Mozart
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Mozart

Wolfgang Hildesheimer

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Mozart

Wolfgang Hildesheimer

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A due secoli e mezzo dalla nascita, Mozart resta ancora per molti versi un mistero. Infinite sono state le interpretazioni, le invenzioni e le leggende sul musicista: nessuna, tuttavia, che fosse convincente fino in fondo, nessuna che riuscisse a collegare lo straordinario genio creatore all'uomo Mozart. In un saggio divenuto un classico imprescindibile degli studi mozartiani, capace di intrecciare in modo perfetto aspetti musicali e biografici, Wolfgang Hildesheimer indaga attraverso lettere e documenti i lati più enigmatici della personalità del compositore e fa emergere elementi centrali della sua musica esaminando i processi creativi che lo portarono alla composizione dei suoi capolavori, riuscendo così a offrire un'immagine nuova, viva e finalmente credibile di Mozart nella sua totalità di uomo e di artista.

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IL NOME MOZART, come il nome Beethoven o Haydn, è legato ad una figura unica, e come tale è inimmaginabile in altra personificazione; impensabile che qualcuno oggi sia all’altezza di un simile privilegio. Tuttavia ‘Mozart’, presso tutti coloro che si avvalgono del concetto di ‘musicalità ’ – qualsiasi cosa poi esso significhi – in forma ancor più precisa degli altri due nomi induce all’individuazione di una particolare disposizione ricettiva, una specie di trasfigurazione: qui – questa più o meno l’inespressa motivazione di un sentire collettivo – una apparizione unica e singolare, incomparabile nel suo genere, si trova incontestabilmente e per sempre sulla lista dei crediti della vita, così dominante e onnipresente che ci riconcilia con parte di ciò di cui la vita resta in debito con noi. Mozart sembra essere la riconciliazione per eccellenza, una specie di miracolo redentore. Egli stesso, naturalmente, non ebbe il benché minimo sospetto di poter adempiere a posteriori a una tale funzione. Mai avrebbe valutata così ampia la portata del silenzioso applauso, che gli parve di cogliere nella reazione del pubblico viennese al Flauto Magico verso la fine della sua vita – vita, obiettivamente, difficile da sopportare. Ma ancor meno avrebbe potuto pensare che il suo nome divenisse sinonimo di ogni ‘bello-ultraterreno’ e di ogni ‘terrena-levità-presaga’ – tanto per restare in tono con un condensato di terminologia entusiastica. Certo era conscio del proprio valore, può persino darsi ponesse se stesso al grado più alto della sua scala di valori, che era tuttavia relativa, in quanto legata alla sua posizione rispetto al tempo e al mondo in cui viveva. Non gli sarebbe forse riuscito di esprimere a parole un criterio di giudizio assoluto, né esso si trova in alcuna delle sue asserzioni documentate; del resto non vi compare mai neppure l’espressione superlativa dell’entusiasmo assoluto. Mozart si riteneva uomo «di superiore talento» che non poteva «disconoscere senza essere empio» (lettera dell’11 settembre 1778), come tale certamente superiore a tutti gli altri, tranne che a Haydn, da lui venerato. Il suo atteggiamento distaccato ed ironico nei confronti della popolarità – calcolò con molta precisione quando doveva diventar popolare, e suo padre del resto glielo fece capire ad abundantiam – la sua crescente indifferenza per onori elitari ai quali era stato avvezzo, quasi ancora bambino, durante il suo viaggio in Italia, contribuirono certamente a determinare il suo destino, e tuttavia attestano il superiore distacco dell’uomo davvero grande. Ossequio all’autorità e servilismo gli erano estranei, indifferenti nobiltà e onorificenze. Non per niente dimenticò a casa i diplomi accademici che dovevano servirgli durante il viaggio a Mannheim e Parigi del 1777-1779, e fu necessario spedirglieli. Possedeva una decorazione papale superiore a quella di Gluck – prima di lui solo Orlando di Lasso tra i musicisti l’aveva ottenuta – ma probabilmente non la portò più dopo che a causa sua fu svillaneggiato da due insolenti giovani patrizi di Augsburg durante il viaggio a Parigi (lettera del 16 ottobre 1777). Del resto è anche impossibile stabilire se i titoli gli sarebbero stati in seguito utili in qualche modo, probabilmente se ne scordò egli stesso. Ad ogni modo non gli sarebbe mai venuto in mente di presentarsi come ‘Ritter von Mozart’ se non in quelle lettere in cui parodiava se stesso o storpiava il titolo per definirsi ‘Ritter von Sauschwanz’ (Cavalier Codadiporco). Dopo i viaggi in Italia, diciassettenne, firmò alcune delle sue più importanti partiture con ‘Cavaliere’ o ‘Chevalier’, per ritornare poi però presto ‘Wolfgang Amadè Mozart’. Non fece mai uso del nome ‘Amadeus’ se non per scherzo: Wolfgangus Amadeus Mozartus. Il nome non compare neppure nel registro di battesimo, è un prodotto dell’esigenza di perfezione ortografica dei suoi biografi. Firmava le proprie lettere per lo più con Mozart, più tardi appose a raccomandazioni o a richieste il titolo di ‘Kapellmeister in kaiserlichen Diensten’ (maestro di cappella al servizio dell’Imperatore) non perché conferisse autorità, dato che la funzione era modesta, ma perché la precisava, ritenendo forse utile far sapere al destinatario chi poi fosse questo Mozart. Gli era estranea la vanagloria, ma lasciava libero il gioco alla propria superiorità, non sempre senza una maliziosa sottolineatura. Aveva bisogno di riconoscimenti, per lo meno fino alla grande rinuncia degli ultimi anni. Attribuiva il massimo valore all’elogio di coloro che egli stesso stimava molto, in realtà pochi, a ben guardare anzi uno solo, Haydn, l’unico contemporaneo che Mozart ammirasse. Così egli, che si produceva con piacere solo per gli intenditori, è diventato il figliolo prediletto degli entusiasti.

NON DISPREZZIAMO GLI ADORATORI! L’oggetto della loro passione nobilita anche quella sensazione che non sa esprimere se stessa se non come’ dal più profondo del cuore’. Così il teologo Karl Barth suppone che gli angeli si riuniscano a suonare Mozart e che il buon Dio con gran piacere li stia ad ascoltare8. Non sono molto pratico di queste alte sfere, però il quadro è grazioso: vedo un Dio, del tipo del Saul di Rembrandt che si abbandona al piacere del suono dell’arpa di Davide, assorto nel pensiero che per questo suonatore divino, al tempo della sua vita terrena, si sarebbe ben dovuto far qualcosa. Anche alcuni concertisti hanno fatto ricorso alla similitudine con le regioni celesti: «Alcuni vorrebbero raggiungere il cielo con le loro opere. Ma Mozart, lui viene di là, viene di là!»9. Anche questa esclamazione, con la sua ripetizione retorica, esprime un rapporto emotivo con l’oggetto più che non un concetto valido: serve di sostegno alla frase di Alfred Einstein secondo la quale Mozart fu «solo un ospite su questa terra». E tuttavia non possiamo negarlo: su un piano a noi nemmeno gradito, perché irrazionale, riusciamo a intuire quello cui si allude, cioè l’elemento del fenomenale. Prenderne coscienza è la ragione più profonda di ogni tentativo di occuparsi di Mozart, profonda tanto che alle sue premesse non corrisponde più alcun pensiero. Ci è ad ogni modo estranea l’intenzione di far piazza pulita di quelle asserzioni nelle quali un piacere da buongustaio arriva a fondersi in così intima unità con la devozione ingenua, e con il misticismo. L’espressione ‘ineffabile’ è diventata – e chi non lo sa! – costante quasi quanto l’inattaccabile grandezza dell’oggetto cui si riferisce. Il ‘divino’ o l’‘ultraterreno’ di questo o quel brano, l’essere ‘non-di-questo-mondo’ accompagneranno sempre la musica di Mozart e avranno sempre cura che appunto quel nimbo dell’ultraterreno si conservi intatto. E se è vero che velano il loro stesso oggetto, è altrettanto vero che non gli apportano danno. Restano eternamente i punti di riferimento per coloro che solo attraverso queste indicazioni riescono a farsi un’idea di Mozart. Chi non sente le note sente però gli attributi di cui i suoni vengono abusivamente rivestiti. L’ammirazione incondizionata mette a fuoco soprattutto la scala delle emozioni dell’ammiratore, e quando si manifesta non esprime altro che se stessa. Ma il motivo iniziale è poi sempre, costantemente, Leitmotiv: Mozart.

MOZART COME OGGETTO DI DEVOZIONE è una invenzione dei romantici. L’editore Nikolaus Simrock badava di scoprirsi il capo quando si nominava Mozart10 e il suo illustre contemporaneo Kierkegaard voleva fondare una setta che venerasse non specialmente Mozart, ma esclusivamente Mozart11. Vero è che egli stesso definiva la propria venerazione «da educanda» e noi non abbiamo per certo nessuna intenzione di contraddire in ciò questo grande filosofo.
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Supponiamo che Mozart, venerato dalla setta di Kierkegaard, si affacci dal cielo di Barth a dare uno sguardo ai suoi dominii – siano essi autentici o devianti, per il soggettivo patrimonio di sentimenti non fa differenza. E proprio lui, cui carica, rango e titolo non suscitavano il minimo rispetto, se ne sta a guardare l’utilizzazione delle sue opere per cerimonie statali, festività protocollari, lutti pubblici e scopi simili, che della sua musica non richiedono comprensione maggiore di quanta non fosse in grado di racimolare sua suocera Caecilie Weber («per la mamma bisogna ben dire che guarda l’opera, ma non che sente l’opera...», lettera del 9 ottobre 1791). Speriamo almeno che Mozart si diverta! L’insulsaggine, la presunzione pomposa e i loro rappresentanti lo hanno abbondantemente ispirato, lui, il ‘sempliciotto’, il ‘balordo’, – come talvolta egli stesso si chiamava, ma come non da tutti si lasciava chiamare – a stravaganti parodie, a vere e proprie orge di parole. Da alcune di queste parafrasi risulta chiaro come non tenesse in nessuna considerazione coloro con i quali, di necessità, doveva venire a patti.
In qualunque modo poi il rapporto tra la venerazione e il suo oggetto si inserisca nella storia delle arti, nel caso di Mozart i conti non tornano. La ricettività come capacità di differenziare qualitativamente è relativa, varia a seconda dell’epoca, della moda e del ‘trend’, il che ci permette in ogni momento di sostituirne a nostro piacere l’oggetto, come è sempre successo e sempre succede. La nostra ammirazione non implica né obblighi né impegno, dato che per ciò che è passato non ci è richiesto di rispondere di persona, né con una adesione attiva né rischiando un eventuale danno. Non esiste una coscienza collettiva atemporale, come proprio Mozart in qualità di massone avrebbe dovuto pretendere – ammesso che mai egli si sia occupato degli ideali del suo ordine, e ammesso che non gli fosse estranea una qualsivoglia idea di pretesa. Ci prendiamo quindi la libertà di imputare ai suoi contemporanei la colpa della sua miseria, come fosse ovvio che noi avremmo subito riconosciuto la sua grandezza e gli avremmo sgombrato la via da ogni ostacolo. Ma chi del resto dovrebbe essere responsabile se non i contemporanei, e in particolare i viennesi! Rimane tuttavia ancora da analizzare quale sia stato il suo personale contributo alla propria miseria.

CERTO NOI NON VIVIAMO PIÙ in un regime di assolutismo, per lo meno non in un assolutismo formale né ufficiale, non abbiamo arcivescovi feudatari né una Maria Teresa, che diede al figlio arciduca il consiglio di non esporsi a seccature con gentaglia ambulante come Mozart e soci («gens inutils... courent le monde comme de gueux», lettera di Maria Teresa del 12 dicembre 1771) e di non ingaggiarli quindi presso la sua corte a Milano. Non abbiamo più un conte Arco, che con un calcio espulse dalla sala delle udienze il musicista di corte Mozart, quando questi chiedeva di venir esonerato dal servizio dell’arcivescovo Colloredo (lettera del 9 giugno 1781). Per tali azioni dovrebbe esserci una sorta di nobiltà negativa, visibile come un marchio di Caino, riscattabile dai discendenti solo attraverso un intenzionale comportamento opposto. Se però esaminiamo la storia delle casate nobili asburgiche possiamo constatare come abbiano accumulato titoli e possessi con atti molto più scandalosi che non un calcio nel sedere di un grand’uomo.
Ma siamo giusti con questo conte Arco: dopo tutto anch’egli non era che un cortigiano, ‘gran maestro cuciniere’ del principe arcivescovo di Salisburgo, e l’indegno episodio si presenta sotto un aspetto più conciliante se si pensa che la musica, quasi ‘divertimento da tavola’, era di rango inferiore alla cucina, anche se ciò può stupirci. La scena accadde durante la visita della corte arcivescovile a Vienna; prima di questo incidente il conte aveva confidato a Mozart che anch’egli aveva spesso a soffrire sotto il comune signore, al quale tuttavia come rango era un po’ più prossimo. Fu appunto in quell’occasione che diede a Mozart il famoso ammonimento, rivelatosi profetico alcuni anni più tardi:
«... mi creda, lei qui si lascia abbagliare; – qui la fama di una persona dura molto poco – all’inizio si è ricoperti di lodi, e si guadagna anche molto, è vero – ma per quanto? – dopo qualche mese i viennesi richiedono già qualcosa di nuovo».
Così riferì Mozart a suo padre (2 giugno 1781) anche se queste caratteristiche negative erano contrarie agli interessi delle sue intenzioni. Il padre non se ne sarà certo stupito, egli stesso aveva una cattiva opinione del pubblico viennese, come si può ricavare da una lettera del 1768. A quanto pare il conte si rivolse a Mozart con il ‘lei’, il che per lo meno deporrebbe a favore di una tattica di persuasione seriamente intesa. Ma era impossibile persuadere Mozart. Senza dubbio anch’egli non restò estraneo allo spirito del suo tempo, il cui impulso in altri si esplicò in maniera cosciente e collettiva: lo spirito di ribellione. In lui si manifestò come esigenza di libertà, una libertà che alcuni anni prima nessuno avrebbe ritenuto possibile, all’infuori di coloro che già da sempre ne avevano goduto, come usurpazione della libertà altrui. Rivolgimenti politici – la Rivoluzione francese – non sono mai stati commentati da Mozart, probabilmente non li prese mai neppure in considerazione come inizio di una nuova epoca. Gli avvenimenti contemporanei non hanno mai raggiunto la soglia della sua coscienza, per quanto ci è dato di sapere: come avrebbe del resto potuto esternare i propri pensieri altrimenti che in musica? La sua reazione fu il Figaro, e non fu la scelta programmatica del promotore, ma la utilizzazione coerente delle possibilità date. E il Figaro fu l’inizio della sua rovina.
Al conte Arco Mozart rispose che non aveva intenzione di restare a Vienna: a quanto pare il ‘fascino segreto’ della ‘città sul Danubio’ non ebbe, né prima né poi, alcun effetto. Avrebbe voluto andare in Inghilterra, e continuò a volerlo, finché negli ultimi anni non volle assolutamente più nulla, se non la libertà di adempiere ai compiti che lui stesso si poneva. Soprattutto voleva togliersi dal servizio dell’arcivescovo, il «nemico degli uomini», il «prete presuntuoso e arrogante» che lo aveva chiamato «cattivo soggetto» e che lo aveva esortato ad «andarsene via». In certo modo dunque Mozart si attenne semplicemente ad una esortazione. L’arcivescovo gli gridò in faccia che «ne troverebbe cento che lo servano meglio di lui» (Mozart). Quanto a questo Colloredo può aver avuto ragione: con un musicista di livello inferiore avrebbe avuto meno problemi, dato che per lui la musica era merce da consegnare, un prodotto della continua disponibilità di un servo di basso rango al quale, al tavolo della servitù, spettava un posto appena al di sopra del personale di cucina. Colloredo, in linea teorica seguace dell’Illuminismo, pur senza essere un signore assoluto non si lasciava certo smuovere dai suoi privilegi, ed era estremamente malvisto a Salisburgo come a Vienna. Il suo comportamento nei confronti di Mozart porta tutti i tratti di una animosità strana e di una continua irritabilità di cui non riusciamo a darci ragione se non pensando che Mozart non potesse né volesse nascondergli la propria latente insubordinazione, originata dall’esigenza di potersi esprimere appieno. Sicuramente Mozart fu un «genio dell’ubbidienza» (Friedrich Heer) ma questo lato della sua genialità cedette, a partire dal 1781, alla crescente consapevolezza del proprio valore, finché egli divenne il genio di un segreto negarsi.


INDUSTRIA E COMMERCIO oggigiorno pongono ogni cura nel procurarsi un alibi che serva da contrappunto ai propri loschi affari. Qualcosa rimorde alla coscienza collettiva dei loro maggiori esponenti, così che tentano di procurarsi un posto, pro forma et pro statute, nel mondo del ‘bello’, facendo qualcosa per l’arte e per gli artisti. L’artista accetta volentieri l’elemosina, con un occhio asciutto e l’altro chiuso. Chi oggi ancora se ne sta in una topaia, è perché gli va bene così. Sa perfettamente che se vi rinunzia a favore di più confortevoli condizioni di vita si separa da un nimbo che gli si attaglia come un contrassegno di qualità, di nonconformistica fermezza: appunto quello dell’artista povero, ma libero. Nimbo al quale, senza volerlo ma in modo sostanziale, ha contribuito Mozart – forse non il primo artista povero ma, almeno da un punto di vista sociologico, il primo libero, e cioè diventato povero attraverso la sua libertà. E che in fin dei conti, per questa libertà, è andato in rovina. Eppure in una topaia non ha mai dovuto vivere. I suoi vari appartamenti, simboli concreti del suo declino sociale – uno dei primi, nella Schulerstrasse, oggi Domgasse, era quasi ‘signorile’ – potevano però aprirsi agli inviti, agli amici e alle serate musicali, questo ancora nel 1789, al tempo di gravi ristrettezze economiche. In essi Mozart teneva feste, suonava musica da camera con Haydn ed altri per un pubblico che egli stesso si era scelto, organizzava addirittura piccole prove di opere alle quali, tra gli altri, invitava il proprio principale creditore, Puchberg – e avrà ben saputo lui il perché. Nell’ultimo anno di vita però non ci furono più né pubblico né serate musicali, Haydn era a Londra, la moglie Constanze a Baden per le immancabili cure – che continuò tutta la vita – le masserizie finivano pezzo a pezzo al monte dei pegni ed egli stesso evitava la propria casa non sopportando più l’esser solo, una delle poche reazioni comportamentali di cui si rendesse perfettamente conto. Con tutto ciò però poté soddisfare fino alla fine il suo non trascurabile appetito (lettera dell’8 ottobre 1791, due mesi prima della morte) non di rado addirittura con leccornie, che in realtà non poteva più permettersi, ma che si permetteva. Non dobbiamo rappresentarci la sua miseria materiale come se avesse realmente sofferto la fame, anche se dovette in fondo pagar per questo con oscuri traffici e baratti. Nel 1787, al tempo del Don Giovanni, per lo schietto piacere della tavola (in re maggiore) del suo grande eroe poteva ancora prendere a modello il suo proprio benessere – specialmente a Praga, tra gli amici di laggiù. Ma nel 1791 la tavola riccamente imbandita per Tamino e Papageno nel Flauto magico non era già quasi più la sua, tanto più che allora la sua argenteria da tavola era già stata da molto tempo trasferita altrove – peraltro ci stupisce che ne avesse mai posseduta. E tuttavia il luminoso la maggiore dell’invito a mangiare e bere da parte dei tre fanciulli non nasce certamente, come certi commentatori amano credere12, da una proiezione di desiderio, quasi un miraggio che egli, l’acquolina in bocca, avesse da trasporre in musica: c’era pur sempre qualcuno, anche allora, che si prendeva cura di lui. Ovviamente non Constanze, di cui pagava cara l’assenza. C’era pur sempre qualcuno che lo invitava a pranzo, anche se non più volentieri. Si interessava al suo benessere Schikaneder, non fosse che per motivi egoistici; lo stesso Puchberg, fratello di loggia, badava ad invitarlo anche quando le largizioni si erano prosciugate. In comune con molti dei maggiori artisti Mozart possedeva la capacità di reprimere una ben motivata e profonda angoscia sia attraverso una mole eccessiva di lavoro sia con il bisogno sempre crescente di stare in compagnia, da ultimo forse nel lasciarsi andare ad una vita sregolata. Gli riusciva ad ogni modo di accantonare,...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Mozart
  5. CRONOLOGIA
  6. ELENCO DELLE COMPOSIZIONI CITATE NEL TESTO
  7. RINGRAZIO
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APA 6 Citation

Hildesheimer, W. (2013). Mozart ([edition unavailable]). RIZZOLI LIBRI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3380463/mozart-pdf (Original work published 2013)

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Hildesheimer, Wolfgang. (2013) 2013. Mozart. [Edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. https://www.perlego.com/book/3380463/mozart-pdf.

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Hildesheimer, W. (2013) Mozart. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. Available at: https://www.perlego.com/book/3380463/mozart-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Hildesheimer, Wolfgang. Mozart. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI, 2013. Web. 15 Oct. 2022.