Fare il proprio volo ogni giorno! Almeno un momento che può essere breve, purché sia intenso. Ogni giorno un «esercizio spirituale», da solo o in compagnia di una persona che vuole parimenti migliorare. Esercizi spirituali. Uscire dalla durata. Sforzarsi di spogliarsi delle proprie passioni, delle vanità, del desiderio di rumore intorno al proprio nome (che di tanto in tanto prude come un male cronico). Fuggire la maldicenza. Deporre la pietà e l’odio. Amare tutti gli uomini liberi. Eternarsi superandosi.
Questo sforzo su di sé è necessario, questa ambizione giusta. Numerosi sono quelli che si immergono interamente nella politica militante, nella preparazione della rivoluzione sociale. Rari, rarissimi quelli che, per preparare la rivoluzione, se ne vogliono rendere degni.
A parte le ultime righe, questo testo non pare un’imitazione di Marco Aurelio? È di G. Friedmann1, ed è certamente possibile che l’autore, scrivendolo, non fosse consapevole di questa somiglianza. D’altronde nel resto del suo libro, cercando «quali siano le proprie fonti»2, giunge alla conclusione che non esiste nessuna tradizione (ebraica, cristiana, orientale) che sia compatibile con le esigenze della situazione spirituale contemporanea. Ma, curiosamente, non si chiede quale sia il valore della tradizione filosofica dell’antichità greco-romana, mentre le poche linee che abbiamo citato mostrano fino a che punto, inconsciamente, la tradizione antica continui a vivere in lui come in ciascuno di noi.
«Esercizi spirituali». L’espressione svia un poco il lettore contemporaneo. In primo luogo non è piú elegantissimo, oggi, l’uso della parola «spirituale». Ma dobbiamo pur rassegnarci a impiegare questo termine, poiché gli altri aggettivi o specificazioni possibili – «psichico», «morale», «etico», «intellettuale», «di pensiero», «dell’anima» – non coprono tutti gli aspetti della realtà che vogliamo descrivere. Si potrebbe evidentemente parlare di esercizi di pensiero, poiché, in tali esercizi, il pensiero fa in qualche modo di se stesso la propria materia3, e cerca di modificare se stesso. Ma la parola «pensiero» non indica in maniera abbastanza chiara il fatto che l’immaginazione e la sensibilità intervengano in questi esercizi in un modo molto importante. Per gli stessi motivi, non possiamo accontentarci di «esercizi intellettuali», sebbene gli aspetti intellettuali (definizione, suddivisione, ragionamento, lettura, ricerca, amplificazione retorica) vi svolgano una parte molto importante. «Esercizi etici» sarebbe un’espressione abbastanza seducente, poiché, come vedremo, gli esercizi in questione contribuiscono fortemente alla terapia delle passioni e si riferiscono alla condotta della vita. Eppure anche questa sarebbe una visione troppo limitata. In realtà tali esercizi (il testo di G. Friedmann ce lo fa intravvedere) corrispondono a una trasformazione della visione del mondo e a una metamorfosi della personalità. La parola «spirituale» permette, a nostro avviso, di fare capire come tali esercizi siano opera non solo del pensiero, ma di tutto lo psichismo dell’individuo, e, soprattutto, rivela le vere dimensioni di questi esercizi: grazie ad essi, l’individuo si eleva alla vita dello Spirito oggettivo, ossia si colloca nella prospettiva del Tutto («eternarsi superandosi»).
Accettiamo, se è necessario, questa espressione «esercizi spirituali», dirà il nostro lettore. Ma si tratta degli Exercitia spiritualia di Ignazio da Loyola? Quale rapporto esiste fra le meditazioni di Ignazio e il programma di G. Friedmann: «Uscire dalla durata… eternarsi superandosi»? La nostra risposta, semplicissima, sarà: gli Exercitia spiritualia non sono che una versione cristiana di una tradizione greco-romana, di cui dovremo mostrare l’ampiezza. In primo luogo, il concetto e l’espressione «esercitium spirituale» sono testimoniati, ben prima di Ignazio da Loyola, nell’antico cristianesimo latino, e corrispondono all’ἄσϰησις del cristianesimo greco4. Ma, a sua volta, questa ἄσϰησις, che non deve essere intesa nel senso di ascetismo, bensí come pratica di esercizi spirituali, esiste già nella tradizione filosofica dell’antichità5. È dunque a quest’ultima che occorre infine risalire, per spiegare l’origine e il significato di questo concetto di esercizio spirituale che è sempre vivo, come testimonia G. Friedmann, nella coscienza contemporanea. Il presente studio non vorrebbe solo ricordare l’esistenza di esercizi spirituali nell’antichità greco-latina, vorrebbe soprattutto precisare l’intera portata e importanza di tale fenomeno, e mostrare le conseguenze che ne derivano per la comprensione del pensiero antico e della filosofia stessa6.
1. Imparare a vivere.
È nelle scuole di filosofia ellenistiche e romane che è piú facile osservare il fenomeno. Per esempio gli stoici lo dichiarano esplicitamente: per loro la filosofia è un «esercizio»1. Ai loro occhi la filosofia non consiste nell’insegnamento di una teoria astratta2, e meno ancora in un’esegesi di testi3, ma in un’arte di vivere4, in un atteggiamento concreto, in uno stile di vita determinato, che impegna tutta l’esistenza. L’atto filosofico non si situa solo nell’ordine della conoscenza, ma nell’ordine del «Sé» e dell’essere: è un progresso che ci fa essere piú pienamente, che ci rende migliori5. È una conversione6 che sconvolge la vita intera, che cambia l’essere di colui che la compie7. Lo fa passare dallo stato di una vita inautentica, oscurata dall’incoscienza, rosa dalla cura, dalle preoccupazioni, allo stato di una vita autentica, dove l’uomo raggiunge la coscienza di sé, la visione esatta del mondo, la pace e la libertà interiori.
Per tutte le scuole filosofiche, la principale causa di sofferenza, di disordine, di incoscienza, per l’uomo, è costituita dalle passioni: desideri disordinati, timori esagerati. Il dominio della cura, delle preoccupazioni, gli impedisce di vivere veramente. La filosofia appare dunque in primo luogo come una terapia delle passioni8 («Sforzarsi di spogliarsi delle proprie passioni», scrive G. Friedmann). Ogni scuola ha il metodo terapeutico suo proprio9, ma tutte collegano questa terapia a una trasformazione profonda della maniera di vedere e di essere dell’individuo. Gli esercizi spirituali avranno precisamente lo scopo di realizzare tale trasformazione.
Prendiamo in primo luogo l’esempio degli stoici. Secondo loro, tutta l’infelicità dell’uomo deriva dal fatto che cerchino di conseguire o conservare beni che rischiano di non ottenere o di perdere, e che cerchino di evitare mali che spesso sono inevitabili. La filosofia educherà dunque l’uomo affinché non cerchi di conseguire che il bene che può ottenere, e affinché non cerchi di evitare che il male che può evitare. Questo bene che si può sempre ottenere, questo male che si può sempre evitare, devono, per essere tali, dipendere unicamente dalla libertà dell’uomo: sono dunque il bene morale e il male morale. Essi soltanto dipendono da noi, tutto il resto non dipende da noi. Dunque il resto, ciò che non dipende da noi, corrisponde alla concatenazione necessaria delle cause e degli effetti che sfugge alla nostra libertà. Ci deve essere indifferente, nel senso che non dobbiamo introdurvi differenza alcuna, ma accettarlo tutto intero in quanto è voluto dal destino. È il dominio della natura. Si tratta dunque di un totale rovesciamento della maniera abituale di vedere le cose. Si passa da una visione «umana» della realtà, visione per cui i valori dipendono dalle pass...