Il racconto del mito
Un dio dai mille volti
Legato alla scoperta del fuoco e allâinizio del processo di civilizzazione, Prometeo ha costantemente accompagnato lo sviluppo della coscienza culturale dellâOccidente, con una capacitĂ metamorfica che non conosce eguali. Nessunâaltra figura mitica possiede la sua versatilitĂ : ora dio filantropo, benefattore dellâumanitĂ grazie al dono del fuoco e patrono delle arti e delle scienze, ora invece responsabile dellâallontanamento del genere umano da uno stato di grazia iniziale; ora ribelle Lucifero, ora messianico salvatore; per Marx primo martire della storia dellâuomo, per Nietzsche ipostasi dello spirito ariano; nel pullulare delle ideologie del Novecento, da emblema della razza germanica che attende il suo liberatore Hitler-Ercole, a simbolo della causa bolscevica per lâaffrancamento dellâuomo dalla schiavitĂš grazie alla spartizione dei privilegi e dei beni materiali (il fuoco strappato agli dèi).
La poliedricitĂ del personaggio è giĂ presente nelle testimonianze antiche, nelle quali il mito si incrementa tematicamente e dialetticamente, costituendo una prima rappresentazione della condizione umana nei suoi rapporti con il divino. Non esistendo un solo Prometeo, ma tanti Prometei quanti sono gli autori che ne hanno raccontato la storia, ripercorreremo i testi letterari greci e latini nellâintento di ricostruire i nuclei tematici fondamentali, a loro volta generatori, presso i moderni, di infinite rifunzionalizzazioni interpretative.
Le origini del mito e la questione etimologica
Il mito di Prometeo evoca credenze religiose primordiali e per questo universalmente diffuse: in molti sistemi culturali, anche privi storicamente di punti di contatto, è presente il tema del fuoco come prerogativa divina e della sua conquista da parte di unâumanitĂ primitiva, che lo sottrae al controllo celeste (una ricca documentazione è stata raccolta al riguardo da J.G. Frazer). Alcuni racconti arii, ad esempio, identificavano il fuoco con il dio Agni (è palese la comune radice con il termine latino ignis). Il mito narra che un tempo Agni era scomparso dalla terra nascondendosi in una spelonca, e un dio o semidio, Matariçvan, lo trafugò nuovamente agli dèi per riportarlo agli uomini, consegnandolo al saggio Bhrigu (âsplendenteâ), antenato dellâomonima stirpe di sacerdoti. In altre versioni Matariçvan si identifica con lo stesso dio Agni. Lâallusione ai Bhrigu evidenzia il legame del fuoco con il rituale sacrificale e dunque religioso. Non a caso, Plinio il Vecchio afferma che per primo Prometeo avrebbe offerto un bue in sacrificio agli dèi (Storia Naturale VII 57.7). Anche nella tradizione greca solo i riti sacri per le divinitĂ infere erano apyra, âsenza fuocoâ, e il sacrificio âche rifiutava il fuocoâ era considerato infausto.
Lâantropologia culturale ha cercato lâorigine di questo mito nella tradizione vèdica, ravvisando nel dio lo scopritore del metodo di produzione del fuoco; in sanscrito, infatti, il termine pramantha indica uno dei due bastoncini dal cui sfregamento si generava la scintilla del fuoco, e precisamente quello attivo, che si faceva girare vorticosamente nel foro dellâaltro, detto arani. Unâaltra piĂš nota versione fa invece derivare il nome da pro + manthĂ nein (âpensare primaâ), a sua volta riconducibile alla radice indoeuropea man-dh (âprevedereâ); quindi Prometeo indicherebbe âil previdenteâ (Pramathi, il âPreveggenteâ era, del resto, epiteto del dio ario Agni). I presupposti di questo etimo, a cui fa esplicito riferimento Eschilo nella sua tragedia, sono rintracciabili fin da Esiodo, dove già è presente la coppia antitetica dei due fratelli: Prometeo, âcolui che pensa primaâ (di agire), âil sapienteâ, ed Epimeteo, âcolui che pensa solo dopoâ (aver agito), e dunque lo sprovveduto, lâimprevidente.
Oltre al tema centrale del fuoco, la figura di Prometeo vanta ulteriori molteplici pertinenze mitiche di respiro universale, relative a temi come la competizione tra gli dèi per il controllo del cosmo, lâantropogonia, il grande diluvio. Un particolare rilievo è stato dedicato dagli storici delle religioni ai nessi della leggenda con le tradizioni sumeriche, accadiche, babilonesi ed ebraiche. Il ruolo di Prometeo nelle lotte di successione che oppongono Zeus alle generazioni piĂš antiche e che vedono il Titano schierato a difesa dei mortali richiama per vari aspetti la funzione dello scaltro Ea nellâepica accadica dellâEnĂťma Elish e nel ciclo ittita di Kumarbi, come pure quella del dio Enki, leader culturale nel pantheon sumerico (J. Duchemin). E alcune interessanti analogie (pur in mezzo a differenze e addirittura opposizioni) tra il castigo di Prometeo, quale è descritto da Eschilo, e quello inflitto allâeroe caucasico Amirani, anchâegli legato, sprofondato nella terra e riportato alla luce del sole dal riaprirsi delle montagne, sono state rilevate nel dettagliato studio comparatistico di G. CharachidzĂŠ.
Prometeo lâingannatore
Le prime testimonianze letterarie relative a Prometeo sono nel poeta epico Esiodo (VIII-VII secolo a.C.), che fa di lui il prototipo della figura del trickster (propriamente âimbroglioneâ, âbricconeâ), presente in molte tradizioni mitico-religiose e folkloriche. Uomo, essere divino o animale antropomorfo, il trickster è di norma un personaggio estremo e ambivalente, che mette in moto cambiamenti imprevedibili, attraversando e rompendo i confini del mondo naturale e sociale per rifondarli su nuove basi; provocatore di disastri e istitutore di beni dâimportanza capitale, è spesso legato ai primordi, ponendosi talvolta come cooperatore, sia pure maldestro, dellâazione demiurgica dellâEssere supremo, a volte come suo antagonista. Nella Teogonia, un poema epico che rappresenta il piĂš importante tentativo di sistemazione della tradizione mitico-religiosa della cultura greca antica, la storia di Prometeo viene narrata insieme a quella degli altri Titani, nati da Giapeto (a sua volta figlio di Urano-Cielo e Gea-Terra) e dallâOceanina Climene (vv. 507-616). Il mito, incastonato nel piĂš vasto racconto dellâazione ordinatrice di Zeus, si presenta giĂ articolato in vari nuclei narrativi dalla chiara funzione fondativa: con una prolessi narrativa il poeta anticipa la punizione del Titano, accostandola a quelle stabilite per i suoi fratelli, e solo dopo passa a illustrarne la colpa.
Il nuovo signore dellâOlimpo, il giovane Zeus âsapienteâ, âdallâampio sguardoâ, âconoscitore di eterni consigliâ, mette mano alla riorganizzazione del cosmo dopo aver sconfitto le forze primordiali, da lui relegate nellâoscuritĂ o costrette alla marginalitĂ . Questa è anche la sorte dei figli di Giapeto e Climene: lâarrogante Menezio, ÂŤper via della sua tracotanza e della forza senza pariÂť, è fulminato dallâÂŤinfuocata saettaÂť di Zeus e scagliato nellâErebo; il forte Atlante è confinato allâestremo limite occidentale della Terra, di fronte al giardino delle Esperidi, ÂŤa sostenere lâampio cielo con il capo e le infaticabili bracciaÂť; lâastuto Prometeo, ÂŤdotato di una mente versatile e multiformeÂť, è legato con ceppi indissolubili a una colonna, mentre unâaquila ogni giorno gli divora la porzione di fegato che gli ricresce durante la notte. La rilevanza semantica del mitema della punizione di Prometeo si coglie anche nelle piĂš antiche testimonianze iconografiche a noi note: si tratta di raffigurazioni vascolari del VII e VI secolo a.C. che presentano vari dettagli in comune con il racconto esiodeo. Tra queste si distingue una coppa laconica del Pittore di Arkesilas risalente al 565-50 a.C. (Vaticano, Museo Gregoriano Etrusco): Prometeo è ritratto di profilo, legato alla colonna, con le gambe flesse e il busto reclinato allâindietro, in atto di guardare a sinistra in direzione di Atlante, che è a sua volta orientato verso destra, con gli arti inferiori piegati e il busto chino in avanti. I due fratelli, inquadrati tra un gallo e un serpente, simboli dellâOriente e dellâOccidente, sono fra loro paralleli e speculari: Prometeo offre il torace al supplizio dellâaquila, mentre il sangue che gli sgorga dalla ferita si addensa a terra; Atlante sorregge la volta celeste, che si prolunga fin dietro il capo di Prometeo. Lâimmagine, che ricalca la scena narrata da Esiodo, rappresenta simbolicamente lo spazio del nuovo mondo liberato dalle forze titaniche, mentre nel centro della composizione campeggia lâaquila, simbolo del potere di Zeus.
Dopo aver presentato la punizione di Prometeo in parallelo a quella dei suoi fratelli, Esiodo passa a rievocarne la causa che lâha originata: il conflitto con Zeus iniziato con lâinganno perpetrato dal Titano in occasione di un banchetto sacrificale presso la cittĂ di Mecone. Fa qui la sua prima comparsa la stirpe umana, della cui nascita non viene tuttavia data spiegazione alcuna. Nella spartizione delle carni di un bue tra dèi e uomini Prometeo nasconde la porzione peggiore, le ossa, sotto un abbondante strato di grasso per farla sembrare appetibile, e la offre a Zeus, mentre nasconde la parte migliore, le carni, sotto le viscere, per destinarla agli uomini. Accortosi dellâinganno, Zeus, adirato, sottrae allâuomo il fuoco, ma con un nuovo inganno Prometeo riesce a riportarlo sulla terra nascondendolo in una canna cava (o ânarteceâ). Da ciò la condanna del Titano e una nuova punizione per lâuomo: la creazione della donna, ÂŤcompagna di ogni opera funestaÂť.
Il racconto è riproposto da Esiodo nel poema didascalico Le opere e i giorni. Qui il poeta, nel narrare lâorigine del lavoro per lâuomo, si diffonde con maggiori dettagli sulla creazione della donna. Pandora (âcolei che ha ricevuto tutti i doniâ) è plasmata dal dio Efesto con il fango come nella Teogonia, ma ora in collaborazione con Atena, che lâagghinda e le insegna lâarte della tessitura, Afrodite, che le infonde grazia e fascino, e Hermes, che la dota di menzogne e inganni. Ă lo stesso Hermes a condurre la fanciulla da Epimeteo, il quale, non menzionato nella Teogonia tra i Titani puniti da Zeus, è evidentemente rimasto a vivere sulla terra con gli uomini, a loro rovina. Incurante delle raccomandazioni di Prometeo, Epimeteo accoglie il dono di Zeus. Mentre nella Teogonia non erano menzionate altre punizioni oltre a Pandora, qui vengono sottratti agli uomini anche i mezzi di sostentamento, il che li obbliga al lavoro. Se lâumanitĂ era fino ad allora vissuta immune da fatiche e sofferenze, dopo che Pandora ha sturato il vaso (pithos) dei mali, questi ultimi si spandono per il mondo; solo la Speranza (ElpĂs), per volontĂ di Zeus, rimane allâinterno. Sulla natura dellâElpĂs, se sia da intendersi come bene oppure come male, lungamente si è disputato, senza un esito condiviso. Si potrebbe pensare a un principio ambivalente e dunque eticamente non classificabile: Zeus (a causa di una sorta di resipiscenza?) avrebbe voluto negare agli uomini la lucida prescienza del loro destino infelice (le âcieche speranzeâ menzionate da Eschilo in Incatenato vv. 248-250).
In Esiodo il furto del fuoco ha una valenza del tutto differente rispetto alla versione che sâimporrĂ a partire dal teatro attico. Nel racconto esiodeo, infatti, il fuoco era giĂ diffuso tra gli uomini, e Zeus lo sottrae momentaneamente come reazione allâinganno del sacrificio. Prometeo, dunque, non fa che riportare agli uomini ciò che era giĂ in loro possesso: il senso di una sua missione civilizzatrice è perciò del tutto assente. Non solo: secondo Esiodo, lâinganno di Mecone e il furto del fuoco segnano la fine di una condizione edenica dellâuomo e lâinizio dei mali e delle sofferenze, come conseguenza della separazione del suo destino da quello degli dèi beati, un tempo condiviso. Questo aspetto assume particolare rilevanza nelle Opere, dove il mito di Pandora è introdotto per spiegare lâorigine della fatica del lavoro. Si tratta di una concezione per certi versi confrontabile con quella biblica del peccato originale e dellâallontanamento dellâuomo dal Paradiso terrestre nel libro della Genesi. Non a caso, al mito di Prometeo e Pandora segue, nelle Opere, il celebre racconto delle cinque etĂ del mondo (vv. 106-202), che descrive la decadenza del genere umano dalla prima âstirpe dâoroâ, che visse sotto Crono (ÂŤal pari degli dèi, con il cuore che non conosceva il dolore, lontano da fatiche e sventura; nĂŠ incombeva la misera vecchiaia, ma sempre, fiorenti per vigore, si rallegravano nei conviti, lungi da tutti i malanni, e morivano come presi dal sonnoÂť), fino alla spregevole âetĂ del ferroâ, quando solo ÂŤgli affanni luttuosi resteranno ai mortali, nĂŠ vi sarĂ difesa alcuna contro il maleÂť.
Prometeo è ritratto di profilo, legato alla colonna, con le gambe flesse e il busto reclinato allâindietro, in atto di guardare a sinistra in direzione di Atlante, che è a sua volta orientato verso destra, con gli arti inferiori piegati e il busto chino in avanti. I due fratelli, inquadrati tra un gallo e un serpente, simboli dellâOriente e dellâOccidente, sono fra loro paralleli e speculari: Prometeo offre il torace al supplizio dellâaquila, mentre il sangue che gli sgorga dalla ferita si addensa a terra; Atlante sorregge la volta celeste, che si prolunga fin dietro il capo di Prometeo. Lâimmagine, che ricalca la scena narrata da Esiodo, rappresenta simbolicamente lo spazio del nuovo mondo liberato dalle forze titaniche, mentre nel centro della composizione campeggia lâaquila, simbolo del potere di Zeus.
Il culto di Prometeo in Atene
In Atene Prometeo era oggetto di un culto che non conosce eguali in altre cittĂ greche, in quanto patrono delle tecniche artigianali, in particolare la metallurgia e la ceramistica. Presso lâAccademia, allâinterno del recinto sacro alla dea Atena, gli era dedicato un altare in comune con Efesto, il che è effetto di una tendenziale assimilazione di divinitĂ entrambe legate al fuoco e insigni per ingegnositĂ tecnica: nel mitografo Apollodoro, per esempio, viene attribuito alternativamente a Prometeo ed Efesto il ruolo maieutico della nascita di Atena dal capo di Zeus; anche secondo Euripide (Ione 454-455) sarebbe stato Prometeo e non Efesto, come secondo la tradizione piĂš diffusa, a presiedere alla nascita della dea. A questo altare veniva attinto il fuoco degli atleti che partecipavano alle Lampadedromie previste da varie feste ateniesi, come in particolare le Panatenee (in onore di Atena, anchâessa preposta alle tecniche artigianali), gli Hephaistia (in onore di Efesto) e i Promethia, in onore del Titano. Si trattava di gare di corsa a squadre d...