1.
Il Giano bifronte populista
Nell’ultimo quarto di secolo il populismo si è imposto all’attenzione come uno dei fenomeni politici più caratteristici del nostro tempo, sia in Europa sia in altre parti del mondo. Molti studiosi hanno enfatizzato il tratto epocale di quella che è apparsa come un’esplosione e un’avanzata inarrestabile. Cas Mudde ha parlato di uno spirito del tempo – uno Zeitgeist – populista, per segnalare come questo discorso sia diventato un carattere tipico e dominante della politica delle democrazie occidentali. Paul Taggart ha descritto quella che appare come una «svolta populista» nell’Europa contemporanea. Per Chantal Mouffe dovremmo parlare di un «momento populista» per descrivere la moltiplicazione delle domande insoddisfatte che, specialmente a partire dalla crisi del 2008, mettono in questione l’ordine politico ed economico.
È però soprattutto negli ultimi anni che il fenomeno ha scosso l’opinione pubblica mondiale, con l’ascesa al potere di leader della destra populista in alcuni degli Stati più grandi e popolosi del pianeta: Narendra Modi in India nel 2014, Donald Trump negli Stati Uniti nel 2016, Jair Bolsonaro in Brasile nel 2018. In Europa, partiti populisti di destra hanno conquistato la maggioranza dei consensi in Ungheria e Polonia, mentre formazioni simili sono entrate in coalizioni di governo in altri paesi, inclusa l’Italia.
È questo lo scenario da cui prende le mosse questo libro, che non è un saggio sul populismo inteso come fenomeno poliforme, con la sua storia secolare, le sue manifestazioni di destra e di sinistra, le sue varianti geografiche. È invece uno studio che si concentra su un tipo di populismo tra quelli oggi esistenti: il populismo nativista e autoritario della destra radicale europea e americana. E che intende analizzare i contenuti discorsivi o ideologici di questo progetto politico, alla ricerca di nessi tra costruzione del «popolo», appello all’identità e promozione di un ordine di genere e razziale.
La rivolta dell’identità, di cui i fatti di Capitol Hill sono stati la manifestazione più eclatante dei tempi recenti, è indicativa di un senso specifico in cui il populismo di destra sfida la democrazia contemporanea. Sotto attacco, in particolare, è l’ideale dell’uguaglianza, che della democrazia è fondamento e principio.
Per cominciare, però, sarà necessario affrontare il nodo delle definizioni, che rappresentano già in sé una materia controversa.
1.1. Cos’è il populismo?
Negli studi politici il concetto di «populismo» è oggetto di un dibattito pluridecennale e in realtà, come scrive Jan-Werner Müller, non abbiamo nulla che si avvicini a una teoria del populismo. Secondo alcuni parliamo di un’ideologia, secondo altri si tratta di uno stile politico, una strategia, una mentalità caratteristica o uno stato d’animo. E ancora, per alcuni il populismo è semplicemente l’altra faccia della partecipazione democratica, addirittura la democrazia al suo meglio. Per altri, al contrario, è una strategia di potere che sfigura la democrazia.
Non è mio obiettivo sciogliere i nodi teorici complessi che generano visioni tanto diverse e contrapposte, né dirimere le controversie che animano la comunità degli studiosi. Ai fini del ragionamento che intendo svolgere in queste pagine, propongo di utilizzare una definizione che risulta dall’intersezione di elementi comuni alle diverse posizioni teoriche, e cioè di considerare il populismo come l’espressione di uno spirito antiestablishment che fa leva sulla contrapposizione tra «popolo» ed «élite» per intervenire nel processo politico della rappresentanza. Il discorso populista si articola fondamentalmente attraverso tre proposizioni: il «popolo» è detentore della sovranità; i «nemici del popolo» lo stanno privando del suo potere; bisogna restituire al «popolo» i suoi diritti legittimi. E un corollario: è attraverso il leader che il «popolo» può far valere la sua volontà contro l’establishment.
Una delle versioni più eloquenti di questa logica è contenuta nel discorso di insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, il 20 gennaio 2017:
Oggi non stiamo semplicemente effettuando un trasferimento di poteri da un’amministrazione a un’altra o da un partito a un altro, bensì stiamo trasferendo il potere da Washington, D.C., e lo stiamo restituendo a voi, il popolo. Per troppo tempo, un piccolo gruppo nella capitale della nostra nazione ha raccolto i frutti del governo, mentre il popolo ne pativa i costi. Washington prosperava, ma il popolo non beneficiava della sua ricchezza. I politici prosperavano, ma i posti di lavoro venivano meno e le fabbriche chiudevano. L’establishment proteggeva se stesso, non i cittadini del nostro paese. Le loro vittorie non sono state le vostre vittorie. I loro trionfi non sono stati i vostri trionfi. E, mentre quella gente festeggiava nella capitale del nostro paese, c’era poco da festeggiare per le famiglie in difficoltà dell’intera nazione. Tutto questo cambia a partire da qui, da ora, perché questo momento è il vostro momento: appartiene a voi.
Certo, affermazioni simili si possono sentire pronunciare da soggetti molto diversi: da partiti che ambiscono alla conquista del potere politico ma anche da movimenti di protesta, come Occupy Wall Street o i Gilet gialli. Secondo Nadia Urbinati, dobbiamo però distinguere tra la retorica populista impiegata da movimenti popolari di contestazione e i partiti e leader populisti che partecipano al gioco elettorale. Questi ultimi si caratterizzano per la ricerca di «una relazione diretta tra il leader e coloro che il leader definisce come la parte ‘giusta’ o ‘buona’ o ‘migliore’ del popolo»; una relazione che scavalca ogni forma di mediazione presentandosi come l’«incarnazione» dei secondi da parte del primo.
Un punto su cui non c’è dissenso, o quasi, tra gli studiosi è il fatto che tutti i fenomeni compresi sotto l’etichetta del populismo condividono una visione del «popolo» come insieme organico, coeso e indifferenziato al proprio interno. Il popolo populista non è il risultato di una somma di individui – non è il popolo concreto che, secondo Habermas, si manifesta soltanto al plurale –, bensì una comunità d’appartenenza, dotata di grande potere d’integrazione simbolica dei suoi componenti. Non coincide, inoltre, con la popolazione di un paese, ma esprime solo una parte di essa: la parte autentica, l’unica legittima. Coloro che non appartengono al popolo, coloro che non corrispondono alla sua immagine ideale, coloro che non ne coltivano i valori, sono «non popolo», sono gli «altri». Questi «altri» che si contrappongono al «noi» sono una minaccia, una trappola, un ostacolo da rimuovere. Sono i «nemici» del popolo.
Si comprende solo così la dichiarazione fatta da Trump in un comizio, secondo cui «l’unica cosa importante è l’unificazione del popolo – perché gli altri non contano nulla». O quella di Orbán di fronte alla sconfitta elettorale del 2002, secondo cui «la patria non può stare all’opposizione». E ancora, quella di Erdoğan che affronta i suoi oppositori dicendo: «Noi siamo il popolo. Voi chi siete?». In fondo è c...