Tesi 1.
Una nuova ondata femminista
reinventa lo sciopero
Il recente movimento per lo sciopero femminista ha avuto origine in Polonia nellâottobre del 2016, quando piĂš di centomila donne sono scese in strada per manifestare contro il divieto sullâaborto. Alla fine del mese quella corrente di dissenso radicale aveva giĂ attraversato lâoceano fino allâArgentina, dove le donne hanno scioperato contro lâefferato assassinio di LucĂa PĂŠrez al grido militante di âNi una menosâ. Presto il movimento si è diffuso in Italia, Spagna, Brasile, Turchia, PerĂš, Stati Uniti, Messico, Cile e in decine di altri paesi. Dalle sue origini nelle strade, il movimento si è poi riversato nei luoghi di lavoro e nelle scuole, sommergendo da ultimo anche gli ambiziosi mondi dello spettacolo, dei media e della politica. Negli ultimi due anni, i suoi slogan hanno risuonato con forza per tutto il pianeta: #NosotrasParamos, #WeStrike, #VivasNosQueremos, #NiUnaMenos, #TimesUp, #Feminism4the99. Prima era unâincrespatura, poi unâonda, adesso sta diventando unâalta marea: un nuovo movimento globale femminista che può guadagnare forza sufficiente a spezzare le alleanze esistenti e a ridisegnare la mappa della politica.
Quelle che un tempo erano una serie di azioni su scala nazionale sono diventate un movimento internazionale lâ8 marzo del 2017, quando attiviste di tutto il mondo hanno deciso di scioperare assieme. Con questa mossa audace hanno ri-politicizzato la Giornata internazionale della donna. Le attiviste in sciopero hanno spazzato via fronzoli apolitici e pacchiani (le mimose, i brunch e i bigliettini dâauguri) per rivitalizzare le radici storiche della festa, tuttâaltro che dimenticate e connesse alla classe lavoratrice e al femminismo socialista. Le loro azioni evocano lo spirito delle mobilitazioni delle donne operaie dellâinizio del Novecento, in particolare gli scioperi e le manifestazioni di massa negli Stati Uniti animate soprattutto da donne immigrate ed ebree, che ispirarono le socialiste statunitensi e le femministe tedesche Luise Zietz e Clara Zetkin a proclamare la Giornata Internazionale delle Donne Lavoratrici.
Riportando in vita quello spirito militante, le femministe in sciopero dei nostri giorni rivendicano le proprie radici nelle lotte storiche per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici e per la giustizia sociale. Uniscono donne separate da oceani, montagne e continenti, ma anche da confini, muri e reti di filo spinato, per dare un nuovo significato allo slogan âLa solidarietà è la nostra armaâ. Rompendo lâisolamento di muri domestici e simbolici, gli scioperi dimostrano lâenorme potenziale politico del potere delle donne: il potere di chi, col lavoro salariato e con quello non pagato, sostiene il mondo.
Ma non è tutto: il movimento, in espansione, ha inventato nuove forme di sciopero e ha instillato nella forma stessa dello sciopero un nuovo tipo di politica. Associando lâastensione dal lavoro a manifestazioni, dimostrazioni, piccole chiusure di negozi, blocchi e boicottaggi, il movimento ha aggiornato il repertorio delle forme di sciopero, un tempo vasto ma ormai contratto in maniera drammatica da unâoffensiva neoliberista ultradecennale. Al tempo stesso, la nuova ondata di militanza femminista democratizza gli scioperi e espande la loro portata, ampliando innanzitutto lâidea di quel che bisogna considerare come âlavoroâ. Rifiutando di limitare questa categoria al lavoro salariato, le attiviste in sciopero si astengono anche dai lavori domestici e dagli acquisti, dal sesso e dai sorrisi. Rendono visibile il ruolo indispensabile esercitato dal lavoro non pagato delle donne nella societĂ capitalistica, valorizzando cosĂŹ quelle attivitĂ da cui il capitale ottiene benefici ma che non paga. Anche rispetto al lavoro salariato, le attiviste in sciopero hanno una visione espansiva del tema. Invece di concentrarsi solo attorno a salari e ore di lavoro, prendono di mira anche le violenze e le molestie sessuali, le barriere contro la giustizia riproduttiva e i limiti al diritto di sciopero.
Di conseguenza la nuova ondata femminista ha il potenziale per superare la persistente opposizione divisiva tra âpolitiche dellâidentitĂ â e âpolitiche di classeâ. Svelando lâunitĂ tra âluogo di lavoroâ e âvita socialeâ, la nuova ondata rifiuta di limitare le proprie lotte a uno soltanto di questi spazi. Ridefinendo i termini di âlavoroâ e di âlavoratriciâ, respinge la svalutazione strutturale del lavoro delle donne, pagato o non pagato, messa in campo dal capitalismo. Insomma, lo sciopero femminista delle donne anticipa la possibilitĂ di una nuova fase senza precedenti della lotta di classe: femminista, internazionalista, ambientalista e antirazzista.
Lâazione è tempestiva. La militanza dello sciopero delle donne irrompe in un momento storico in cui i sindacati, un tempo potenti e radicati nella produzione manifatturiera, sono stati drasticamente indeboliti. Per rinvigorire la lotta di classe, le attiviste si sono rivolte verso unâaltra arena: lâassalto neoliberista contro la sanitĂ pubblica, lâistruzione, le pensioni e il diritto alla casa. Hanno preso di mira questo ramo dellâaggressione ultradecennale del capitale alle condizioni di vita della classe lavoratrice e della classe media e in tal modo hanno sviluppato una sensibilitĂ particolare rispetto al lavoro e ai servizi necessari a sostenere gli esseri umani e le comunitĂ sociali. Ă proprio qui, nella sfera di quella che noi chiamiamo âriproduzione socialeâ (cfr. Tesi 5), che troviamo adesso molte delle controffensive e degli scioperi piĂš militanti. Dallâonda di scioperi delle insegnanti negli Stati Uniti alla lotta contro la privatizzazione dellâacqua in Irlanda fino agli scioperi dei lavoratori delle pulizie Dalit in India: in tutte queste mobilitazioni guidate e alimentate da donne, lavoratrici e lavoratori si ribellano contro lâaggressione capitalista sulla riproduzione sociale. Questi scioperi hanno molto in comune con il movimento dello sciopero globale delle donne, pur non essendone formalmente affiliati. Anchâessi valorizzano il lavoro necessario a riprodurre le nostre vite, opponendosi allo sfruttamento. Anchâessi combinano le rivendicazioni su salario e posti di lavoro con le richieste di un aumento della spesa pubblica sui servizi sociali.
In paesi come Argentina, Spagna e Italia, inoltre, il femminismo degli scioperi delle donne ha ottenuto un ampio supporto da parte delle forze che si oppongono allâausteritĂ . Alle grandi manifestazioni del movimento contro i tagli a scuola, salute, edilizia popolare, trasporti e protezione ambientale, a fianco delle donne e delle persone queer, câerano anche gli uomini. Grazie allâopposizione contro lâaggressione ai beni pubblici da parte del capitale finanziario, gli scioperi femministi stanno diventando il catalizzatore e il modello per tentare di difendere dal basso le nostre comunitĂ .
In conclusione, la nuova marea di attivismo militante femminista sta riscoprendo lâidea dellâimpossibile, rivendicando il pane e le rose: il pane che decenni di neoliberismo hanno portato via dalle nostre tavole, ma anche la bellezza che nutre il nostro spirito con lâeuforia della rivolta.
Tesi 2.
Il femminismo liberale ha fallito:
è tempo di lasciarcelo alle spalle
I media mainstream continuano a diffondere lâequazione tra femminismo e femminismo liberale. Lungi dal fornire una soluzione, il femminismo liberale è parte del problema. Radicato nel Nord del pianeta, in uno strato sociale di professioniste e manager, il femminismo liberale si concentra sulla strategia del âfarsi avantiâ e su quella della ârottura del soffitto di cristalloâ. Si dedica a consentire a un esiguo numero di donne privilegiate di arrampicarsi sulla scala sociale o di fare carriera nellâesercito, proponendo una visione dellâuguaglianza basata sul mercato che si combina perfettamente con il diffuso entusiasmo aziendale verso la âdiversitĂ â. Nonostante condanni la âdiscriminazioneâ e difenda âla libertĂ di sceltaâ, il femminismo liberale è fermo nel suo rifiuto di prendere in considerazione quei vincoli socioeconomici che rendono libertĂ ed empowerment impossibili per la vasta maggioranza delle donne. Il suo vero scopo non è lâeguaglianza, ma la meritocrazia. Piuttosto che tentare di abolire la gerarchia sociale, si propone di âdiversificarlaâ, di âdare potereâ a donne âdi talentoâ, affinchĂŠ raggiungano la vetta. Le fautrici del femminismo liberale considerano le donne semplicemente come un âgruppo sotto-rappresentatoâ e cercano quindi di assicurarsi che poche privilegiate possano conseguire posizioni e paghe pari agli uomini della loro stessa classe. Per definizione, le principali beneficiarie di queste politiche sono donne che giĂ possiedono un considerevole capitale sociale, culturale ed economico. Le altre rimangono rinchiuse in cantina.
In sincronia con lâimpennata delle diseguaglianze, il femminismo liberale esternalizza lâoppressione: permette alle donne professioniste in carriera di âfarsi avantiâ (lean-in), consentendo loro di appoggiarsi (lean-on) alle donne migranti sottopagate a cui subappaltano i lavori domestici e quelli di cura. Insensibile a questioni di ârazzaâ e classe, rende la nostra causa elitaria e individualista. Proiettando unâimmagine del femminismo come un movimento autoreferenziale, ci associa a politiche che sono nocive per la maggioranza e ci esclude da quelle lotte che a quelle politiche si oppongono. Per farla breve, il femminismo liberale dĂ al femminismo una cattiva reputazione.
Lâethos del femminismo liberale converge non solo con i costumi aziendali, ma anche con quelle correnti della cultura neoliberista che si pretendono âtrasgressiveâ. La sua storia dâamore con la promozione individuale permea altresĂŹ il mondo delle celebritĂ e dei media, confondendo il femminismo con lâascesa di singole donne in carriera. CosĂŹ il âfemminismoâ rischia di diventare un hashtag di tendenza e un veicolo di autopromozione, utile a elevare lâ1%, piĂš che a liberare il 99%.
Insomma, in genere il âfemminismo liberaleâ fornisce lâalibi perfetto al neoliberismo. Consente alle forze che sostengono il capitale globale di dipingersi come âprogressisteâ, dissimulando politiche regressive sotto una patina di emancipazione. Ă il femminismo delle donne vicine al potere, che si allea con la finanza globale negli Stati Uniti o fornisce una copertura allâislamofobia in Europa; è il femminismo delle guru aziendali che predicano di âfarsi avantiâ, delle burocrati del femminismo che spingono aggiustamenti strutturali e microcredito nel Sud del mondo, delle politiche di professione in tailleur pantaloni che si fanno pagare una parcella a sei zeri per un discorso a Wall Street.
La nostra risposta al femminismo del âfarsi avantiâ è il femminismo âdella pedata da dietroâ. Non ci interessa rompere âil soffitto di cristalloâ per poi lasciare la maggioranza delle donne a raccogliere i frammenti di vetro. Invece di celebrare le donne amministratrici dâazienda che occupano gli uffici della dirigenza, preferiamo sbarazzarci degli uffici e dei consigli di amministrazione.
Tesi 3.
Ci serve un femminismo anticapitalista:
un femminismo per il 99%
Il femminismo che abbiamo in mente riconosce che dobbiamo rispondere a una crisi di proporzioni epocali: standard di vita in caduta verticale e un incombente disastro ecologico; guerre sanguinarie e aumento dellâespropriazione; migrazioni di massa e fili spinati; crescita di razzismo e xenofobia; revoca di quei diritti riproduttivi, sociali e politici ottenuti attraverso dure lotte.
Vogliamo affrontare queste sfide. Evitando le mezze misure, il femminismo che ci immaginiamo si propone di contrastare le radici capitaliste di questa metastasi barbarica. Rifiutiamo di sacrificare il benessere di molte al fine di proteggere la libertĂ di poche, sostenendo la causa dei bisogni e dei diritti della vasta maggioranza, composta da donne povere e lavoratrici, da donne migranti e razzializzate, da queer, da trans, da donne disabili, da donne incoraggiate a percepirsi come âceto medioâ anche quando il capitale le sfrutta. Ma non finisce qui. Questo femminismo non si limita alle âquestioni delle donneâ come sono tradizionalmente definite. Sostiene tutti gli sfruttati, i dominati e gli oppressi, nellâambizione di rappresentare una speranza per tutta lâumanitĂ . Per questo lo chiamiamo femminismo per il 99%.
Ispirato da una nuova ondata di scioperi delle donne, il femminismo per il 99% emerge dalla prova del fuoco dellâesperienza pratica, plasmata a sua volta dalla riflessione teoretica. Mentre il neoliberismo ridĂ forma allâoppressione di genere davanti...