Il mondo secondo Garp
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Il mondo secondo Garp

John Irving

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Il mondo secondo Garp

John Irving

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Uno dei libri più venduti nel mondo, caratterizzato da una vena di pazzia e di tristezza, Il mondo secondo Garp è una splendida rassegna di atteggiamenti incongrui e imprevedibili verso il sesso, il matrimonio, la famiglia e il femminismo. Una donna "sessualmente sospetta", la madre di Garp, diviene bersaglio di un pazzo che odia le donne e che la ucciderà; Garp, a sua volta, diviene bersaglio delle femministe radicali e sarà vittima di una pazza che odia gli uomini. Un libro ironico e insieme drammatico che rivela le contraddizioni dell'America di fronte alle problematiche della liberazione sessuale. Un capolavoro personale, una chiara dimostrazione del credo morale ed estetico di Irving.

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Information

Publisher
BUR
Year
2013
ISBN
9788858645185

1

IL MISERICORDIA

La madre di Garp, Jenny Fields, fu arrestata a Boston nel 1942 per aver ferito un uomo, in un cinema. Ciò avvenne poco dopo l’attacco giapponese contro Pearl Harbor e la gente era, allora, molto tollerante nei confronti dei militari – poiché tutti, d’un tratto, eran andati soldati – ma Jenny Fields, dal canto suo, era decisa a non tollerare il comportamento degli uomini in genere e in specie dei soldati. In quel cinema le era toccato cambiar posto tre volte, ma il soldato si spostava anche lui, standole sempre più addosso. Quando Jenny venne a trovarsi dietro una stupida colonna che quasi le impediva di vedere lo schermo, decise che non si sarebbe mossa una quarta volta. Il soldato si spostò di nuovo e venne a sederle accanto.
Jenny aveva ventidue anni. Aveva piantato l’università senza neanche finire il primo anno, però aveva portato a termine la scuola da infermiera, e far questo mestiere le piaceva. Era una giovane donna di corporatura atletica, dalle guance sempre colorite; aveva i capelli bruni, lucenti, e una camminata che sua madre diceva mascolina: faceva oscillare le braccia; fianchi e sedere erano tanto snelli che, da dietro, sembrava un giovanotto. I seni – secondo lei – erano troppo grossi; Jenny pensava che, ostentando un tal petto, poteva passare per "una donna facile e dappoco".
Non era affatto tale. Anzi, aveva piantato l’università non appena le era balenato il sospetto che i suoi l’avevano mandata a Wellesley nella speranza di farla corteggiare e, poi, eventualmente, maritarla a un ragazzo di buona famiglia. A raccomandare la prestigiosa Wellesley erano stati i suoi fratelli più grandi, i quali avevano assicurato ai genitori che le ragazze di Wellesley godevano fama di serie ed erano ritenute molto ben maritabili. Jenny allora sentì che la sua educazione era soltanto una educata perdita di tempo, quasi fosse una vacca, allevata allo scopo di inserirle poi l’arnese per la fecondazione artificiale.
Si doveva laureare in letteratura inglese, ma quando si accorse che le sue compagne ci tenevano solo ad acquisire un tanto di garbo e sofisticazione per meglio trattare con gli uomini, non esitò a piantare lettere per la scuola da infermiera. Trovava che fosse più pratico e non vedeva, in questo studio, alcun secondo fine (in seguito scriverà – nella sua celebre autobiografia – che troppe infermiere si mettono in mostra per troppi dottori; ma questo lo dirà soltanto dopo aver smesso di far l’infermiera).
Le piaceva quella semplice uniforme senza fronzoli; la blusa dava poco risalto al petto; le scarpe erano comode e adatte al suo modo di camminare svelta. Durante i turni di notte, poteva anche leggere. Non aveva alcuna nostalgia dei colleghi d’università, ch’erano scontrosi e delusi se non ti compromettevi, e sprezzanti se invece gli cedevi. All’ospedale vedeva più soldati e più operai che studenti, e quelli erano più franchi e di meno pretese; se ti compromettevi un tantino, perlomeno erano contenti di rivederti. Poi, d’un tratto, tutti andarono soldati; e adesso si davano troppa importanza, come gli universitari; così Jenny la smise di aver a che fare con gli uomini.
"Mia madre," scrive Garp, "era un lupo solitario."


I Fields erano industriali calzaturieri. La madre di Jenny, una Weeks di Boston, aveva portato una cospicua dote al marito. Ai Fields era andata tanto bene che, da diversi anni ormai, si erano affrancati dalle fabbriche di scarpe. Abitavano adesso in una grande villa sulla costa del New Hampshire, a Dog’s Head Harbor. Jenny tornava a casa quando non era di turno, soprattutto per far contenta sua madre e convincere quella gran dama che, se anche si era "abbassata" a far l’infermiera, non si era affatto "involgarita" nel linguaggio né aveva preso "immorali" abitudini di vita.
Jenny spesso incontrava i fratelli alla stazione di Boston e faceva il viaggio in treno insieme a loro, quando tornava a casa. Come d’obbligo per tutti i Fields, essi sedevano sul lato destro della carrozza all’andata e su quello sinistro al ritorno verso Boston. Così voleva il loro padre, il quale, pur ammettendo che il paesaggio era più brutto, da quella parte, riteneva cionondimeno opportuno che i Fields contemplassero la sudicia fonte della loro fortuna e indipendenza. Sulla destra, venendo da Boston, e sulla sinistra andandovi, si vedeva infatti la principale fra le Fabbriche Fields, in località Haverhill, e si incontrava un vasto cartellone con su un’enorme scarpa che muoveva, decisa, un passo verso voi. Il cartellone torreggiava sullo scalo ferroviario e si specchiava nelle vetrate della fabbrica. Sotto quel minaccioso scarpone, la scritta:

FIELDS PER I VOSTRI PIEDI!

C’erano scarpe da lavoro Fields per ogni mestiere ("in fabbrica e sui campi") e quindi anche per infermiere. Suo padre gliene regalava un paio ogni volta che Jenny tornava a casa. Doveva averne ormai una dozzina di paia. Anche la signora Fields, convinta che sua figlia, lasciata Wellesley, andasse incontro a un sordido futuro, le faceva un regalo ogni volta. Le regalava una borsa per l’acqua calda: così almeno diceva; e Jenny la prendeva in parola, ma non aveva mai aperto quei pacchetti. La madre le chiedeva: "Cara, ce l’hai ancora la borsa per l’acqua calda che t’ho dato?" Jenny ci pensava su un momento e, convinta magari di averla dimenticata sul treno o gettata via, rispondeva: "Può darsi che l’abbia anche persa, mamma, ma certo non me ne serve un’altra." Ma la signora Fields, tirando fuori il pacchetto da un nascondiglio, insisteva perché Jenny l’accettasse (avvolto nella carta del negozio) e le raccomandava: "Per favore, Jennifer, sii meno sventata. E fanne uso, ti prego."
Jenny non aveva alcun bisogno di una borsa per l’acqua calda; trovava che fosse un aggeggio buffo, magari commovente, antiquato, per dare un conforto più che altro psicologico. Tuttavia alcuni di quei pacchetti arrivarono fino alla camera in affitto dove abitava, nei pressi dell’Ospedale della Misericordia. Li metteva in un armadio, accatastati, accanto alle scatole di scarpe da infermiera, mai aperte neanche quelle.
Si sentiva staccata dalla famiglia. Trovava strano che, dopo tante premure prodigatele da piccola, a un certo punto (prestabilito) quel flusso di affetto si fosse arrestato e fossero invece iniziate le pretese. Era come se, in una prima fase, alquanto breve, una fosse tenuta ad assorbire amore (fino alla sazietà) e poi, per un periodo assai più lungo e serio, una fosse tenuta a soddisfare certe aspettative. Quando aveva spezzato la catena, piantando Wellesley per un mestiere ordinario come quello di infermiera, Jenny aveva scaricato la famiglia; e i parenti, come se non potessero farne a meno, erano in procinto di scaricare lei. Per i Fields sarebbe stato assai più "dicevole" se Jenny, per esempio, avesse fatto il medico o fosse rimasta all’università fin quando non ne avesse sposato uno. Ogni volta che lei rivedeva suo padre, sua madre e i fratelli, si faceva più netto il reciproco disagio. Erano ormai impegnati in quel processo fastidioso ma necessario per arrivare a "disconoscersi" e far "disamicizia".
Succederà in tutte le famiglie, pensava Jenny Fields. Lei, per lei, era convinta però che, se mai avesse avuto figli, li avrebbe amati a venti non meno che a due anni. Anzi, pensava, a vent’anni forse hanno più ancora bisogno di te. Di che cosa hai bisogno, in fondo, a due anni? All’ospedale i bambini erano i pazienti più facili. Più grandi e più bisogno avevano; e meno si era disposti a voler loro bene.
Jenny aveva la sensazione di esser cresciuta a bordo di una grossa nave senza averne mai visto la sala-motori, e tanto meno aver capito come funzionasse. Le piaceva il modo in cui l’ospedale riduceva ogni cosa a: ciò che uno mangiava, se giovava averlo mangiato, e dove andava a finire. Da bambina, Jenny non aveva mai visto piatti sporchi; anzi credeva che, una volta sparecchiato, la serva li buttasse (solo da grandicella le fu consentito di entrare in cucina). E credeva che il camion che portava il latte portasse anche i piatti: l’acciottolio delle bottiglie, infatti, era molto simile al rumore che proveniva dalla cucina chiusa, dove le donne di servizio trafficavano con le stoviglie.
Jenny Fields aveva compiuto cinque anni quando vide per la prima volta la stanza da bagno di suo padre. La trovò a lume di naso, una mattina, seguendo la pista d’un’acqua di colonia. Lì dentro vide, avvolta nel vapore, una doccia – assai moderna, per il 1925 – un "vaso" privato e una sfilza di boccette e flaconi, tanto diversi da quelli di sua madre che le parve di aver scoperto la tana segreta di un uomo che vivesse, da anni, di nascosto, in casa loro. In effetti, era proprio così.
All’ospedale, Jenny sapeva dove andava a finire ogni cosa e stava imparando (non era questione di magia) da dove quasi ogni cosa venisse. Quando lei era ragazzina a Dog’s Head Harbor, ciascuno in famiglia aveva il suo bagno privato, la sua stanza, da chiudere a chiave, col suo specchio dietro la porta. All’ospedale, la privatezza non era sacra; nulla era segreto; se volevi uno specchio, dovevi chiederlo all’infermiera.
La cosa più misteriosa che, da bambina, le fosse stato concesso di esplorare da sola era la cantina. Qui c’era una grossa conca di terracotta che, ogni lunedì, veniva riempita di vongole. La mamma di Jenny spargeva sulle vongole farina di granturco ogni sera, e ogni mattina venivano risciacquate in acqua salsa, mediante un tubo che andava dalla cantina al mare. Alla fine della settimana le vongole erano belle grasse e monde di sabbia; persino troppo grosse per i loro gusci, ne ciondolavano oscenamente fuori. Jenny aiutava la cuoca a farne la cernita il venerdì: quelle morte non si ritraevano, a toccarle.
Jenny allora chiese un libro sulle vongole. Lesse tutto sui molluschi bivalvi: come mangiano, come crescono, come si riproducono. Era la prima cosa vivente su cui apprendesse ogni cosa: vita, amori e morte. A Dog’s Head Harbor, gli esseri umani non erano mica altrettanto accessibili. All’ospedale, Jenny poté poi recuperare in fretta il tempo perduto. E veniva scoprendo che la gente non è molto più misteriosa, né molto più attraente, dei molluschi bivalvi.
"Mia madre," scrive Garp, "non era tipo da far tante sottili distinzioni."
Una grossa diversità che avrebbe potuto riscontrare fra vongole e persone, è che queste ultime hanno perlopiù un certo senso dell’umorismo; ma Jenny non era affatto incline all’umorismo. C’era una barzelletta che, a quel tempo, faceva ridere tutte le sue colleghe, ma Jenny non la trovava affatto spiritosa. Era una barzelletta riguardante un ospedale di Boston. Gli ospedali di Boston erano tre: quello dove Jenny lavorava era il Boston Mercy Hospital, detto comunemente Boston Mercy, o il Misericordia; poi c’era il Massachusetts General Hospital, ch’era detto Mass General; e infine c’era il Peter Bent Brigham, ch’era chiamato solo Peter Bent.
Un giorno un tassista di Boston si sente chiamare da un ùomo che sbuca barcollando da un portone e che quasi stramazza sulla strada. L’uomo era paonazzo in faccia, si torceva dal dolore e quasi non riusciva a parlare. Il tassista l’aiuta a salire, e quello si accascia ai piedi del sedile, ripiegato su se stesso, con le ginocchia contro il petto.
"Ospedale!... Ospedale!..." esclama, mezzo strangolato.
E il tassista domanda: "Il Peter Bent?" ch’è infatti l’ospedale più vicino.
E l’uomo, gemendo: "It’s worse than bent!1 Molly me l’ha staccato con un morso!"
Poche barzellette facevano ridere Jenny Fields; e questa no di certo. Niente giochi di parole sull’uccello, per lei. Jenny si teneva alla larga dall’intera questione. Sapeva bene in quali guai può andare a cacciarsi un uccello, o cacciarci una donna. I bambini sono il meno. Certo, vedeva donne che non volevano aver figli e che, rimaste incinte, erano tristi. Non dovrebbero aver figli – pensava Jenny – se non li vogliono. Ma soprattutto lei provava pena per i nascituri. Vedeva anche donne che desideravano un figlio, naturalmente. E questo le metteva voglia di averne uno anche lei. Un giorno – pensava Jenny Fields – mi piacerebbe aver un figlio... uno solo. Ma il guaio era che voleva avere il meno possibile a che fare con un uccello; e nient’affatto con un uomo.
La maggior parte degli uccelli che Jenny vedeva curare erano di soldati. L’Esercito Usa avrebbe cominciato a beneficiare della penicillina solo nel 1943, e ben pochi soldati ne beneficiarono prima del 1945. Al Misericordia, nel ’42, gli uccelli venivano trattati con sulfamidici e arsenico. Per lo scolo si dava un preparato chiamato sulfatiazolo, con molta acqua. Per la sifilide – prima della penicillina – si usava neoarsfenamina. Per Jenny questa era l’epitome dei guai in cui il sesso poteva cacciarti: introdurre arsenico nell’organismo umano, per cercare di ripulirne tutta la parte chimica.
C’erano poi trattamenti locali all’uccello che richiedevano un bel po’ di liquidi. Spesso Jenny assisteva a tali disinfezioni, poiché il paziente aveva bisogno di molte attenzioni, in quei momenti. A volte, toccava tenerlo fermo. La procedura era semplice: si trattava di sifonare fino a cento centimetri cubici di liquido, su per l’asta e per l’uretra, prima che questa si riavesse dalla sorpresa e lo respingesse. Semplice, ma dolorosa procedura. L’inventore di questo metodo di cura era un certo Valentine, e il suo aggeggio si chiamava irrigatore Valentine, o il Valentino. Per molto tempo, dopo che l’apparecchio del dottor Valentine era stato ormai sostituito da altri più moderni, le infermiere del Misericordia seguitarono a chiamare "valentino" il lavaggio interno dell’ uccello: adeguata punizione per chi fa l’amore, secondo Jenny Fields.
"Mia madre," scrive Garp, "non era una romantica."


Quando quel soldato al cinema cominciò a darle noia, e a cambiare di posto dietro a lei, Jenny Fields pensò che un "valentino" sarebbe stata la cosa più adatta per lui. Ma non aveva con sé un irrigatore. Troppo grosso, per la sua borsetta. E poi occorreva la collaborazione del paziente. Quel che aveva con sé era un bisturi. Se lo portava sempre appresso. Non l’aveva rubato in sala operatoria: era un bisturi di scarto, poiché aveva una tacca sulla punta (era caduto in terra, probabilmente, o nel lavandino) quindi non era buono per lavori di fino. Ma non era per lavori di fino che a Jenny occorreva.
Dapprincipio le trinciava la fodera della borsetta; poi, con l’astuccio di un vecchio termometro, gli aveva fatto una sorta di cappuccio, a mo’ di stilografica. Fu questo il cappuccio che tolse quando il soldato seduto accanto a lei allungò un braccio sul bracciolo che le due poltroncine avevano (assurdamente) in comune. La lunga mano, penzoloni dal bracciolo, guizzava come la pelle d’un cavallo che scaccia a brividi le mosche. Jenny impugnava il bisturi dentro la borsetta; con l’altra mano si teneva la borsetta stretta in grembo. L’uniforme da infermiera, per lei, era come un sacro scudo ma, per chissà quali perversi motivi, era proprio la sua lucentezza ad attrarre simili insetti molesti.
"Mia madre," scrive Garp, "è sempre stata all’erta, in vita sua, contro scippa-borsette e scippa-patacche."
In quel cinema, non era la borsetta cui il soldato mirava. Le toccò un ginocchio. Jenny allora gli disse, chiaro e tondo: "Mi tolga quella lurida manaccia di dosso." Varie persone si voltarono.
"Oh, su, via," gemette il soldato, e le infilò la mano, rapidamente, sotto la gonna. Trovò le cosce strettamente unite... e si trovò col braccio, tutto quanto, dalla spalla fino al polso, spaccato come un cocomero. Jenny gli aveva squarciato, nettamente, la camicia, la pelle e la fascia muscolare mettendo a nudo l’osso del gomito, in men che non si dica. ("Se avessi voluto ucciderlo," dirà poi alla polizia, "gli avrei reciso il polso. Faccio l’infermiera. So come si svena la gente.")
Il soldato si mise a urlare. Balzò su e, ricadendo, menò una botta a Jenny con il braccio sano, colpendola a un orecchio tanto forte che le rintronò la testa. Jenny allora vibrò una rasoiata, che gli portò via una fetta di labbro superiore, larga e spessa pressappoco quanto l’unghia d’un pollice. ("Non volevo segargli la gola," dirà poi alla polizia. "Solo tagliargli via il naso, ma non ci sono riuscita.")
Piangendo, carponi, il soldato scappò per il corridoio fra le poltrone, cercando scampo nell’atrio illuminato. Qualcuno in platea si era messo a frignare, per lo spavento.
Jenny nettò il bisturi sul sedile, lo rimise nella borsa, lo rinfoderò nell’astuccio del termometro. Poi si diresse verso l’atrio, donde si udivano acuti strilli, mentre il bigliettaio, sulla soglia, gridava rivolto alla buia platea: "C’è un medico in sala? Per favore! C’è un medico qui?"
C’era un’infermiera, e Jenny andò a prestare soccorso come poteva. Quando il soldato la vide, svenne; non per perdita di sangue. Le ferite al viso, lo sapeva, traggono in inganno. Il profondo squarcio al braccio andava subito curato, ma non c’era comunque rischio di dissanguamento. Nessuno lo sapeva, tranne Jenny; gli altri erano sgomenti alla vista di tanto sangue. Buona parte di esso imbrattava la bianca uniforme da infermiera. Allora arguirono ch’era stata lei. I vallet...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA VITA E LE OPERE DI JOHN IRVING
  4. INTRODUZIONE DELL’AUTORE (maggio 1998)
  5. Dedica
  6. 1 - IL MISERICORDIA
  7. 2 - ROSSO SANGUE E BLU MARE
  8. 3 - COSA VOLEVA FARE DA GRANDE
  9. 4 - IL DIPLOMA
  10. 5 - NELLA CITTÀ DOVE MORÌ MARCO AURELIO
  11. 6 - LA PENSIONE GRILLPARZER
  12. 7 - ANCORA LUSSURIA
  13. 8 - SECONDO FIGLIO, SECONDO ROMANZO, SECONDO AMORE
  14. 9 - L’ETERNO MARITO
  15. 10 - IL CANE NEL VICOLO, IL BAMBINO NEL CIELO
  16. 11 - LA SIGNORA RALPH
  17. 12 - SUCCEDE A HELEN
  18. 13 - WALT SI BUSCA UN RAFFREDDORE
  19. 14 - IL MONDO SECONDO MARCO AURELIO
  20. 15 - IL MONDO SECONDO BENSENHAVER
  21. 16 - IL PRIMO ASSASSINO
  22. 17 - IL PRIMO FUNERALE FEMMINISTA E ALTRI FUNERALI
  23. 18 - USI E COSTUMI DEL SOTTO ROSPO
  24. 19 - LA VITA DOPO GARP
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APA 6 Citation

Irving, J. (2013). Il mondo secondo Garp ([edition unavailable]). RIZZOLI LIBRI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3299167/il-mondo-secondo-garp-pdf (Original work published 2013)

Chicago Citation

Irving, John. (2013) 2013. Il Mondo Secondo Garp. [Edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. https://www.perlego.com/book/3299167/il-mondo-secondo-garp-pdf.

Harvard Citation

Irving, J. (2013) Il mondo secondo Garp. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. Available at: https://www.perlego.com/book/3299167/il-mondo-secondo-garp-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Irving, John. Il Mondo Secondo Garp. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI, 2013. Web. 15 Oct. 2022.