L'età dell'innocenza
eBook - ePub

L'età dell'innocenza

Edith Wharton

  1. 299 pages
  2. Italian
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

L'età dell'innocenza

Edith Wharton

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Nel ricco mondo dell'alta società newyorkese di fine Ottocento Archer conosce Ellen, moglie separata di un corrotto conte polacco. Ellen ha una personalità troppo schietta e sensibile per poter essere accettata in una società estremamente formale ma Archer, già fidanzato con la cugina di Ellen, May, se ne innamora profondamente. Allo stesso tempo però non vuole e non può sottrarsi ai suoi impegni con May. La storia di un amore distrutto dalle regole di una società ipocrita, dalle sue rigide convenzioni e dai pettegolezzi spietati; la storia di una donna che per amore sarebbe andata contro tutto e tutti, e di un uomo che a quel mondo falso non ha saputo sottrarsi. Un romanzo sulla libertà e su un amore che è soprattutto rimpianto, che non ha mai esaurito il suo potere sovversivo.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is L'età dell'innocenza an online PDF/ePUB?
Yes, you can access L'età dell'innocenza by Edith Wharton in PDF and/or ePUB format. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Publisher
BUR
Year
2010
ISBN
9788858601921

L’ETÀ DELL’INNOCENZA

LIBRO PRIMO

1

Una sera di gennaio dei primi anni Settanta, Christine Nilsson cantava nel Faust all’Academy of Music di New York.
Sebbene si cominciasse già a parlare dell’edificazione, in remote metropolitane lontananze “oltre la Quarantanovesima”, di un nuovo Teatro dell’Opera, che avrebbe gareggiato per dispendio e splendore con quelli delle grandi capitali europee, il mondo elegante era comunque soddisfatto di riunirsi ancora ogni inverno nei frusti palchi rosso e oro dell’affabile, vecchia Academy. I conservatori le erano affezionati perché essendo piccola e scomoda teneva a distanza la “gente nuova” che New York cominciava a paventare pur continuando a esserne attratta; i sentimentali le erano attaccati per le sue connotazioni storiche, e gli amanti della musica per la sua eccellente acustica, qualità sempre così problematica nelle sale costruite per l’ascolto della musica.
Era la prima comparsa della Nilsson quell’inverno, e ciò che i quotidiani avevano già imparato a definire “un pubblico eccezionalmente brillante” si era raccolto per ascoltarla, trasportato per le strade scivolose e innevate in brum privati, negli spaziosi landò di famiglia oppure nei più modesti ma più pratici “Brown coupé”. Giungere all’Opera in un Brown coupé era quasi altrettanto onorevole che arrivarvi nella propria carrozza; e ripartirsene col medesimo mezzo aveva l’immenso vantaggio di essere in condizione (con scherzosa allusione ai principi democratici) di balzare nella prima vettura Brown della fila, invece di attendere finché il naso congestionato dal freddo e dal gin del proprio cocchiere non brillasse sotto il portico dell’Academy. Una delle più magistrali intuizioni del gran proprietario di cavalli da nolo, questa d’aver scoperto che gli americani vogliono fuggirsene dal divertimento ancor più velocemente di quanto vogliano raggiungerlo.
Quando Newland Archer aprì la porta di fondo del palco del circolo, il sipario si era appena alzato sulla scena del giardino. Non c’era nessuna ragione per cui il giovane avrebbe dovuto arrivare prima, poiché aveva pranzato alle sette, con la madre e la sorella solamente, e aveva poi indugiato in compagnia di un sigaro nella biblioteca in stile gotico, con gli scaffali a vetri di noce nero e le sedie dagli schienali a fiore crociforme, la sola stanza della casa dove la signora Archer permetteva che si fumasse. Ma, in primo luogo, New York era una metropoli, e perfettamente consapevole che nelle metropoli “non sta bene” arrivare presto all’opera; e ciò che stava o non stava “bene” giocava un ruolo nella New York di Newland Archer altrettanto importante di quello degli inscrutabili totemici terrori che avevano governato i destini dei suoi progenitori migliaia di anni fa.
La seconda ragione del suo ritardo era personale. Si era gingillato con il suo sigaro perché nell’intimo era un dilettante, e il pensare a un piacere a venire spesso gli procurava una soddisfazione più sottile del realizzarlo. In particolare quando il piacere era di quelli delicati, come la maggior parte dei suoi. E in questa circostanza il momento che attendeva con impazienza era di qualità così rara e squisita che… be’, se avesse fatto coincidere il suo arrivo coi tempi del direttore di scena della prima donna, non sarebbe potuto entrare all’Academy in un momento più significativo di quello in cui lei avrebbe cantato: «M’ama… non m’ama… m’ama!» cospargendo i petali cadenti della margherita di note limpide come rugiada.
Cantava, naturalmente, «M’ama!» e non «He loves me», dal momento che una legge inalterabile e indiscussa del mondo musicale richiedeva che il testo tedesco di un’opera francese cantato da artisti svedesi dovesse essere tradotto in italiano per la più chiara comprensione da parte di un pubblico di lingua inglese. Questo a Newland Archer pareva tanto naturale quanto tutte le altre convenzioni su cui la sua vita era modellata, come per esempio dover impiegare due spazzole dal dorso d’argento col suo monogramma in smalto azzurro per farsi la riga nei capelli, e non apparire mai in società senza un fiore (preferibilmente una gardenia) all’occhiello.
«M’ama… non m’ama…» cantava la prima donna, e «M’ama!» in un finale scoppio d’amore trionfante, premendosi sulle labbra la malconcia margherita e levando gli occhioni al volto cinico del brunetto Faust-Capoul, che tentava vanamente, in farsetto attillato di velluto viola e berretto piumato, di apparire puro e sincero come la sua ingenua vittima.
Newland Archer, appoggiato alla parte di fondo del palco, distolse gli occhi dalla scena e si pose a scrutare l’uditorio dirimpetto. Esattamente di fronte a lui c’era il palco della vecchia signora Manson Mingott, la cui mostruosa obesità da moltissimo tempo le aveva reso impossibile frequentare l’Opera, ma che nelle serate di gala sempre si faceva rappresentare da qualcuno dei membri più giovani della famiglia. Stavolta, il davanti del palco era occupato dalla nuora, la signora Lovell Mingott, e dalla figlia, la signora Welland; leggermente discosta dietro quelle matrone in broccato sedeva una giovane in bianco con gli occhi estaticamente fissi sugli amanti in scena. Come il “M’ama!” della Nilsson palpitò sopra il muto uditorio (i palchi interrompevano sempre il loro chiacchericcio durante l’aria della margherita) un rosa intenso salì alle gote della fanciulla, ammantandole la fronte sino alla radice delle trecce bionde, e soffuse il giovane clivio del petto fino al limite in cui questo incontrava un pudico fisciù di tulle fermato da una sola gardenia. Lei abbassò gli occhi sullo smisurato bouquet di mughetti che aveva sulle ginocchia, e Newland vide la punta delle sue dita guantate di bianco toccare delicatamente i fiori. Tirò un sospiro di soddisfatta vanità e i suoi occhi tornarono alla scena.
Non si era badato a spese per gli scenari, che furono riconosciuti come bellissimi persino da coloro che frequentavano i teatri d’Opera di Parigi e Vienna. Il primo piano, fino alla ribalta, era ricoperto di una stoffa verde smeraldo. Nella zona mediana, cumuli simmetrici di lanoso muschio verde delimitati da archetti da croquet formavano la base per arbusti a forma di aranci costellati però da grandi rose rosa e rosse. Gigantesche pansé, considerevolmente più grandi delle rose, e assai somiglianti ai nettapenne floreali opera delle parrocchiane per i curati mondani, spuntavano dal muschio sotto i rosai, e qua e là una margherita innestata su un ramo di rosa fioriva con un rigoglio presago dei remoti prodigi del signor Luther Burbank.1
Al centro di questo giardino incantato la Nilsson, in cachemire bianco tagliato da satin azzurro pallido, borsetta a rete penzolante da una fascia in vita azzurra, e grandi trecce gialle accuratamente disposte ai lati della camicetta di mussola, ascoltava a occhi bassi la corte appassionata di Capoul, affettando una candida incomprensione dei suoi disegni ogniqualvolta, con la parola o con lo sguardo, lui persuasivamente le indicava la finestra a pianterreno della linda villa di mattoni che sporgeva obliqua dalle quinte di destra.
“Che tesoro!” pensò Newland Archer, posando rapido nuovamente lo sguardo sulla giovane coi mughetti. “Non immagina neppure di cosa si tratta.” E contemplò il giovane viso assorto con un fremito di possesso in cui l’orgoglio per la propria maschile iniziazione si mescolava alla tenera riverenza per l’incommensurabile purezza di lei. “Leggeremo il Faust insieme… in riva ai laghi italiani…” pensò, in qualche modo indistintamente confondendo la scena della sua progettata luna di miele con i capolavori della letteratura che avrebbe avuto il virile privilegio di rivelare alla sua sposa. Soltanto quel pomeriggio May Welland gli aveva lasciato intendere che “ci teneva” (consacrata frase newyorchese di verginale dichiarazione), e già la sua immaginazione, saltando a piè pari anello di fidanzamento, bacio di promessa e marcia del Lohengrin, se la figurava al suo fianco in qualche scenario gravido del sortilegio dell’antica Europa.
Non desiderava affatto che la futura signora Newland Archer fosse una sempliciotta. Intendeva (grazie alla sua istruttiva compagnia) che sviluppasse il tatto mondano e la prontezza di acume in grado di renderla all’altezza delle donne sposate più in vista del “gruppo delle più giovani”, nel quale era tacita consuetudine attirare l’omaggio maschile allegramente scoraggiandoli un attimo dopo. Se Archer avesse sondato gli abissi della propria vanità (cosa che talvolta quasi gli riusciva) vi avrebbe rinvenuto il desiderio che la moglie divenisse navigata e bramosa di piacere come la signora sposata la cui seduzione aveva tenuto avvinta la sua immaginazione per quei due anni blandamente agitati; senza, naturalmente, la minima traccia della fragilità che aveva quasi guastato la vita di quell’infelice creatura e scompigliato i suoi stessi piani per un intero inverno.
In quale modo questo miracolo di fuoco e di ghiaccio avrebbe preso forma e avrebbe resistito alla crudezza del mondo, non era cosa a cui si fosse mai preso la briga di pensare; si accontentava di rimanere saldo nel suo punto di vista senza analizzarlo, poiché sapeva che era il medesimo di tutti gli azzimatissimi signori in panciotto bianco e fiore all’occhiello che si avvicendavano nel palco del circolo, scambiavano con lui amichevoli saluti e volgevano con aria censoria i binocoli da teatro sull’adunanza di signore che costituivano il prodotto del loro sistema. Nelle faccende intellettuali e artistiche Newland Archer si sentiva nettamente superiore a questi esemplari scelti della vecchia aristocrazia newyorchese; probabilmente aveva letto di più, pensato di più e persino visto un bel po’ di mondo in più di qualsiasi altro del gruppo. Presi singolarmente essi tradivano la loro inferiorità, ma messi insieme rappresentavano “New York”, e l’abitudine alla solidarietà maschile lo portava ad accettare la loro dottrina in tutte le questioni definite morali. Istintivamente sentiva che a questo riguardo sarebbe stato importuno — e anche piuttosto ineducato — distinguersi.
«Davvero… in fede mia!» esclamò Lawrence Lefferts, allontanando bruscamente il binocolo dal palcoscenico. Lawrence Lefferts era, nel complesso, la principale autorità di New York per quanto concerneva la “forma”. Probabilmente aveva dedicato molto più tempo di chiunque altro allo studio di questa intricata e affascinante materia; ma il solo studio non era sufficiente a dar conto della sua totale e disinvolta competenza. Bastava guardarlo, dall’inclinazione della fronte stempiata e dalla curva dei bei baffi biondi ai lunghi piedi in coppale all’altra estremità della sua magra ed elegante persona, per intuire che la conoscenza della “forma” doveva essere congenita in chiunque sapesse indossare simili abiti eleganti con aria così negligente e portare una simile statura con tanta indolente grazia. Come un giovane ammiratore aveva detto di lui una volta: «Se esiste chi è in grado di dire quando si debba o non si debba indossare la cravatta nera con l’abito da sera, questi è Larry Lefferts». E sulla questione coppale contro “Oxford”,2 la sua autorità non era mai stata messa in discussione.
«Dio mio!» disse, e silenziosamente porse il binocolo al vecchio Sillerton Jackson.
Newland Archer, seguendo lo sguardo di Lefferts, vide con sorpresa che la sua esclamazione era stata provocata dall’ingresso di una nuova figura nel palco della vecchia signora Mingott: una giovane donna snella, un poco più bassa di May Welland, coi capelli bruni disposti in fitti riccioli sulle tempie e tenuti a posto da un sottile nastro di diamanti. Quanto suggerito dall’acconciatura — allora definita “alla Joséphine” — veniva portato a termine dal taglio dell’abito di velluto blu scuro che piuttosto teatralmente era trattenuto sotto il petto da una fascia con un gran fermaglio ormai fuori moda. Colei che indossava quell’inusitato vestito, e che pareva assolutamente inconsapevole dell’attenzione che suscitava, rimase un istante al centro del palco, discutendo con la signora Welland l’opportunità di prenderne il posto nell’angolo di destra anteriore, poi cedette con un lieve sorriso e si sedette alla stessa altezza della cognata della signora Welland, la signora Lovell Mingott, che occupava l’angolo opposto.
Sillerton Jackson aveva restituito il binocolo da teatro a Lawrence Lefferts. Tutti i membri del circolo si volsero istintivamente per udire quel che aveva da dire il vecchio, perché il vecchio signor Jackson era un’autorità tanto grande in fatto di “casato” quanto Lawrence Lefferts in fatto di “forma”. Conosceva tutte le ramificazioni delle cuginanze di New York, ed era in grado non solo di sviscerare questioni complicate quali la parentela tra i Mingott (tramite i Thorley) e i Dallas della Carolina del Sud e della consanguineità tra il ramo maggiore dei Thorley di Philadelphia e i Chivers di Albany (assolutamente da non confondersi coi Manson Chivers di University Place), ma poteva anche elencare le caratteristiche salienti di ciascuna famiglia, come, ad esempio, la leggendaria tirchieria delle linee cadette dei Lefferts (quelli di Long Island), o la fatale tendenza dei Rushworth a fare unioni insensate, o la follia ricorrente ogni due generazioni dei Chivers di Albany, con cui i loro cugini di New York si erano sempre rifiutati di contrarre matrimonio, fatta salva la disastrosa eccezione della povera Medora Manson, che, come tutti sapevano… ma d’altra parte la madre era una Rushworth.
In aggiunta a questa foresta di alberi genealogici, Sillerton Jackson recava, tra le strette tempie i...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Cronologia
  5. Bibliografia
  6. L’età dell’innocenza
  7. Sommario
Citation styles for L'età dell'innocenza

APA 6 Citation

Wharton, E. (2010). L’età dell’innocenza ([edition unavailable]). RIZZOLI LIBRI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3304287/let-dellinnocenza-pdf (Original work published 2010)

Chicago Citation

Wharton, Edith. (2010) 2010. L’età Dell’innocenza. [Edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. https://www.perlego.com/book/3304287/let-dellinnocenza-pdf.

Harvard Citation

Wharton, E. (2010) L’età dell’innocenza. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. Available at: https://www.perlego.com/book/3304287/let-dellinnocenza-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Wharton, Edith. L’età Dell’innocenza. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI, 2010. Web. 15 Oct. 2022.