Tutte le poesie
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Tutte le poesie

1949-2004

Giovanni Raboni, Rodolfo Zucco

  1. 592 pages
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Tutte le poesie

1949-2004

Giovanni Raboni, Rodolfo Zucco

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Con il Porta comincia, nella poesia italiana, quella linea lombarda, potentemente realistico-narrativa e, per cosí dire, antipetrarchesca, che si ritrova anche all'interno della poesia del Novecento e che è l'unica della quale io aspiri a far parte, nonostante i molti debiti che so di avere nei confronti di altri poeti, da Baudelaire (che considero il piú grande poeta moderno) a Pound (che considero il piú grande inventore di possibilità poetiche del nostro secolo), - e poi, per venire a nomi piú vicini o addirittura vicinissimi, quasi fraterni, a Rebora, a Montale, a Saba, a Sereni. Da Giovanni Raboni, Autoritratto 1977 *** Parlando dei temi portanti del mio lavoro di poeta, ho finora ricordato l'importanza e il fascino per me del racconto evangelico, ho ricordato le storie familiari, ho ricordato il rapporto con gli scomparsi - persone care, amici -, ho ricordato l'irruzione a un certo punto del tema amoroso. Non ho parlato di quello che molti ritengono abbastanza importante nella mia esperienza poetica, cioè il cosiddetto tema civile. Alcuni critici l'hanno messo addirittura al primo posto fra i temi della mia poesia. Di solito, quando mi chiedono cosa penso di questo aspetto del mio lavoro, dico che, sí, le poesie civili sono forse le piú private che io abbia mai scritto, nel senso che non ho mai voluto essere un poeta civile. Non lo dico per polemica, ma insomma c'è stato piú d'un poeta, per esempio Pasolini, che ha voluto essere poeta civile, che si è costruito un'immagine di poeta civile. Per me non è cosí. Io ho affrontato temi civili semplicemente perché ne sentivo l'urgenza, ne sentivo l'urgenza intima: o per un moto di indignazione, o di preoccupazione, o di sgomento; quindi le ritengo, appunto, poesie altrettanto private, se non piú private delle piú intime. Da Giovanni Raboni, Autoritratto 2003

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Information

Publisher
EINAUDI
Year
2014
ISBN
9788858416068
Subtopic
Poetry

Parte I

Autoritratto 1977

Quando io sono nato, quarantacinque anni fa, a Milano, i miei genitori abitavano in via San Gregorio. Era una casa né vecchia né nuova, credo che risalisse – come tante altre case in quella zona di Milano – agli anni intorno alla prima guerra mondiale. Una volta, da quelle parti, c’era la stazione ferroviaria; credo che dalle finestre di casa mia si vedessero i binari. Ma nel 1932, quando io sono nato, i binari non si vedevano piú, non c’erano piú: e dalla finestra della stanza dove dormivo con mio fratello piú grande si guardava su un terreno vago che ricordava la periferia anche se, in realtà, non eravamo in periferia. Questo terreno vago si animava – soprattutto di pomeriggio, e soprattutto di sabato pomeriggio – di giochi di ragazzi. Giocavano al pallone, alla guerra, agli indiani. Forse dovrei dire: giocavamo; mi sembra molto probabile di aver partecipato a quei giochi, ma non ne ho nessun ricordo preciso. Quello che ricordo, invece, è di aver guardato altri ragazzi giocare. Erano giochi deliziosi. Quella finestra è, sicuramente, uno dei luoghi, o meglio delle situazioni, che mi hanno spinto a voler essere un poeta, a voler scrivere delle poesie. Per molto tempo ho pensato che una poesia dovesse essere come quella finestra. Mi sembrava che una poesia fosse un vetro attraverso il quale si potevano vedere molte cose – forse, tutte le cose; però un vetro, e il fatto che il vetro fosse trasparente non era piú importante del fatto che il vetro stesse in mezzo, che mi isolasse, mi difendesse. I giochi erano al di là del vetro, mentre io ero al di qua. Credo che non riuscirò mai a far capire la straordinaria delizia di questa situazione. Quello che è certo, comunque, è che quando ho cominciato a scrivere poesie la mia piú grande aspirazione era di ritrovare quel tipo di delizia o, se si vuole, di privilegio. Di ogni poesia avrei voluto fare un osservatorio difesissimo e trasparente, un osservatorio per guardare la vita – cioè, forse, per non viverla. Naturalmente, la storia di quella che io considero adesso la mia poesia comincia dopo; comincia, immagino, proprio con la negazione, con la rinuncia a tutto questo: la finestra, l’osservatorio, la trasparenza. Ma la faccenda non dev’essere ancora del tutto risolta, almeno nel mio inconscio, se ancora pochi anni fa mi è capitato di scrivere questa poesia dopo averla, credo, almeno in parte, veramente sognata:
Come cieco, con ansia...
Come cieco, con ansia, contro
il temporale e la grandine, una
dopo l’altra chiudevo
sette finestre.
Importava che non sapessi quali.
Solo all’alba, tremando,
con l’orrenda minuzia di chi si sveglia o muore,
capisco che ho strisciato
dentro il solito buio,
via San Gregorio primo piano.
Al di qua dei miei figli,
di poter dare o prendere parola.
Questa poesia fa parte di un ciclo che si chiama Parti di requiem. Il ciclo è dedicato alla memoria di mia madre e si chiude con una poesia che si riconnette anch’essa, in qualche modo, al dilemma fra responsabilità e irresponsabilità della poesia di fronte alla vita (e alla morte, naturalmente):
Amen
Quando sei morta stavamo
in una casa vecchia. L’ascensore non c’era. C’era spazio
da vendere per pianerottoli e scale.
Dunque non t’è toccato di passare
di spalla in spalla per angoli e fessure,
d’essere calcolata a spanne, raddrizzata
nel senso degli stipiti. Sparire
era piú lento e facile quando tu sei sparita.
Parecchie volte, dopo, mi è sembrata
una bella fortuna.
Eppure, se ci pensi, in poche cose
c’è meno dignità che nella morte,
meno bellezza. Scendi a pianterreno
come ti pare, porta o tubo, infílati
dove capita, scatola di scarpe
o cassa d’imballaggio, orizzontale
o verticale, sola o in compagnia,
liberaci dall’estetica e cosí sia.
Ho accennato, prima, al fatto che la vera storia della mia poesia comincia con la rinuncia al sogno di felice autoemarginazione che ha dominato la mia adolescenza e che appartiene, forse, agli inizi di ogni poeta. È inutile precisare che questa rinuncia ha coinciso, per me, con l’ingresso nell’età adulta. Piuttosto, vorrei cercare, e non solo per civetteria o per nostalgia, di legare anche questa fase diversa e piú matura della mia poesia e della mia vita al luogo dove sono nato – alla mia città e, dentro la mia città, alla mia casa. Nel 1821, quando è morto, il grande poeta milanese Carlo Porta è stato sepolto nel cimitero di San Gregorio. E io vorrei ricordare di sfuggita che proprio con il Porta comincia, nella poesia italiana, quella linea lombarda, potentemente realistico-narrativa e, per cosí dire, antipetrarchesca, che si ritrova anche all’interno della poesia del Novecento e che è l’unica della quale io aspiri a far parte, nonostante i molti debiti che so di avere nei confronti di altri poeti, da Baudelaire (che considero il piú grande poeta moderno) a Pound (che considero il piú grande inventore di possibilità poetiche del nostro secolo), – e poi, per venire a nomi piú vicini o addirittura vicinissimi, quasi fraterni, a Rebora, a Montale, a Saba, a Sereni.
Poi, sul conto di via San Gregorio, c’è stata un’altra scoperta: la scoperta che, per un tratto, la via dove vivevo coincideva con il perimetro del Lazzaretto – il Lazzaretto della grande peste di Milano, quella di cui parla il Manzoni nei Promessi Sposi e nella Storia della colonna infame. Un pezzo del muro di cinta del Lazzaretto è ancora visibile, in via San Gregorio. Sono convinto che questa seconda scoperta sia stata, per me, ancora piú importante della prima. Grazie al Lazzaretto, al fatto di esser nato, per cosí dire, ai suoi margini, credo di essermi reso conto in un modo concreto, fisico – un modo che nessun libro, nessuna lettura mi avrebbe consentito – che la mia città non era solo quello che vedevo, case, strade, piazze, gente viva, ma era anche piena di storia, cioè di case, strade, piazze che non c’erano piú e di gente che non era piú viva, di gente morta. Mi sono reso conto, insomma, che la mia città visibile era piena di storia invisibile, e che questa storia era, a sua volta, piena di dolore, di minacce, di paura. Da quel momento, credo, è entrato nella mia poesia il tema della peste: peste metaforica, si capisce: peste come contagio e condanna, come circolarità e anonimato dell’ingiustizia. A questo proposito vorrei leggere, una in fila all’altra, alcune poesie dalle quali, forse, si...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Tutte le poesie
  3. Parte prima
  4. Parte seconda
  5. Nota al testo di Rodolfo Zucco
  6. Il libro
  7. L’autore
  8. Dello stesso autore
  9. Copyright
Citation styles for Tutte le poesie

APA 6 Citation

Raboni, G. (2014). Tutte le poesie ([edition unavailable]). EINAUDI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3378991/tutte-le-poesie-19492004-pdf (Original work published 2014)

Chicago Citation

Raboni, Giovanni. (2014) 2014. Tutte Le Poesie. [Edition unavailable]. EINAUDI. https://www.perlego.com/book/3378991/tutte-le-poesie-19492004-pdf.

Harvard Citation

Raboni, G. (2014) Tutte le poesie. [edition unavailable]. EINAUDI. Available at: https://www.perlego.com/book/3378991/tutte-le-poesie-19492004-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Raboni, Giovanni. Tutte Le Poesie. [edition unavailable]. EINAUDI, 2014. Web. 15 Oct. 2022.