1. Capire l’universo
Siamo tutti […] prigionieri del nostro indottrinamento giovanile, poiché è pressoché impossibile scrollarsi di dosso ciò che ti insegnano da bambino.
Jubal, in Straniero in terra straniera di Robert Heinlein1
Per la scienza è un’epoca pericolosa, ma anche più entusiasmante che mai. Pericolosa perché, in molti paesi, sotterranee tendenze antiscientifiche minacciano di vanificare gli incredibili progressi degli ultimi decenni. Entusiasmante perché alcune fra le domande più profonde stanno infine ottenendo una risposta, e l’umanità sta per risolvere i suoi problemi più impellenti.
Le trasformazioni operate dal progresso scientifico risaltano con particolare evidenza se si confronta il mondo attuale con la situazione della metà degli anni settanta, quando alcuni di noi hanno iniziato a studiare la scienza. Nessuna sonda spaziale si era avventurata oltre Marte. Nessuno sapeva che i quark formano il nucleo di ogni atomo. Internet non esisteva e mancavano anni persino all’avvento delle videocamere a cassette.
In media un’automobile nuova costava 3700 dollari (circa 3100 euro) e una casa statunitense tipica poco meno di dieci volte tanto.
Negli anni seguenti la scienza ha rivoluzionato il pianeta: per esempio l’ingegneria genetica riesce oggi a nutrire una popolazione globale che un tempo si riteneva insostenibile, e interventi cardiochirurgici di routine e altri progressi nella medicina hanno portato oltre gli ottant’anni la durata media della vita umana.
Questo libro vuole spingere ancora più avanti i confini della scienza. Presupporremo che il lettore abbia un livello medio di conoscenza scientifica. Forse anche superiore alla media. Di recente la National Science Foundation, che monitora la diffusione della cultura scientifica, ha pubblicato il sondaggio che svolge ogni anno sulle conoscenze di base: i risultati non sono precisamente motivo di ottimismo.
Il sondaggio include nove domande con risposte vero/falso, per esempio: 1. Il centro della Terra è caldissimo. 2. La radioattività è sempre creata dagli esseri umani. 3. Gli elettroni sono più piccoli degli atomi, e così via.2 I risultati degli statunitensi in questo test sono rimasti abbastanza costanti negli ultimi quarant’anni: il punteggio medio si aggira sul 60 per cento di risposte corrette. (E contrariamente a quanto si crede spesso, gli europei non se la cavano molto meglio.)
Per quanto sia scioccante il livello medio di alfabetizzazione scientifica, forse lo sono ancora di più le condizioni del pensiero critico: secondo alcuni studi una minoranza preoccupante crede a varie teorie complottistiche. Per esempio i sondaggi mostrano che secondo il 7 per cento degli statunitensi le missioni Apollo sulla Luna sono state simulate. Nel 2018 la teoria complottistica che guadagnava più consensi su Internet era quella secondo cui in realtà la Terra è piatta, e le presunte foto scattate dallo spazio sono dei falsi. Purtroppo convinzioni del genere spesso resistono a smentite che non provengono nemmeno da ragionamenti scientifici complessi o esoterici, ma dal semplice buon senso: in questo caso, per sconfessare la credenza nella Terra piatta, basta una semplice telefonata tra amici che vivono sulle due coste degli Stati Uniti, poiché il Sole tramonta in Vermont quando è ancora alto in cielo in California. Basta già questa osservazione a dimostrare che il nostro pianeta non può essere piatto.
Questo libro non è destinato a persone come i «terrapiattisti» che si rifiutano di credere agli indizi che si trovano davanti. Esso si rivolge invece a lettori pronti ad accogliere notevoli rivelazioni basate su esperimenti e osservazioni: infatti il biocentrismo è proprio questo, anche se in ultima analisi il nostro obiettivo riguarda aspetti fondamentali della vita che in precedenza sembravano misteriosi, e per cui si disperava di trovare una spiegazione scientifica.
Dopo aver attraversato a fatica secoli di superstizione, a volte all’origine di repressioni violente del progresso scientifico (basta pensare a Galileo), finalmente quasi tutto il mondo moderno considera la scienza come la fonte più affidabile di conoscenze sulla natura. Essa ci dona inoltre gioielli tecnologici come l’iPhone e il gps, e ci permette di mangiare i pomodori a gennaio.
Oltre a tutto ciò, il metodo scientifico è il processo più efficace mai inventato per determinare la verità. Con la sua enfasi sullo scetticismo, sull’osservazione e sulla verifica distrugge gli impostori senza pietà. Chiunque faccia un’osservazione originale e sorprendente deve tirar fuori prove valide, come nell’ipotesi che la caduta di un meteorite avesse fatto estinguere i dinosauri, sostenuta da Luis e Walter Alvarez. Questa squadra composta da padre e figlio trovò come indizio uno strato di iridio (elemento raro sulla Terra ma abbondante nella polvere di meteoriti) depositato 66 milioni di anni fa su tutto il pianeta. In seguito i due Alvarez divennero tanto celebri che altri ricercatori cercarono di «abbattere» la loro teoria, per guadagnarsi la fama a loro volta ed entrare nella storia. La scienza quindi fornisce di continuo motivazioni per proporre opinioni contrarie e analisi scettiche; si regola da sé.
Sfortunatamente, come abbiamo visto nell’introduzione, gli scienziati sono fin troppo umani, e la scienza ha una propria inerzia, responsabile del fatto che in genere le idee davvero nuove rimangono ignorate non soltanto per anni, ma spesso per decenni o addirittura secoli. Un esempio triste di questo fenomeno è la teoria della deriva dei continenti, formulata nel 1912 dal meteorologo tedesco Alfred Wegener, ma rifiutata dalla maggioranza ancora negli anni cinquanta. Quando venne infine accettata, non soltanto tutti si accorsero del fatto ovvio che il profilo dei continenti si incastra come tasselli di un puzzle, facendo pensare che un tempo appartenessero tutti a un supercontinente oggi detto Pangea, ma vennero anche spiegate bizzarrie come l’espansione dei fondali oceanici in mezzo all’oceano, e la notevole somiglianza tra le rocce dell’America settentrionale e quelle dell’Irlanda. La teoria spiegò infine la «cintura di fuoco» che circonda il Pacifico, teatro di frequente attività sismica e vulcanica. Insomma, in un colpo solo molti misteri furono risolti grazie a questa nuova concezione della crosta terrestre, secondo cui essa galleggiava come un relitto sul magma fuso e subiva annualmente uno spostamento compreso tra 2 e 10 centimetri, ma la nuova teoria impiegò decenni a imporsi.
Altri frammenti collosi che a volte fanno inceppare gli ingranaggi del progresso sono gli aspetti onnipresenti della natura, cui siamo abituati a tal punto da non riuscire a esaminarli con un’analisi obiettiva. Essi sono troppo comuni per attirare l’attenzione.
Una simile familiarità spiega forse come mai soltanto verso la fine del Settecento si sia capito che l’aria è composta di gas distinti, dalle caratteristiche molto diverse. Negli scritti degli antichi greci, che in genere brillano per spirito di investigazione, non si trova alcun accenno all’idea che l’aria fosse altro che una sostanza singola, e neanche in quelli dei primi geni del Rinascimento.
Oggi ci troviamo forse nella stessa situazione riguardo alla coscienza. Il fatto che ogni cosa vista, sentita, ricordata o oggetto di riflessione sia in primo luogo una manifestazione della consapevolezza umana rende quest’ultima tanto nota e vicina da farla spesso ignorare. La «coscienza» è come lo schermo su cui si proietta il film: è la «cosa reale» che ci troviamo davanti al cinema, eppure la ignoriamo, proprio come non riconosciamo la profusione sfarfallante di luci e colori, creata dal proiettore, come tale. Ci concentriamo invece sulle forme create dal film, sulle figure che riconosciamo come visi degli attori o sul significato trasmesso dalle parole registrate nella colonna sonora.
Ma l’analogia cinematografica non può andare lontano. Nel caso dello schermo, il telone di materiale riflettente non è necessario in sé e per sé; sarebbe bastata un’altra superficie, come una parete bianca. La coscienza è diversa. Il fenomeno della consapevolezza, della percezione, non soltanto è fondamentale per tutto ciò che sappiamo o possiamo mai sperare di sapere, ma è anche del tutto a sé stante, come natura e come origine.
Poiché la conoscenza è il sine qua non della scienza, e la percezione è l’unico modo di acquisire conoscenze, per capire il mondo la coscienza sembrerebbe più essenziale di qualsiasi tecnica di reti neurali o sottosistema neurale. Dopotutto, se la coscienza umana presenta distorsioni o bizzarrie fondamentali, queste potrebbero deformare tutto ciò che vediamo e impariamo. Vorremmo allora esserne al corrente prima di metterci a considerare i nostri innumerevoli metodi per acquisire informazioni, che riguardino la classificazione di suoni e colori o la tassonomia delle forme viventi. La coscienza è alla radice di tutto, più fondamentale del disco rigido del computer: in questa analogia, svolge piuttosto il ruolo della corrente elettrica.
Inoltre, già da un secolo gli esperimenti hanno mostrato in maniera inequivocabile che la semplice presenza dell’osservatore modifica le osservazioni. All’epoca e ancora oggi questo fenomeno è considerato una stranezza o un inconveniente, ma è una forte indicazione del fatto che non siamo separati dalle cose che vediamo, udiamo e contempliamo. Noi, la natura e l’osservatore, siamo invece una sorta di entità inseparabile. Questa semplice conclusione è al cuore del biocentrismo.
Ma che cos’è questa entità? Purtroppo, poiché la coscienza è stata studiata soltanto in maniera superficiale e rimane in gran parte un mistero, l’amalgama formato da «coscienza + natura» è altrettanto enigmatico o, anzi, di più. Definiamo superficiali gli studi passati perché, nonostante progressi notevoli nelle neuroscienze, che sulle prime si limitavano a determinare quali parti del cervello controllano varie funzioni motorie e sensoriali, ma ormai sono giunte addirittura ad analizzare la codifica di concetti da parte di reti complesse di neuroni, questa stessa disciplina si è occupata poco di risolvere profonde questioni basilari, come la comparsa della coscienza nella materia (è il cosiddetto «problema difficile della coscienza»). Forse non si può dare la colpa agli specialisti: come si è visto, questi problemi fondamentali resistono con testardaggine ai tentativi di chiarirli tramite gli strumenti scientifici abituali. Da che parte comincereste voi a progettare un esperimento che fornisca informazioni obiettive su questo fenomeno, il più soggettivo di tutti?
Di fronte ad aspetti della natura che sfuggono alla spiegazione logica e non si prestano all’indagine sperimentale, la tradizione consolidata della scienza è quella di ignorarli. In realtà si tratta di una reazione appropriata, perché non è auspicabile che i ricercatori tirino a indovinare, proponendo ipotesi fumose. Il silenzio ufficiale non sarà di grande aiuto, ma è rispettabile. La conseguenza è però che il semplice termine «coscienza» può sembrare fuori luogo nei libri o negli articoli scientifici, malgrado il fatto che, come vedremo, nomi famosissimi della meccanica quantistica lo considerassero un aspetto essenziale per capire il cosmo. E questo avveniva prima che, in tempi abbastanza recenti, se ne riconoscesse il ruolo non soltanto nel rivelare ciò che osserviamo, ma nel crearlo.
La maniera in cui la consapevolezza umana (e probabilmen...