Il racconto del mito
Le grandi forze primigenie
Nellâaffrescare la volta della Cappella Sistina, Michelangelo dipinge le storie meravigliose della creazione dellâuniverso e dellâuomo. Sono episodi tratti dal libro della Genesi: la separazione della luce dalle tenebre, delle acque dalla terra, la creazione di Adamo e di Eva, il diluvio. In questo modo, il pittore dĂ visivamente forma alle origini del cosmo e dellâumanitĂ sotto il segno dellâarte.
Qualcosa di simile ci offrono le mitologie e le religioni di tutto il mondo, precedendo di secoli la scienza: immaginare le origini, visualizzarne le forme, spiegare quel momento misterioso in cui tutto comincia e le forze piĂš potenti entrano in azione: energia, eros, luce, movimento. Dal contatto alla separazione. ÂŤIn principio Dio creò il cielo e la terraÂť, sono le prime parole della Genesi. Ma la Bibbia ci spiega anche quello che câera in principio, allâorigine: ÂŤOra la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano lâabisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acqueÂť. Prima della creazione, interpretata come supremo atto dâamore, dominavano lâinforme, il deserto, il buio. Poi, come sappiamo, vennero la luce e la separazione: ÂŤDio disse: âSia la luce!â E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebreÂť. Il firmamento divenne un enorme spartiacque cosmico, puntellato di stelle e di due grandi luci per regolare il giorno e la notte: il sole e la luna. Difficile trovare storie tanto sublimi e meravigliose.
I miti delle origini del mondo sono cosĂŹ suggestivi perchĂŠ lâimmaginazione deve inoltrarsi negli abissi del tempo, fuori dalla Storia delimitata dalla documentazione, laddove qualcosa segnò il passaggio dal nulla â o dal Caos â allâesistenza. E tutto quello che seguĂŹ. Con il termine greco caos, però, non dobbiamo intendere semplicemente il disordine, ma piĂš esattamente uno spazio tenebroso e ampio, una voragine, come un buco nero, una nebulosa, un abisso sconfinato; deriva dal verbo chaino, che indica lâatto di âaprirsiâ, âspalancarsiâ. Nella Teogonia, Esiodo fa esistere Caos per primo, ma non lo considera come equivalente dello spazio precedente allâesistenza, nĂŠ lo concepisce come i presocratici intendono il principio primo, nĂŠ tantomeno come creatore. Fin dalle origini, lâuniverso esiodeo è popolato da dèi, e Caos è uno di loro. Insieme a lui si generarono la Terra âdallâampio pettoâ, che in greco ha nome Gea o Gaia e ospiterĂ le generazioni successive di immortali dalle vette nevose dellâOlimpo fino ai recessi bui del Tartaro, ed Eros, âil piĂš bello fra gli immortaliâ. Esiodo lo definisce anche, secondo la tradizione dei lirici, il dio âche scioglie le membraâ (lysimelĂŠs, v. 121), perchĂŠ Amore riesce a domare la mente e la volontĂ degli uomini, ma è anche forza travolgente, irresistibile. Secondo una variante del mito trasmessa dalle teogonie orfiche, invece, Eros nacque da un uovo pieno di vento, generato dalla Notte, con ali dâoro sul dorso. Lâuovo è un simbolo molto importante anche in altre tradizioni mitologiche, come quella cinese e indiana. Nella mitologia cinese, il creatore, Pangu, dormĂŹ a lungo dentro un uovo gigantesco e, quando lo ruppe, le parti chiare volarono in alto a creare il cielo, quelle piĂš scure formarono la terra; cosĂŹ, nel mito indu, Brama uscĂŹ da un uovo dâoro per creare il mondo.
Nella mitologia greca, questa prima generazione di dèi personifica al tempo stesso gli spazi e le forze in cui si sta organizzando lâuniverso. RealtĂ fisica e divina risultano, tanto piĂš allâinizio, costantemente concatenate. Si tratta anche di dare un nome alle cose per smettere di averne paura, per esorcizzarle in una sorta di rito magico, come spiega Hans Blumenberg. Vennero cosĂŹ il Caos, la Terra, lâAmore. Primo secondo Esiodo non fu il cielo, nĂŠ tantomeno il mare, come in Omero, che nellâIliade definisce Oceano ÂŤdi tutti i numi [...] origineÂť (XIV, 246 e 302). Anche nelle Opere, Esiodo guarda con sospetto al mare, luogo di pericolo, simbolo di instabilitĂ . Nella sua cosmogonia primeggia e prevale la terra, ampia, solida, ospitale, fecondatrice.
Da Caos nacquero Erebo, dio delle tenebre e dei morti, e Notte, che a sua volta generò la parte splendente del cielo, Etere, spazio di luminositĂ assoluta dove risiederanno gli dèi, ed Emera, il giorno, concepito con Erebo. Erano, a tutti gli effetti, unioni contrastanti e incestuose. Ma ciò non deve stupirci: il contrasto è parte della generazione dellâuniverso e, in queste forze primordiali, lâincesto non era considerato dannoso nĂŠ scandaloso come ai tempi di Edipo e delle prime organizzazione sociali. Come spiega Freud in Totem e tabĂš, la protezione dai legami endogamici è un fatto sociale, legato ai rapporti tra potere e famiglie che si instaurano tra i primi clan. Alle origini dellâuniverso lâincesto è invece il naturale esito della prossimitĂ degli elementi e della loro coesione.
Per questo Gea, la terra, generò il Cielo âsimile a sĂŠâ, Urano âstellatoâ, perchĂŠ la avvolgesse con il suo abbraccio.
Allâinizio il racconto: le Muse e altre storie
Il valore poetico ed evocativo della Teogonia esiodea è presente fin dallâincipit del poema. Come le storie del mondo rivivono nelle pitture di Michelangelo, e lâuniverso torna a generarsi nellâarte, in Esiodo la narrazione delle origini dellâuniverso nasce dalle Muse, figlie di Zeus e di Mnemosine, che vengono prima degli dèi non nel tempo, ma dal punto di vista narrativo. Come a dire che non esiste universo che non sia narrato. Allâinizio, en archĂŠ, il racconto. A loro il dominio nel tempo, su ÂŤciò che è, che sarĂ e che fuÂť (v. 39), secondo una formula che appartiene anche al Dio della Bibbia. Non soltanto Esiodo invoca le Muse, come sarĂ dâora innanzi nella tradizione poetica, ma narra che un giorno esse gli insegnarono ÂŤun canto belloÂť (v. 22), giurando di dire il vero, mentre il poeta portava al pascolo le greggi sotto il monte Elicona. E se possiamo dubitare della veritĂ assoluta delle Muse in relazione alla scienza, non dobbiamo però dubitare del valore filosofico e della bellezza del loro racconto. A questo si riferisce la dichiarazione di veritĂ e a esso possiamo affidare le origini dellâuniverso, della nostra cultura e della mitologia greca che ne costituisce per molti aspetti la base.
Da dove vengano questi miti, però, non è facile saperlo: certamente non ignorano altre storie, soprattutto orientali, sulle origini dellâuniverso. Il ÂŤcanto belloÂť di Esiodo è infatti presente anche in altre mitologie. E per comprenderne a fondo il significato â come scrive Jean-Pierre Vernant â può essere utile confrontarlo con i racconti tradizionali di altri popoli appartenenti a culture ed epoche molto diverse, ÂŤche si tratti della Cina, dellâIndia, del Vicino Oriente antico, dellâAmerica precolombiana o dellâAfricaÂť. Queste relazioni si possono spiegare attraverso i contatti commerciali, ma soprattutto per la presenza di strutture antropologiche che collegano, pur in assenza di relazioni dirette, le varie popolazioni del mondo. Possiamo rendercene conto visitando il British Museum di Londra, dove vediamo opere e testimonianze dellâarte arcaica mondiale, che in alcuni rituali e personaggi â come il briccone divino o trickster di cui parla KĂĄroly KerĂŠnyi â avvicinano le culture piĂš distanti.
Nella mitologia greca, questa prima generazione di dèi personifica al tempo stesso gli spazi e le forze in cui si sta organizzando lâuniverso. RealtĂ fisica e divina risultano, tanto piĂš allâinizio, costantemente concatenate. Si tratta anche di dare un nome alle cose per smettere di averne paura, per esorcizzarle in una sorta di rito magico.
Secondo molti studiosi, la cosmogonia esiodea presenta episodi e simboli comuni alle mitologie del vicino Oriente. Il poema babilonese EnĂťma EliĹĄ, attribuito al XII secolo circa, ad esempio, proponeva una versione dellâorigine del mondo rivolta anchâessa a rintracciare e a celebrare principi divini e forze naturali capaci di originare il tutto. Qui i progenitori divini si chiamano ApsĂť e TiÄmat e rappresentano rispettivamente lâAbisso di acque dolci, padre del Cosmo, e lâAcqua salata del mare, genitrice di tutto, che alle origini si mescolarono insieme. Troviamo in questo racconto una maggiore affinitĂ con la cosmogonia di Omero, che poneva alle origini il mare, e con la mitologia vedica, secondo cui lâOceano è lo spazio primordiale, âculla del Kaâ, il Brahma creatore. Nel poema babilonese, durante la prima generazione delle forze divine, dominavano Anu, il Cielo e padre degli dèi, Enlil, signore dellâAria e della Terra, ed Ea, signore della terra, della fertilitĂ e delle acque sotterranee. Sotto il loro controllo ebbe inizio la generazione degli dèi e la differenziazione del mondo, culminante con la nascita di Marduk, dio supremo destinato a prevalere sugli altri dèi, sconfitti ma trasformati da lui stesso in stelle. In un testo cuneiforme ittita del XIII secolo, il Canto di Kumarpi, invece, regina del cielo e della terra era la dea Sole, congiunta con il dio delle tempeste, anche lui dotato di prerogative e di una storia simili a quelle di Zeus. Ed esistevano divinitĂ che, come le Parche greche, filavano il destino di ciascun individuo, nascoste in una foresta sulle rive del mare, ai margini dellâuniverso.
Lâunione e la differenziazione tra cielo e terra, in particolare, è un episodio che avvicina la mitologia greca alle storie di altre popolazioni vicine. Abbiamo visto come Gea, la terra, avesse creato per primo Urano, il cielo, per esserne avvolta tutta intorno; solo in seguito generò Ponto, il mare, che Esiodo definisce âinfecondoâ, âfurente di gonfioreâ, âsenza amore graditoâ, una distesa luminosa in superficie e nerissima nelle sue profonditĂ . Tra Cielo e Terra, in un primo tempo, lâunione era totale e perfetta. Se Gea aveva generato Urano e Ponto senza congiungersi sessualmente, nellâabbraccio di Urano era incessantemente fecondata. Il problema è che, nel timore di essere spodestato, Urano non le permetteva di partorire la numerosissima prole che la dea raccoglieva con grande fatica nel suo ventre. Il distacco tra cielo e terra, fondamentale per la configurazione definitiva dellâuniverso, non poteva perciò avere ancora luogo, e si verificherĂ soltanto nella lotta, nella sanguinosa contesa tra generazioni che porterĂ allâevirazione di Urano e alla grande battaglia tra Crono, Zeus e Titani.
Da dove vengano questi miti, però, non è facile saperlo: certamente non ignorano altre storie, soprattutto orientali, sulle origini dellâuniverso. Il ÂŤcanto belloÂť di Esiodo è infatti presente anche in altre mitologie.
Nella mitologia ittita a cui appartiene il Canto di Kumarpi, la successione tra generazioni e poteri presenta alcune convergenze con queste storie della Grecia che ci accingiamo a narrare. Il primo scontro fu tra Anu, dio del cielo, e Alalus, che venne sconfitto. In seguito Kumarpi, discendente di Alalus, diede battaglia ad Anu, il quale fuggĂŹ verso lâalto. Nella sua fuga, però, Kumarpi lo afferrò per i piedi, gli addentò le ginocchia e ne inghiottĂŹ il sesso dopo averlo evirato. Una fragorosa risata segnò il suo trionfo, ma Anu lo ammonĂŹ: dal seme inghiottito, che pesava giĂ nel suo ventre, si sarebbero formati tre dèi molto piĂš potenti di lui: il fiume Tigri irresistibile, il dio Tamisu e il dio delle tempeste, che dominerĂ su tutti gli altri dèi, come Zeus.
Anche nellâEnĂťma EliĹĄ la nascita del dio supremo, Marduk, avvenne dopo ripetuti conflitti e tumulti tra le prime divinitĂ in lotta, alla fine di un vero e proprio disordine cosmico che richiedeva ora un poâ di ordine e di silenzio. Marduk era stato allevato da mammelle divine che lo avevano reso âricco di una vitalitĂ formidabileâ. Dotato di uno sguardo âfulminanteâ, era âil piĂš sublime degli altri dèiâ e perciò aveva tutti i meriti per governare lâuniverso nella futura generazione degli uomini.
Padri contro figli: le lotte per il potere
La lotta tra generazioni per il potere, tra padri che temono di perdere il proprio dominio e figli che lottano per spodestarli e per conquistare un nuovo ordine, è una costante nelle mitologie delle origini, e rimarrà un motivo ricorrente anche nella letteratura successiva.
Al centro di questi miti vi è una simbologia di estrema violenza e brutalitĂ : cannibalismo, castrazione e mutilazione degli organi genitali dominano la scena. Protagonisti sono dèi che sembrano mostri. Pensiamo al quadro di Goya, nel ciclo delle âPitture nereâ, Saturno che divora i suoi figli, che a sua volta deriva da un soggetto di Rubens: su uno sfondo buio come la notte, o come lâErebo creato da Caos, Saturno, nome romano di Crono, ha lâaspetto di un orco delle fiabe, i capelli scomposti, gli occhi grandi tanto quanto un arto del figlio che sparisce, insanguinato, nelle sue fauci. Mentre lo divora, Saturno-Crono lo tiene con una saldissima presa tra le mani, come a simboleggiare che il figlio è ancora in possesso del padre, che non potrĂ ribellarsi contro di lui.
Una storia che si ripete, unâossessione dei padri. Ma che cosa avvenne prima, tra la ribellione di Gea e dei suoi figli contro Urano e lâatto di Crono raffigurato nei dipinti di Rubens e Goya? Abbiamo visto come, in questa prima fase delle origini del mondo, Gea fosse costantemente fecondata da Urano, in una notte che durava perenne. Molti figli dovevano nascere: i Titani e le Titanidi, i Ciclopi dal cuore superbo e un solo occhio nella fronte, e gli Ecatonchiri, mostri dalle cento braccia. Tra i Titani câerano Ponto, il mare, e Oceano, immaginato come una sorta di fiume cosmico che circondava la superficie terrestre come una cintura dâacqua, e câera Crono dai pensieri âcontortiâ o âscaltriâ, destinato a spodestare Urano. Tutti costoro, odiati dal padre per paura, non potevano venire alla luce, ma restavano prigionieri nel corpo della madre Gea, cioè nel ventre della terra. A un certo punto Gea, a cui Esiodo dĂ lâepiteto di âprodigiosaâ, ordĂŹ un âingannoâ (tĂŠchne): costruĂŹ una falce e la offrĂŹ a uno dei figli disposto a vendicare lâoltraggio malvagio del padre di tenerli rinchiusi (vv. 164 e sgg.). Fu Crono a impugnare la falce per punire il sopruso, tendendo un agguato al padre violento. La scena è raccontata da Esiodo in maniera estremamente realistica e vivida: quando Urano, pieno di desiderio, si stese su Gea con tutta la propria superficie perfettamente coincidente con la sua, Crono si sporse con la mano destra e, con la sinistra, afferrò la âfalce terribileâ, dai denti aguzzi, e recise i testicoli di Urano, gettandoli via. Un enorme fiotto di sangue si sparse sulla Terra: nacquero le Erinni vendicatrici, i Giganti, guerrieri violentissimi e senza etĂ , e le Ninfe dei Frassini, chiamate Meliadi, combattenti feroci e votate al massacro.
Al centro di questi miti vi è una simbologia di estrema violenza e brutalitĂ : cannibalismo, castrazione e mutilazione degli organi genitali dominano la scena. Protagonisti sono dèi che sembrano mostri. Pensiamo al quadro di Goya, nel ciclo delle âPitture nereâ, Saturno che divora i suoi figli, che a sua volta deriva da un soggetto di Rubens.
Dal seme dei genitali di Urano mescolato alla schiuma del mare nascerĂ invece Afrodite. Violenza e amore hanno quindi la medesima genesi. Impossibile, anche per questa figura mitologica, non pensare allâarte, alla Venere di Botticelli che si staglia nuda sopra lâenorme conchiglia appoggiata alle onde, appena coperta dai capelli mossi dallo Zefiro, il vento fecondatore che le sta accanto soffiando e increspando il mare, pronta per indossare il manto floreale che le offre una delle Ore, la giovane donna che si trova alla sua sinistra. Siamo molto lontani da Esiodo, e piĂš vicini a Ovidio e a Lucrezio, al neoplatonismo e a Poliziano, alle figure cristiane; è stato infatti notato come la Venere botticelliana sovrapponga al mito lo schema di rappresentazione dei battesimi di Cristo. Ben piĂš aspro e rude è quel primo racconto esiodeo, che pone ancora lâaccento sulla violenza primordiale, figurando dapprima i genitali del cielo, di Urano, tagliati e trasportati a lungo nel mare molto agitato. Si racconta che dalla spuma dellâimmortale nacque la dea, bella e venerabile, Afrodite âdalla splendida chiomaâ (come sarĂ , appunto, nel dipinto di Botticelli), che deve il suo nome alla schiuma dâonda (ĂĄphros). Dopo essere passata da Citera, la dea arrivò a Cipro, isola che per tradizione le diede i natali. E dal mare giunse a fecondare la terra, facendo crescere lâerba sotto i propri agili piedi. Ă un ritratto di voluptas, il piacere e la gioia di uomini e dèi, come la immagina Lucrezio nel primo verso del De rerum natura. Lâaccompagnano Eros e Himeros, Amore e Desiderio. Ma Eros che procede sulle orme di Afrodite è diverso da quellâamore primordiale nato assieme a Caos e a Gea. Non è soltanto energia vitale, ma forza che unisce due esseri amanti per generarne un terzo, diverso da loro. Ed è di qui che provengono, ci dice Esiodo, le spensierate chiacchiere delle ragazze, i sorrisi, gli inganni, il dolce piacere e lâamicizia affettuosa che ancora oggi ci ravvivano.
Dopo la mutilazione di Urano, dunque, al governo degli dèi e alla guida dellâuniverso fu la volta di Crono, personificazione del tempo. Cielo e terra furono separati per sempre da uno spazio libero, il cielo stellato, che si alternava al giorno. E da quel momento si uniranno soltanto nel tempo delle grandi piogge, per generare dal suolo i suoi frutti. Come rappresentano i quadri di Rubens e di Goya, però, anche il rapporto tra Crono e i figli era destinato a essere conflittuale e cruento. Crono si era sposato con la sorella...