Introduzione
Carlo Sorrentino
Comunicazione è parola usata e abusata e â come spesso capita ai termini inflazionati â rischia di perdere consistenza e significato. Quante volte negli ultimi anni ci è capitato di sentirla pronunciare come soluzione per ogni situazione, sia in ambito privato â relativo alla nostra vita familiare o amicale â sia in ambito pubblico, per gestire processi politici o economici: âcon mia moglie non câè piĂš comunicazioneâ, âcon i figli ho stabilito un ottimo feeling, basato sulla comunicazione, ci diciamo tutto!â, âper garantire il successo ai nostri nuovi prodotti dovremo investire in comunicazioneâ, âil nostro programma politico era valido, non siamo stati bravi a comunicarlo!â.
Insomma, sembra sia sempre e soltanto questione di comunicazione. Giusto! Ma, spesso, dietro questa convinzione si celano alcune pericolose semplificazioni.
Innanzitutto, credere che a comunicare sia soltanto lâemittente, che si rivolge a destinatari che â come recipienti vuoti â si riempiono di tutto ciò che gli viene detto, esattamente attribuendogli il significato voluto dallâemittente. Un errore alla base del principale equivoco esistente sulla comunicazione: pensare che comunicare sia dire, mostrare, apparire. Ne consegue la convinzione che per comunicare non si debba necessariamente stabilire una coerenza fra il dire e il fare, fra lâapparire e lâessere. Una buffa conferma di tale convinzione la ritroviamo nelle espressioni piĂš ricorrenti quando si parla di competenze professionali nel campo comunicativo: âguru della comunicazioneâ, âmago dei mediaâ. Come se in questo ambito si sospendesse lâesigenza di normali qualificazioni, come accade per tutte le professioni, e si richiedessero capacitĂ taumaturgiche, basate sul tumultuoso estro di qualche genio creativo. Non è un caso se nel nostro Paese la logica conseguenza di questa convinzione abbia portato fino a qualche anno fa a non prevedere percorsi formativi istituzionalizzati nei settori della comunicazione, nella convinzione che si basassero sul âfiutoâ, sullâinnatismo, su una sorta di âchiamataâ, propria delle vocazioni. Una disgiunzione pericolosa - quella tra il dire e il fare - anche in termini di efficacia. Infatti, la comunicazione è una pratica complessa che richiede, innanzitutto, coerenza da parte di chi la mette in atto; poi, comprensione dei propri interlocutori, quindi, del contesto dove il processo comunicativo si instaura. Insomma, la comunicazione inerisce soprattutto lâidentitĂ degli attori che vi partecipano. Sia chiaro, coerenza non vuol dire onestĂ , trasparenza, adesione al sistema valoriale vigente. Possiamo dire che sia Totò Riina che Madre Teresa di Calcutta nella loro vita abbiano praticato coerenza comunicativa; infatti, a noi sono arrivate ben chiare le loro idee e visioni del mondo, nonchĂŠ le azioni adoperate per metterle in pratica. La coerenza, dunque, non è unâesigenza morale, etica, bensĂŹ un prerequisito per il successo comunicativo.
Comunicare, pertanto, vuol dire sapere chi si è, dove si è e con chi si ha a che fare. Detto cosĂŹ sembra lapalissiano e anche facile da mettere in pratica. Eppure, è raro trovare buona comunicazione, sia per lâequivoco descritto - che porta molto spesso a non misurare le proprie azioni comunicative in base allâinterlocutore e al contesto - sia per la ridondanza delle comunicazioni circolanti; soprattutto con le nuove tecnologie digitali, che ci hanno immerso in un mare sempre piĂš largo e densamente popolato di informazioni, news, dichiarazioni, opinioni, contestazioni e via discorrendo.
Muoversi in questo ambiente saturo è per tutti molto difficile. Per cercare di facilitare lâarduo quanto irrinunciabile compito di conoscere le logiche della comunicazione e gestirle al meglio presentiamo questo agile volume. Attraverso 20 parole chiave si offre al lettore qualche strumento in piĂš per comprendere i percorsi dei processi comunicativi. Comprensione necessaria per acquisire adeguate competenze comunicative. GiĂ sento le obiezioni! Ma io non ho niente da comunicare. Non devo vendere niente, nĂŠ ho ambizioni politiche oppure di muovermi sulla scena pubblica.
Obiezione respinta. Tutti noi dobbiamo gestire la nostra presenza in questo complesso ambiente comunicativo. Non soltanto per interagire con parenti e amici, con i vicini di casa cosĂŹ come i colleghi al lavoro; ma soprattutto perchĂŠ quotidianamente siamo chiamati a scegliere, decidere e agire in molti e distinti ambienti sociali, dai quali dobbiamo assumere tutte le informazioni opportune per muoverci con destrezza, non compiendo gaffe, nĂŠ sottovalutazioni, affinchĂŠ siano soddisfatti gli obiettivi stabiliti.
In altri termini, in un mondo densissimo di informazioni in circolazione, popolato da sempre nuovi attori, ognuno di essi portatore di differenti punti di vista, posizioni, attribuzioni di significato, è piĂš che mai necessario una seconda alfabetizzazione. CosĂŹ come nei passati decenni imparare a leggere e a scrivere è servito ad acquisire cittadinanza, cioè a pensare con la propria testa, e scongiurare che una ristretta ĂŠlite imponesse le proprie idee; analogamente nellâaffollato mondo digitale dobbiamo acquisire cittadinanza digitale, che vuol dire permettere al piĂš ampio numero di individui di agire con consapevolezza in tale ricchezza, per non subirla, imparando a scernere il vero dal verosimile e, soprattutto, disvelare lâinverosimile.
La ricchezza comunicativa descritta richiede a tutti una maggiore tensione proattiva nel selezionare i contenuti. Mentre fino a ieri bastava aprire il giornale, ascoltare il telegiornale e affidarsi piĂš o meno completamente a tali intermediari, oggi il lavoro di selezione lo facciamo direttamente noi; spesso senza nemmeno accorgercene, in base agli interessi predefiniti sui nostri profili social, oppure stimolati dai suggerimenti che ci appaiono sugli schermi dei nostri supporti, casomai senza nemmeno conoscere i meccanismi che câinducono ad approfondire lâinformazione sportiva piuttosto che quella economica, le qualitĂ di certi siti piuttosto che di determinati generi narrativi.
A tirarci dentro questa logica è il cosiddetto processo di disintermediazione, che ci consente il confronto diretto con un numero indefinito di fonti. Ă bene, allora, apprendere i criteri esistenti dietro tali processi, anche per dotare di senso le nostre selezioni attraverso una soddisfacente gestione dellâaltra prerogativa tradizionalmente appartenente ai professionisti della comunicazione: la verifica. Verificare le informazioni a cui accediamo richiede effettuare riscontri, imparare a riconoscere affidabilitĂ , accuratezza, credibilitĂ di una fonte, sapere come misurare la sua reputazione in rete. Insomma, cosĂŹ come con lâalfabetizzazione gli individui hanno iniziato a decidere in proprio le informazioni da acquisire e le conseguenti idee da sviluppare; oggi attraverso lâalfabetizzazione digitale è necessario compiere dei passi in avanti per stabilire come gestire la nuova potenziale risorsa a disposizione. PiĂš o meno la stessa differenza esistente fra imparare a camminare e decidere di correre o fare trekking per tenersi in forma.
Questa piĂš complessa alfabetizzazione è necessaria anche perchĂŠ le evoluzioni descritte non modificano soltanto il nostro ruolo di destinatari dâinformazioni, ma le forme della produzione comunicativa. Quando analizziamo quali foto delle vacanze pubblicare sui nostri profili social oppure se e come rispondere ai post arrivati, quando decidiamo di reindirizzare un contenuto informativo che ci è giunto, nonchĂŠ le motivazioni per indurre alla sua fruizione, di fatto stiamo producendo comunicazione. E quasi sempre queste azioni le decidiamo ragionando in termini identitari: come vogliamo renderci visibili agli altri? Sottolineare quanto ci siamo divertiti durante le vacanze oppure che abbiamo fatto esperienze interessanti? Nei commenti vogliamo usare un tono misurato, adducendo adeguate argomentazioni, oppure violento, basato soprattutto sullâistinto? Che tipo di contenuti preferiamo condividere, quelli di accordo con le politiche governative oppure di contrarietĂ ?
Ogni scelta presuppone un ragionamento su di noi, sui nostri interlocutori, sul registro comunicativo scelto, sul contesto comunicativo in cui ci troviamo. BenchĂŠ spesso lâinformalitĂ caratterizzante questi atti â anche per la frequenza con cui li compiamo â non ce lo faccia cogliere appieno, tutte queste operazioni mostrano come spesso diventi centrale - nelle motivazioni addotte per spiegare le nostre azioni - il ruolo degli altri, lâinterdipendenza con le loro decisioni, con i loro stili di vita, con gli esempi che ci mostrano. Come spesso mi capita di ricordare, questo intreccio lo si ritrova anche nellâeducazione dei propri figli - apparentemente il piĂš privato degli ambiti â in cui influiscono le agenzie di socializzazione a cui li esponiamo â dalla scuola al campetto di calcio, dai giardini alle amicizie; le letture oppure le fruizioni televisive a cui li esponiamo; i luoghi dove abitiamo. Insomma, anche questa pratica è svolta insieme a tanti altri â piĂš o meno significativi â che diventano fonti dâispirazione â in positivo in negativo; elementi di comparazione â dal prossimo anno gli farò fare lo stesso tipo di vacanze proposto ai propri figli dalla mia collega di lavoro; supporto decisionale: seguirò i consigli datemi dal vicino di casa oppure dallâallenatore di basket.
Dunque, se non si considerano le identitĂ di emittenti e riceventi, le peculiaritĂ dei contesti, le modalitĂ attraverso cui lâopinione pubblica impone un tema piuttosto che un altro allâattenzione collettiva si banalizza la comunicazione in un insieme di pratiche trasmissive, sterilmente indirizzate a soddisfare uno specifico obiettivo, con la conseguenza di vederne mortificati i risultati. Bisogna, piuttosto, avere una visione dâinsieme di tali processi, comprendere perchĂŠ diventano centrali in un mondo denso di soggettivitĂ , opinioni e possibilitĂ . Saper comunicare non vuol dire, quindi, convincere gli altri, ma riuscire a comprendere bene la natura dei nostri interlocutori, per capire meglio cosa vogliamo fare e chi vogliamo essere. Le pagine che seguono vogliono essere una piccola guida per un grande obiettivo. Una sorta di abbecedario per muoversi fra termini e significati che spesso diamo per scontato e che, invece, non lo sono per niente. Le 20 parole scelte si possono suddividere in 4 differenti categorie:
⢠parole tese a fornire un perimetro definitorio piÚ chiaro entro cui si muovono i processi di comunicazione: comunicazione, interazione, media, mediatizzazione, disintermediazione, sfera pubblica;
⢠parole utili per approfondire quanto sintetizzato in questa introduzione: la comunicazione è il sistema nervoso delle attuali societĂ complesse, dove la fiducia necessaria per raggiungere lâintesa ha sempre bisogno di conferme, di responsabilitĂ , indispensabile per far acquisire cittadinanza agli individui, in uno spazio pubblico piĂš ampio e interdipendente: visibilitĂ , cittadinanza, fiducia, responsabilitĂ , memoria;
⢠parole con cui si indicano specifiche funzioni, generi o pratiche della comunicazione: giornalista, fact-checking, public engagement, comunicazione istituzionale, cronaca nera;
⢠infine, termini meno conosciuti ma che iniziano a essere adoperati sempre piÚ di frequente per raccontare la cosiddetta rivoluzione digitale, scelte per fornire una piÚ chiara definizione delle stesse a un pubblico che potrebbe essere rimasto frastornato dalla reiterazione con cui sono richiamate senza aver avuto il tempo di chiarirsi il loro significato: web, seo, fake news, post verità .
Come sempre quando si stabiliscono gli ingredienti di qualsiasi ricetta, anche quelle che dovrebbero nutrire lo spirito (come un libro!), le scelte presentano un elevato grado dâarbitrarietĂ . Altri âChefâ che non fossero stati il curatore e gli autori di questo volume probabilmente ne avrebbero indicate altre, eliminandone alcune. Ovviamente, ogni responsabilitĂ per le scelte compiute e per le omissioni riscontrabili sono da imputare agli autori e al curatore. Soprattutto a questâultimo.
Laura, Emiliano e io abbiamo cercato di essere chiari e diretti, correndo consapevolmente il rischio di qualche semplificazione oppure di affermazioni apodittiche. Ma ci siamo imposti di contenere tutte le voci in massimo 1500 parole, al fine di rendere piĂš immediata la fruizione di ciascuna. Nelle varie voci si trova qualche ripetizione dei principali concetti che fanno da filo rosso al nostro ragionamento; tuttavia, abbiamo ritenuto opportuno lasciarle per consentire a ciascun lettore di selezionare soltanto le voci di maggior interesse, anche se - come è lâauspicio di ogni autore â ci auguriamo che â favorevolmente colpiti â il lettore allarghi poi il suo interesse a tutte le 20 voci presentate. Sempre per una migliore scorrevolezza, non vi sono citazioni, nĂŠ indicazioni bibliografiche. Abbiamo sopperito riportando nei riferimenti bibliografici soltanto le opere a cui facciamo esplicito riferimento nei testi.
Firenze, settembre 2018
C.S.
COMUNICAZIONE
Laura Solito
Molte sono le definizioni possibili quando si parla di comunicazione. Quindi un primo, opportuno lavoro da fare è circoscriverne il significato rispetto ai tanti impiegati nel variegato uso da parte del nostro linguaggio comune.
Possiamo ricondurre le tante accezioni del termine a tre concetti: trasmettere un messaggio; elaborare e condividere significati; costruire relazioni.
La prima definizione è quella piĂš intuitiva. Comunicare consiste indubbiamente nel far arrivare un messaggio da un emittente a uno o piĂš riceventi. Ma se si approfondisce questo banale concetto si può facilmente osservare come lâefficacia della comunicazione non possa prescindere da unâazione preventiva, consistente proprio nella costruzione della dimensione relazionale. Di fatto, non riesco a comunicare se non ho alcuna informazione sui miei possibili interlocutori. Facciamo lâesempio di situazioni in cui ci troviamo davanti ad estranei. Se questa compresenza si prolunga, il silenzio può diventare imbarazzante; eppure non riusciamo a trovare argomentazioni giuste, proprio perchĂŠ non sappiamo niente di loro. Spesso usciamo da questo impaccio attivando discorsi di carattere generale: ad esempio sul tempo, âbella giornata, vero!â. Siamo consapevoli che il concetto di bella giornata è universale e, quindi, facilmente condivisibile. Dunque, la trasmissione âfunzionaâ nella misura in cui conosciamo gli interlocutori e in base a tale conoscenza attiviamo una determinata relazione. CosĂŹ, se siamo davanti allo sportello di un ufficio postale, il nostro interlocutore â lâimpiegato delle poste â si aspetta che la nostra comunicazione sia focalizzata sul suo ruolo pubblico e abbia a che fare con le sue competenze lavorative. Resterebbe esterrefatto se noi iniziassimo a parlare di cosa abbiamo visto in TV la sera precedente, oppure facessimo apprezzamenti sul suo abbigliamento. Tranne che precedenti frequentazioni dello stesso impiegato non abbia definito una conoscenza maggiore, tanto da permettere deroghe alla nostra comunicazione. Anche in questo caso, comunque, la digressione sulla programmazione televisiva oppure sullâabbigliamento sarebbe soltanto una parentesi introduttiva al motivo per cui ci si reca allâufficio postale. Insomma, la trasmissione del messaggio comunica effettivamente qualcosa se câè una relazione fra emittente e ricevente. Tale relazione comunicativa âfunzionaâ nella misura in cui si condividono dei significati: nel banale esempio fatto in precedenza, si deve sapere cosa sia un ufficio postale, perchĂŠ ci si va e a fare cosa, chi sia un impiegato delle Poste e quali siano le sue competenze. Dunque, comunicare significa stabilire una relazione sulla base della condivisione di significati. Condivisione di significati non vuol dire pensarla allo stesso modo. Posso parlare di politica oppure di calcio con un interlocutore anche pensandola in modo diametralmente opposto; lâimportante è sapere cosa sia la politica oppure conoscere le regole del gioco del calcio.
Se gli esempi scelti fanno apparire molto semplice e lineare la relazione comunicativa, basta salire soltanto leggermente nel livello dâastrazione per capire come molto spesso sia difficile definire efficacemente la specifica struttura di una relazione comunicativa, casomai per la difficoltĂ nel precisare le specifiche situazioni e i peculiari contesti.
Nella relazione comunicativa si evidenziano, quindi, la centralitĂ sia dellâemittente che del ricevente. Ma, soprattutto, è rilevante il contesto in cui tale relazione comunicativa si attiva. Nellâesempio prima enunciato dellâufficio postale la relazione comunicativa è strettamente condizionata dal contesto in cui avviene, che da una parte favorisce la comunicazione fra estranei, ma dallâaltra la canalizza, restringendo i possibili ambiti discorsivi.
Questâapproccio supera quanto in dottrina ha prevalso a lungo, e spesso continua a prevalere nel senso comune: il netto primato dellâemittente, che trasmette contenuti a un ricevente passivo. Un primato che riscontriamo, ad esempio, in tanta attivitĂ comunicativa in cui gli emittenti cercano di acquisire consenso e attenzione dai riceventi, ma senza preoccuparsi minimamente di coinvolgerli nella relazione, oppure di considerare le peculiaritĂ del contesto in cui si pone la relazione comunicativa. Sono le tante situazioni che poi si traducono in espressioni del tipo: ânon sono stato capitoâ, âabbiamo avuto un difetto di comunicazioneâ, âsiamo stati fraintesiâ. Dietro queste difficoltĂ si cela lâerrore di fondo di ritenere il ricevente passivo e, di conseguenza, di credere di poter uniformare il proprio messaggio a tutti i riceventi potenziali, perchĂŠ â se sono dei contenitori vuoti â arriverĂ a tutti lo stesso contenuto. Invece, la relazione comunicativa ha sempre una bi-direzionalitĂ . Ogni ricevente partecipa alla relazione attivando le proprie competenze comunicative, derivate dalla rilevanza data a quella relazione, dalla conoscenza che ha dello specifico ambito comunicativo, dei significati che vi attribuisce, forgiati dalla sua cultura, dalle sue precedenti esperienze e cosĂŹ via. Dunque, ogni ricevente attiva un feedback. Se lâemittente non è consapevole di ciò, il suo messaggio è destinato a diventare inefficace. Analogamente, come giĂ accennato, anche il contesto in cui avviene la comunicazione rappresenta una dimensione costitutiva della relazione comunicativa. Come ben specifica Goffman, ogni atto comunicativo è suddivisibile in due distinti livelli: il micro contesto che regola la specifica situazione comunicativa â io e lâimpiegato che interagiamo nellâufficio postale â e il macro contesto che stabilisce a livello linguistico, sociale e culturale le regole della nostra interazione: io e lâimpiegato delle poste siamo due persone ciascuna con la propria identitĂ , definita dalla biografia, dal processo di socializzazione, dalle competenze linguistiche ecc. ecc.; ma siamo dentro due ben definit...