Montecassino.1
Paradossalmente tuttavia non venne mai del tutto meno il ricordo del teatro: la sua memoria. Molti, perfino tra la gente comune e incolta, possono essersi chiesti cosa mai fossero quelle costruzioni a gradoni che in certe città – da Merida a Orange a Siracusa, per non parlare di Roma – erano sotto gli occhi di tutti e dalle quali anzi si andava a prelevare materiale da costruzione, come si trattasse di cave di pietra. Ma le poche persone colte forse lo sapevano, anche se non potevano che fantasticare su cosa vi era stato rappresentato.
Quando si dissolse l’istituzione del teatro? Quando la pratica o la testimonianza diretta cominciarono a trasformarsi in memoria? Il teatro doveva essere ancora ben vivo, in tutte le sue forme, nella tardissima antichità: oltre a Tertulliano e ad altri apologisti del II e III secolo, ne parlano ancora, come testimoni diretti S. Girolamo e Sant’Agostino, il quale parla espressamente di ‘commedie e tragedie, cioè le favole dei poeti da rappresentare in spettacoli (in spectaculisy come di ‘generi di più tollerabili fra i ludi scenici’.2
Agostino muore nel 430: l’impero romano d’occidente non si era ancora ufficialmente dissolto, e del resto è più probabile che le istituzioni culturali romane sopravvivessero meglio in Africa che non in Italia, già percorsa dalle prime invasioni barbariche. Dove peraltro, ancora durante il lungo regno di Teodorico, e quindi già agli inizi del VI secolo, Cassiodoro propose al re di istituire addirittura un magistrato che sorvegliasse l’attività degli ‘scenici’.3 Per diversi motivi sarà interessante ricordare che Teodorico era stato educato a Bisanzio e che Cassiodoro darà una forte spinta al monachesimo benedettino, la cui importanza in questa storia della memoria è fondamentale.
Tutti ricordano con quanta fantasiosa precisione Isidoro da Siviglia, circa un secolo più tardi, descriva nel XVIII libro delle sue Etymologiae4 l’edificio teatrale, la scena, l’orchestra, ma anche le ‘professioni sceniche’ (scenica officia), nelle quali distingue fra tragoedi, comoedi, thymelici, hystriones, mimi, saltatores. Le sue descrizioni rimasero decisive per fissare l’immagine del teatro antico fino agli ultimi anni del Quattrocento, ma ora mi preme citare un testo meno noto e più strano perchè testimonia di come il fantasma del grande teatro antico si aggiri per l’Europa fondendosi e confondendosi con la povera attività dei giullari ancora nel IX secolo. Siamo nell’810 quando Leiardo, arcivescovo di Lione scriveva a Carlo Magno:
Osserva come si innalzino le moli dei teatri e come sprofondino le fondamenta delle virtù; come sia apprezzata l’espressione della pazzia e derisa la carità; come siano arricchiti gli istrioni da coloro che hanno ricchezze abbondanti e come a stento abbiano il necessario i poveri.5
Certo nessuno allora stava innalzando grandi edifici teatrali, ma forse Leiardo era ossessionato dalla presenza di quel grande teatro romano che sorgeva a pochi passi dalla sua città e che, sia pure rovinato dai restauri, possiamo vedere ancora oggi. E, in certo modo giustamente, sviluppando il confronto, il pio vescovo connetteva quegli antichi resti con le esibizioni dei giullari che, come altri, gratificava dell’antico nome di ‘hystriones’.
Accanto a queste e a tante altre testimonianze letterarie c’è però un’altra linea documentaria che riguarda la memoria del teatro antico negli ‘anni bui’ dell’alto medioevo e che si perpetua fino alle soglie del rinascimento.
Pochi autori classici ebbero nel medioevo la fortuna di Terenzio: il numero di mss. che ne contengono l’opera è impressionante.6 Le sue commedie ispirarono quelle di Hroswita di Gandersheim che scrive attorno al 960, mentre più di un secolo avanti lo stesso Terenzio era apparso come personaggio in un breve testo dialogico, il Delusor, che è stato considerato un ‘pretesto giocoso per uno spettacolo di carattere mimico da recitarsi fra studenti’.7
Ma ancora: l’immagine di Terenzio appare in alcune delle miniature che illustrano i 15 codici miniati prodotti fra il IX e il XV secolo. Nel più antico di questa serie, il Vat.Lat.3868, compare il suo ritratto, importante nella storia dell’arte perché nella decorazione della cornice è celata la prima firma di un miniatore che ci sia nota. In altri mss miniati invece egli appare proprio come personaggio in alcuni momenti della sua vita – della sua vita di uomo di teatro –assieme ad altri personaggi che, insieme, finiscono per comporre una piccola storia.
Nel codice Vat.Lat.33058 al centro della miniatura è raffigurato Calliopio seduto davanti ad un leggio su cui è appoggiato un libro, inteso come il testo di Terenzio, mentre lo stesso Terenzio, seduto sulla sinistra, sembra ascoltare compunto. A destra ci sono altri due personaggi, uno dei quali è Luscio Lanuvino, il ‘malevolo vecchio poeta’ contro il quale Terenzio polemizza nel prologo dell’Andria. Sotto, disposte dietro una linea ondulata, ci sono altre persone che guardano verso l’alto dove siedono i quattro protagonisti dell’evento, e non verso il basso dove appaiono due scene dell’Andria (I,1,4). Qui, parrebbe, ha preso forma per la prima volta la leggenda di Calliopio, una leggenda che, a mia conoscenza, non ha mai assunto forma letteraria. Calliopio, come tutti sanno, fu il primo editore a noi noto delle opere di Terenzio,9 e quel ‘recensui’ apposto in calce alla sua edizione e che può ben significare ‘interpretai’, ma nel senso filologico del termine, fu invece inteso come interpretazione di attore, o almeno di lettore: nelle prime edizioni a stampa Calliopio fa il prologo. Qui è contemporaneo di Terenzio, e legge o recita il suo testo, come per un contraddittorio con i rivali del poeta. E questa lettura, questo contraddittorio sono il vero spettacolo cui i romani assistono, mentre nessuno degna di uno sguardo gli attori (se così possiamo chiamarli) che in basso, o meglio (poichè nella concezione medievale dello spazio pittorico l’alto e il basso non riflettono una realistica disposizione verticale) alla base del disegno, mimano le scene dell’Andria. Come se il teatro, inteso come drammaturgia, non avesse bisogno di ‘rappresentare’ un’azione: la evoca, come in sogno. Eppure tutto questo si svolge in un teatro, se per ‘teatro’ si intende un luogo in qualche misura definito (qui indicato dalla cornice dell’edicola), come adombra, pochi anni dopo, Ugo da San Vittore.10
Nel ms. Leidensis Vossianus, risalente alla fine del X secolo, Calliopio ritorna alla sua reale funzione di filologo poiché sta dettando il testo terenziano ad un amanuense.
Ma più interessante, proprio perchè in netto contrasto con la concezione espressa nel Vat.Lat.3305, è una seconda miniatura di questo codice, dove Terenzio, seduto su una panca fra due donne, racconta le sue storie: Aristotele è dimenticato e il dramma non è più agito da personaggi: è una storia che può essere narrata in famiglia, davanti al caminetto, come tutte le storie. Ciò non significa che non evochi delle immagini, ma ben a ragione è stato detto che il miniatore del Vossiano ha la tempra del grande, ironico narratore.11
Simile e diversa la miniatura posta all’incipit dell’Eunuchus nel più tardo codice della Biblioteca Comunale di Tours.12 Il teatro è ancora una narrazione, ma pubblica: Terenzio legge le sue commedie davanti ad una piccola folla, seduto sopra un palco coperto da un baldacchino.
Tutti questi elementi si ritrovano nei frontespizi dei due splendidi mss con cui, agli albori del Quattrocento, si apre la seconda stagione della miniatura terenziana: il Térence du duc de Berry (1407) e il Térence des Ducs (1415).13 Dove troviamo visualizzata la fantasiosa ricostruzione dello spettacolo teatrale romano proposta quasi ottocento anni prima da Isidoro da Siviglia, arricchita dalla presenza, assolutamente contemporanea dei giullari (joculatores) in veste di attori che mimano la scena letta da Calliopio. Si tratta di uno spettacolo teatrale nel senso più stretto del termine di ‘spettacolo drammatico che si svolge all’interno di un teatro’: il miniatore, o l’iconografo, hanno piena coscienza del fatto che le commedie di Terenzio erano destinate al teatro e recitate da degli attori. Essi concepiscono il teatro come un grande edificio rotondo che comprende attori e spettatori, senza alcuna netta distinzione fra i due settori – in certa misura simile a quello immaginato da Jean Fouquet per il Mistero di Sant’Apollonia, miniato attorno alla metà del Quattrocento.14 Immaginato o visto? Nella seconda ipotesi si potrebbe anche pensare che l’idea del teatro classico che in quegli anni veniva prendendo corpo nelle opere degli eruditi e dei miniatori possa aver influito almeno su certe forme del teatro religioso contemporaneo; mentre la prima comporterebbe che l’idea di teatro classico viene trasformandosi in un’idea di teatro – tout-court. Qui comunque si tratta anche di una rievocazione in un certo senso nostalgica per quello che riguarda non solo lo spettacolo, misto di elementi creduti antichi e di altri moderni, ma anche, e forse soprattutto, l’edificio teatrale visto come parte integrante dell’urbanistica cittadina che anzi domina. È il sogno umanistico (da Flavio Biondo al Caporali e al Cesariano) del teatro come uno dei monumenti pubblici che qualificano la città in quanto tale e la nobilitano.
L’immagine del teatro romano non si ritrova soltanto nelle miniature terenziane.
Nel 1375 Raoul de Praelles aveva portato a termine la sua traduzione del De civitate dei dove, a commento del passo citato, aveva parafrasato quasi per intero il testo di Isidoro. Circa trent’anni dopo la sua traduzione fu ricopiata in un ms miniato, ora a Philadelphia.15
La miniatura che illustra il passo propone gli stessi elementi che abbiamo visto nei frontespizi dei due Térences, ma l’edificio teatrale diventa una sorta di paradossale palcoscenico, forse inteso come orchestra, e comunque come elemento di separazione fra il pubblico e lo spettacolo, simile in qualche misura alla palizzata dietro la quale prendevano posto gli spettatori del Principe costante di Grotowski. Ma in ogni caso qui il teatro non è sentito come prestigioso monumento cittadino.
Sarebbe interessante determinare le priorità: gli anni sono più o meno gli stessi. Se la storia avesse una logica, ovvero se la miniatura del De civitate fosse il modello del Terence du duc de Berry, e pe...

Table of contents

  1. Cover
  2. Half Title
  3. Title Page
  4. Copyright Page
  5. Table of Contents
  6. Notes on Contributors
  7. Preface
  8. 1 La Memoria Del Teatro Nel Medioevo e il Caso Terenzio
  9. 2 Les Illustrations Des Pièces éditées, en France, Au Début Du XVIIème Siècle: Leur Rapport Avec La Réalité Scénique (étude élaborée à Partir Des Didascalies Du Texte)
  10. 3 Le Edizioni Illustrate Dei Drammaturghi Antichi e L’idea Del Teatro Antico Nel Rinascimento
  11. 4 ‘Il Portico’ and ‘la Bottega’ on the Early Italian Perspective Stage: A Comparative Study in Theatre Iconography
  12. 5 Spectacle and ‘Civil Liturgies’ in Malta During the Time of the Knights of St. John
  13. 6 La Sopravvivenza Dell’idea Rinascimentale Della Festa Negli Allestimenti Teatrali Fiorentini Degli Anni 1656–1661
  14. 7 Speaking Theatres: The ‘Olimpico’ Theatres of Vicenza and Sabbioneta, and Camillo’s Theatre of Memory
  15. 8 The ‘Servant of Two Masters’: Scaramouche, Hamlet and Dom Juan
  16. 9 Performing Theatre: On Acting in the Early Renaissance
  17. 10 Redesigning Shakespeare: Modern Macbeths Between Cinema and Fine Arts
  18. Index