L’afa di Islamabad
8 agosto 2009.
Il telefono suona. Ininterrottamente suona, nel grande e luminoso appartamento dell’ambasciatore. Lo squillo rimbalza insistente e fastidioso tra le pareti bianche e silenziose. Nessuno, però, risponde.
La situazione è complicata, troppo complicata. Per questo, ancora una volta, qualcuno al Ministero ha bisogno di quell’uomo anziano così saggio, così disponibile. Di ascoltar la sua voce gentile, i suoi sapienti consigli… Ma niente, niente da fare: Niaz Naik non risponde, accidenti! Certo, sì. Dopotutto, quell’uomo ha ottantatré anni suonati. E forse non sente, anche se finora, al telefono ha sempre risposto. Che sia forse in giro a passeggiare per le afose vie di Islamabad? A ben pensarci, però, oggi il caldo è davvero insopportabile. Difficile pensare che il vecchio diplomatico sia fuori a quest’ora…
Salman Bashir, il Ministro degli Esteri, ha fretta. Butta giù il telefono e raggiunge nervosamente la grande finestra del suo ufficio. Ci sono importanti decisioni da prendere. Da mesi, infatti, il Pakistan protesta con gli americani per quei loro dannati droni che han già fatto fuori migliaia di cittadini al confine con l’Afghanistan. Migliaia, letteralmente, negli ultimi due anni. Trecentosessanta da agosto 2008. Inutile negarlo. Il Paese ha pagato fin troppo questa sua alleanza con gli Stati Uniti.
Sin dalle ore successive a quel maledetto 11 settembre, gli americani avevano lanciato il loro ultimatum. O con l’America, o contro l’America. Era stato proprio il loro Vicesegretario di Stato, il veterano della Guerra Afghana degli anni Ottanta Richard Armitage, a farsi vivo col presidente Musharraf. Se il Pakistan avesse deciso di stare coi talebani – gli aveva candidamente spiegato – sarebbe stato bombardato dagli USA con una tale violenza da farlo “tornare all’età della pietra”. Aveva detto proprio così, quell’uomo: “all’età della pietra”.
Armitage, già. Nome in codice “Tran Phu” durante la Guerra in Vietnam. Uomo di fiducia di Reagan, poi di Bush, che lo aveva nominato suo portavoce nei rapporti con re Hussein di Giordania, durante la Guerra del Golfo. Militare, politico, ma anche uomo d’affari, come accade spesso nel mondo occidentale. Con massicci interessi in società come la multinazionale di aggregazione dati ChoicePoint, da poco assorbita dal colosso di Atlanta LexisNexis che, tramite la sua Seisint, tra il 2004 e il 2005 aveva gestito il Multistate Anti-Terrorism Information Exchange Program. Meglio conosciuto con l’acronimo MATRIX, il programma era un’idea del leggendario Mark Asher, l’uomo che con la raccolta dei dati di aziende e privati aveva messo insieme un patrimonio di 500 milioni di dollari. E, non a caso, il MATRIX era stato chiuso nel giro di un anno. Proprio a causa delle forti preoccupazioni dell’opinione pubblica americana circa il suo effettivo rispetto della privacy dei cittadini.
Attraverso i vetri, Mr. Bashir osserva l’aiuola antistante il Foreign Service Academy, verde come la bandiera del suo Paese. Quel glorioso, antico stendardo al centro del quale biancheggiano fiere, danzando al ritmo del vento, la mezzaluna e la stella a cinque punte. La religione è di nuovo un problema, inutile nasconderselo. La religione divide, scatena crociate, adesso come un tempo. La religione, sì. O forse qualcos’altro…
Il pensiero torna improvviso a Niaz, il grande vecchio delle relazioni internazionali. L’uomo nel cui animo saggezza e competenza fanno a gara con la cortesia. Con la signorilità.
Tornato alla scrivania, il Ministro riprova a chiamare. Niente da fare. Dall’altro capo del filo nessuno risponde.
Un’ombra improvvisa cala allora sul suo sguardo. E il ricordo galoppa lontano, riportando il suo cuore a una misteriosa circostanza, verificatasi circa otto anni prima.
Una riunione segreta di cui l’anziano Naik, qualche tempo dopo, gli aveva parlato.
Il Tappo di Bottiglia
All’indomani del crollo dell’Unione Sovietica le grandi multinazionali del petrolio cominciarono a guardar con molto interesse alla zona del mar Caspio, le cui immense risorse di greggio avevano fatto la fortuna di grandi dinastie finanziarie come quelle dei Rothschild, con la loro Royal Dutch Shell – all’epoca ancora in feroce concorrenza con la Standard Oil di John Davison Rockefeller – e dei loro alleati Nobel, attirando successivamente le mire imperialistiche di Hitler, disposto a tutto pur di riuscire ad accaparrarsi i famosi pozzi di Baku, la Città dove soffia il vento, la gloriosa capitale dell’Azerbaigian.
Ma la colossale battaglia del Caucaso, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale, aveva visto la disfatta dei tedeschi nell’ottobre del 1943 e pian piano, nei decenni successivi alla guerra, le riserve petrolifere di quella che era stata anche soprannominata la Città nera si erano esaurite.
L’intera regione prometteva però moltissimo altro oro nero e valanghe di gas naturale. E una volta toltasi di mezzo l’Unione Sovietica, l’Occidente aveva pensato di metter le mani sopra quel ben di dio, aggirando una volta per tutte il monopolio russo. Second...