Il vento conservatore
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Il vento conservatore

La destra populista all'attacco della democrazia

Giorgia Serughetti

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Il vento conservatore

La destra populista all'attacco della democrazia

Giorgia Serughetti

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In un mondo sempre più stretto nella morsa dell'insicurezza economica e dell'incertezza sul futuro, si alza il vento conservatore. In un mondo sempre più stretto nella morsa dell'insicurezza economica e dell'incertezza sul futuro, si alza il vento conservatore. Crescono movimenti e partiti politici che rassicurano il proprio elettorato mostrandosi ostili all'eguaglianza sociale, all'accoglienza degli stranieri, ai diritti delle donne e delle minoranze sessuali, mettendo a rischio i valori fondativi delle nostre democrazie.

Dal secondo dopoguerra si sono ottenuti risultati straordinari a difesa dell'inclusione democratica. Oggi c'è un vento conservatore che spira in direzione contraria, la cui origine è da ricercare in altri processi che il Novecento ha innescato: dalla deregolamentazione dell'economia all'ideologia dell'individualismo competitivo. Questo libro propone una lettura originale che mette insieme la crisi dell'ordine neoliberale, evidenziata anche dalla catastrofe planetaria della pandemia, e l'avanzata di progetti politici di segno antiegualitario e autoritario. I leader della destra radicale populista devono il loro successo alla promessa di proteggere le 'maggioranze silenziose' dei loro paesi dai sentimenti di insicurezza e spaesamento indotti dalle dinamiche dell'economia. Non offrono però, in risposta, ricette redistributive contro la crescita delle diseguaglianze. Piuttosto, fanno appello all'identità nazionale, etnica, religiosa o sessuale, ergendosi a difesa dei 'nativi' contro gli stranieri e della famiglia 'tradizionale' contro nuovi modelli di vita affettiva. Le destre radicali minacciano di acquisire nuova forza nell'incertezza generata dalla crisi pandemica e la risposta delle forze progressiste potrà passare solo attraverso una rinnovata lotta contro ogni forma di diseguaglianza.

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Information

Year
2021
ISBN
9788858147221

1.
Il Giano bifronte populista

Nell’ultimo quarto di secolo il populismo si è imposto all’attenzione come uno dei fenomeni politici più caratteristici del nostro tempo, sia in Europa sia in altre parti del mondo. Molti studiosi hanno enfatizzato il tratto epocale di quella che è apparsa come un’esplosione e un’avanzata inarrestabile. Cas Mudde ha parlato di uno spirito del tempo – uno Zeitgeist – populista, per segnalare come questo discorso sia diventato un carattere tipico e dominante della politica delle democrazie occidentali1. Paul Taggart ha descritto quella che appare come una «svolta populista» nell’Europa contemporanea2. Per Chantal Mouffe dovremmo parlare di un «momento populista» per descrivere la moltiplicazione delle domande insoddisfatte che, specialmente a partire dalla crisi del 2008, mettono in questione l’ordine politico ed economico3.
È però soprattutto negli ultimi anni che il fenomeno ha scosso l’opinione pubblica mondiale, con l’ascesa al potere di leader della destra populista in alcuni degli Stati più grandi e popolosi del pianeta: Narendra Modi in India nel 2014, Donald Trump negli Stati Uniti nel 2016, Jair Bolsonaro in Brasile nel 2018. In Europa, partiti populisti di destra hanno conquistato la maggioranza dei consensi in Ungheria e Polonia, mentre formazioni simili sono entrate in coalizioni di governo in altri paesi, inclusa l’Italia.
È questo lo scenario da cui prende le mosse questo libro, che non è un saggio sul populismo inteso come fenomeno poliforme, con la sua storia secolare, le sue manifestazioni di destra e di sinistra, le sue varianti geografiche. È invece uno studio che si concentra su un tipo di populismo tra quelli oggi esistenti: il populismo nativista e autoritario della destra radicale europea e americana. E che intende analizzare i contenuti discorsivi o ideologici di questo progetto politico, alla ricerca di nessi tra costruzione del «popolo», appello all’identità e promozione di un ordine di genere e razziale.
La rivolta dell’identità, di cui i fatti di Capitol Hill sono stati la manifestazione più eclatante dei tempi recenti, è indicativa di un senso specifico in cui il populismo di destra sfida la democrazia contemporanea. Sotto attacco, in particolare, è l’ideale dell’uguaglianza, che della democrazia è fondamento e principio.
Per cominciare, però, sarà necessario affrontare il nodo delle definizioni, che rappresentano già in sé una materia controversa.

1.1. Cos’è il populismo?

Negli studi politici il concetto di «populismo» è oggetto di un dibattito pluridecennale e in realtà, come scrive Jan-Werner Müller, non abbiamo nulla che si avvicini a una teoria del populismo4. Secondo alcuni parliamo di un’ideologia, secondo altri si tratta di uno stile politico, una strategia, una mentalità caratteristica o uno stato d’animo5. E ancora, per alcuni il populismo è semplicemente l’altra faccia della partecipazione democratica, addirittura la democrazia al suo meglio6. Per altri, al contrario, è una strategia di potere che sfigura la democrazia7.
Non è mio obiettivo sciogliere i nodi teorici complessi che generano visioni tanto diverse e contrapposte, né dirimere le controversie che animano la comunità degli studiosi. Ai fini del ragionamento che intendo svolgere in queste pagine, propongo di utilizzare una definizione che risulta dall’intersezione di elementi comuni alle diverse posizioni teoriche, e cioè di considerare il populismo come l’espressione di uno spirito antiestablishment che fa leva sulla contrapposizione tra «popolo» ed «élite» per intervenire nel processo politico della rappresentanza. Il discorso populista si articola fondamentalmente attraverso tre proposizioni: il «popolo» è detentore della sovranità; i «nemici del popolo» lo stanno privando del suo potere; bisogna restituire al «popolo» i suoi diritti legittimi8. E un corollario: è attraverso il leader che il «popolo» può far valere la sua volontà contro l’establishment.
Una delle versioni più eloquenti di questa logica è contenuta nel discorso di insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, il 20 gennaio 2017:
Oggi non stiamo semplicemente effettuando un trasferimento di poteri da un’amministrazione a un’altra o da un partito a un altro, bensì stiamo trasferendo il potere da Washington, D.C., e lo stiamo restituendo a voi, il popolo. Per troppo tempo, un piccolo gruppo nella capitale della nostra nazione ha raccolto i frutti del governo, mentre il popolo ne pativa i costi. Washington prosperava, ma il popolo non beneficiava della sua ricchezza. I politici prosperavano, ma i posti di lavoro venivano meno e le fabbriche chiudevano. L’establishment proteggeva se stesso, non i cittadini del nostro paese. Le loro vittorie non sono state le vostre vittorie. I loro trionfi non sono stati i vostri trionfi. E, mentre quella gente festeggiava nella capitale del nostro paese, c’era poco da festeggiare per le famiglie in difficoltà dell’intera nazione. Tutto questo cambia a partire da qui, da ora, perché questo momento è il vostro momento: appartiene a voi.
Certo, affermazioni simili si possono sentire pronunciare da soggetti molto diversi: da partiti che ambiscono alla conquista del potere politico ma anche da movimenti di protesta, come Occupy Wall Street o i Gilet gialli. Secondo Nadia Urbinati, dobbiamo però distinguere tra la retorica populista impiegata da movimenti popolari di contestazione e i partiti e leader populisti che partecipano al gioco elettorale. Questi ultimi si caratterizzano per la ricerca di «una relazione diretta tra il leader e coloro che il leader definisce come la parte ‘giusta’ o ‘buona’ o ‘migliore’ del popolo»; una relazione che scavalca ogni forma di mediazione presentandosi come l’«incarnazione» dei secondi da parte del primo9.
Un punto su cui non c’è dissenso, o quasi, tra gli studiosi è il fatto che tutti i fenomeni compresi sotto l’etichetta del populismo condividono una visione del «popolo» come insieme organico, coeso e indifferenziato al proprio interno. Il popolo populista non è il risultato di una somma di individui – non è il popolo concreto che, secondo Habermas, si manifesta soltanto al plurale –, bensì una comunità d’appartenenza, dotata di grande potere d’integrazione simbolica dei suoi componenti. Non coincide, inoltre, con la popolazione di un paese, ma esprime solo una parte di essa: la parte autentica, l’unica legittima10. Coloro che non appartengono al popolo, coloro che non corrispondono alla sua immagine ideale, coloro che non ne coltivano i valori, sono «non popolo», sono gli «altri». Questi «altri» che si contrappongono al «noi» sono una minaccia, una trappola, un ostacolo da rimuovere11. Sono i «nemici» del popolo.
Si comprende solo così la dichiarazione fatta da Trump in un comizio, secondo cui «l’unica cosa importante è l’unificazione del popolo – perché gli altri non contano nulla»12. O quella di Orbán di fronte alla sconfitta elettorale del 2002, secondo cui «la patria non può stare all’opposizione»13. E ancora, quella di Erdoğan che affronta i suoi oppositori dicendo: «Noi siamo il popolo. Voi chi siete?»14. In fondo è c...

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