Zeus
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Zeus

Le origini del mondo

Chiara Lombardi, Luigi Marfé, AA.VV., Chiara Lombardi, Chiara Lombardi

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Zeus

Le origini del mondo

Chiara Lombardi, Luigi Marfé, AA.VV., Chiara Lombardi, Chiara Lombardi

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In Omero, Zeus è il «padre degli dèi e degli uomini»: vale a dire non un dominatore assoluto, bensì il capo della famiglia divina, colui che convoca le assemblee celesti e prende le decisioni supreme, un patriarca, anzi l'espressione stessa della cultura patriarcale. È molto più forte delle altre divinità e il suo potere si basa sul fulmine e sulla folgore con cui sottomette dèi e uomini. Ma c'è un altro aspetto: Zeus è il dio capace di generare continuamente senza mai invecchiare, ed è questo, la sua pioggia che feconda i campi, a rendere possibile la vita. Tutto ciò nel mito si traduce in innumerevoli storie d'amore con dee e mortali, tanto che a lui molte stirpi aristocratiche facevano risalire le proprie origini. Infatti, la semplice forza non basterebbe a farne il re degli dèi, poiché sarebbe solo brutalità.

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Información

Editorial
Pelago
Año
2021
ISBN
9791280714459
Categoría
History

Il racconto del mito

Ritrovato a Otricoli, in Umbria, nel XVIII secolo, il busto di Zeus è una copia romana di un originale greco opera dello scultore Fidia, risalente al V secolo a.C.
Ritrovato a Otricoli, in Umbria, nel XVIII secolo, il busto di Zeus è una copia romana di un originale greco opera dello scultore Fidia, risalente al V secolo a.C.

Le grandi forze primigenie

Nell’affrescare la volta della Cappella Sistina, Michelangelo dipinge le storie meravigliose della creazione dell’universo e dell’uomo. Sono episodi tratti dal libro della Genesi: la separazione della luce dalle tenebre, delle acque dalla terra, la creazione di Adamo e di Eva, il diluvio. In questo modo, il pittore dà visivamente forma alle origini del cosmo e dell’umanità sotto il segno dell’arte.
Qualcosa di simile ci offrono le mitologie e le religioni di tutto il mondo, precedendo di secoli la scienza: immaginare le origini, visualizzarne le forme, spiegare quel momento misterioso in cui tutto comincia e le forze più potenti entrano in azione: energia, eros, luce, movimento. Dal contatto alla separazione. «In principio Dio creò il cielo e la terra», sono le prime parole della Genesi. Ma la Bibbia ci spiega anche quello che c’era in principio, all’origine: «Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque». Prima della creazione, interpretata come supremo atto d’amore, dominavano l’informe, il deserto, il buio. Poi, come sappiamo, vennero la luce e la separazione: «Dio disse: “Sia la luce!” E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre». Il firmamento divenne un enorme spartiacque cosmico, puntellato di stelle e di due grandi luci per regolare il giorno e la notte: il sole e la luna. Difficile trovare storie tanto sublimi e meravigliose.
I miti delle origini del mondo sono così suggestivi perché l’immaginazione deve inoltrarsi negli abissi del tempo, fuori dalla Storia delimitata dalla documentazione, laddove qualcosa segnò il passaggio dal nulla – o dal Caos – all’esistenza. E tutto quello che seguì. Con il termine greco caos, però, non dobbiamo intendere semplicemente il disordine, ma più esattamente uno spazio tenebroso e ampio, una voragine, come un buco nero, una nebulosa, un abisso sconfinato; deriva dal verbo chaino, che indica l’atto di “aprirsi”, “spalancarsi”. Nella Teogonia, Esiodo fa esistere Caos per primo, ma non lo considera come equivalente dello spazio precedente all’esistenza, né lo concepisce come i presocratici intendono il principio primo, né tantomeno come creatore. Fin dalle origini, l’universo esiodeo è popolato da dèi, e Caos è uno di loro. Insieme a lui si generarono la Terra “dall’ampio petto”, che in greco ha nome Gea o Gaia e ospiterà le generazioni successive di immortali dalle vette nevose dell’Olimpo fino ai recessi bui del Tartaro, ed Eros, “il più bello fra gli immortali”. Esiodo lo definisce anche, secondo la tradizione dei lirici, il dio “che scioglie le membra” (lysimelés, v. 121), perché Amore riesce a domare la mente e la volontà degli uomini, ma è anche forza travolgente, irresistibile. Secondo una variante del mito trasmessa dalle teogonie orfiche, invece, Eros nacque da un uovo pieno di vento, generato dalla Notte, con ali d’oro sul dorso. L’uovo è un simbolo molto importante anche in altre tradizioni mitologiche, come quella cinese e indiana. Nella mitologia cinese, il creatore, Pangu, dormì a lungo dentro un uovo gigantesco e, quando lo ruppe, le parti chiare volarono in alto a creare il cielo, quelle più scure formarono la terra; così, nel mito indu, Brama uscì da un uovo d’oro per creare il mondo.
Nella mitologia greca, questa prima generazione di dèi personifica al tempo stesso gli spazi e le forze in cui si sta organizzando l’universo. Realtà fisica e divina risultano, tanto più all’inizio, costantemente concatenate. Si tratta anche di dare un nome alle cose per smettere di averne paura, per esorcizzarle in una sorta di rito magico, come spiega Hans Blumenberg. Vennero così il Caos, la Terra, l’Amore. Primo secondo Esiodo non fu il cielo, né tantomeno il mare, come in Omero, che nell’Iliade definisce Oceano «di tutti i numi [...] origine» (XIV, 246 e 302). Anche nelle Opere, Esiodo guarda con sospetto al mare, luogo di pericolo, simbolo di instabilità. Nella sua cosmogonia primeggia e prevale la terra, ampia, solida, ospitale, fecondatrice.
Da Caos nacquero Erebo, dio delle tenebre e dei morti, e Notte, che a sua volta generò la parte splendente del cielo, Etere, spazio di luminosità assoluta dove risiederanno gli dèi, ed Emera, il giorno, concepito con Erebo. Erano, a tutti gli effetti, unioni contrastanti e incestuose. Ma ciò non deve stupirci: il contrasto è parte della generazione dell’universo e, in queste forze primordiali, l’incesto non era considerato dannoso né scandaloso come ai tempi di Edipo e delle prime organizzazione sociali. Come spiega Freud in Totem e tabù, la protezione dai legami endogamici è un fatto sociale, legato ai rapporti tra potere e famiglie che si instaurano tra i primi clan. Alle origini dell’universo l’incesto è invece il naturale esito della prossimità degli elementi e della loro coesione.
Per questo Gea, la terra, generò il Cielo “simile a sé”, Urano “stellato”, perché la avvolgesse con il suo abbraccio.

All’inizio il racconto: le Muse e altre storie

Il valore poetico ed evocativo della Teogonia esiodea è presente fin dall’incipit del poema. Come le storie del mondo rivivono nelle pitture di Michelangelo, e l’universo torna a generarsi nell’arte, in Esiodo la narrazione delle origini dell’universo nasce dalle Muse, figlie di Zeus e di Mnemosine, che vengono prima degli dèi non nel tempo, ma dal punto di vista narrativo. Come a dire che non esiste universo che non sia narrato. All’inizio, en arché, il racconto. A loro il dominio nel tempo, su «ciò che è, che sarà e che fu» (v. 39), secondo una formula che appartiene anche al Dio della Bibbia. Non soltanto Esiodo invoca le Muse, come sarà d’ora innanzi nella tradizione poetica, ma narra che un giorno esse gli insegnarono «un canto bello» (v. 22), giurando di dire il vero, mentre il poeta portava al pascolo le greggi sotto il monte Elicona. E se possiamo dubitare della verità assoluta delle Muse in relazione alla scienza, non dobbiamo però dubitare del valore filosofico e della bellezza del loro racconto. A questo si riferisce la dichiarazione di verità e a esso possiamo affidare le origini dell’universo, della nostra cultura e della mitologia greca che ne costituisce per molti aspetti la base.
Da dove vengano questi miti, però, non è facile saperlo: certamente non ignorano altre storie, soprattutto orientali, sulle origini dell’universo. Il «canto bello» di Esiodo è infatti presente anche in altre mitologie. E per comprenderne a fondo il significato – come scrive Jean-Pierre Vernant – può essere utile confrontarlo con i racconti tradizionali di altri popoli appartenenti a culture ed epoche molto diverse, «che si tratti della Cina, dell’India, del Vicino Oriente antico, dell’America precolombiana o dell’Africa». Queste relazioni si possono spiegare attraverso i contatti commerciali, ma soprattutto per la presenza di strutture antropologiche che collegano, pur in assenza di relazioni dirette, le varie popolazioni del mondo. Possiamo rendercene conto visitando il British Museum di Londra, dove vediamo opere e testimonianze dell’arte arcaica mondiale, che in alcuni rituali e personaggi – come il briccone divino o trickster di cui parla Károly Kerényi – avvicinano le culture più distanti.
Nella mitologia greca, questa prima generazione di dèi personifica al tempo stesso gli spazi e le forze in cui si sta organizzando l’universo. Realtà fisica e divina risultano, tanto più all’inizio, costantemente concatenate. Si tratta anche di dare un nome alle cose per smettere di averne paura, per esorcizzarle in una sorta di rito magico.
Secondo molti studiosi, la cosmogonia esiodea presenta episodi e simboli comuni alle mitologie del vicino Oriente. Il poema babilonese Enûma Eliš, attribuito al XII secolo circa, ad esempio, proponeva una versione dell’origine del mondo rivolta anch’essa a rintracciare e a celebrare principi divini e forze naturali capaci di originare il tutto. Qui i progenitori divini si chiamano Apsû e Tiāmat e rappresentano rispettivamente l’Abisso di acque dolci, padre del Cosmo, e l’Acqua salata del mare, genitrice di tutto, che alle origini si mescolarono insieme. Troviamo in questo racconto una maggiore affinità con la cosmogonia di Omero, che poneva alle origini il mare, e con la mitologia vedica, secondo cui l’Oceano è lo spazio primordiale, “culla del Ka”, il Brahma creatore. Nel poema babilonese, durante la prima generazione delle forze divine, dominavano Anu, il Cielo e padre degli dèi, Enlil, signore dell’Aria e della Terra, ed Ea, signore della terra, della fertilità e delle acque sotterranee. Sotto il loro controllo ebbe inizio la generazione degli dèi e la differenziazione del mondo, culminante con la nascita di Marduk, dio supremo destinato a prevalere sugli altri dèi, sconfitti ma trasformati da lui stesso in stelle. In un testo cuneiforme ittita del XIII secolo, il Canto di Kumarpi, invece, regina del cielo e della terra era la dea Sole, congiunta con il dio delle tempeste, anche lui dotato di prerogative e di una storia simili a quelle di Zeus. Ed esistevano divinità che, come le Parche greche, filavano il destino di ciascun individuo, nascoste in una foresta sulle rive del mare, ai margini dell’universo.
L’unione e la differenziazione tra cielo e terra, in particolare, è un episodio che avvicina la mitologia greca alle storie di altre popolazioni vicine. Abbiamo visto come Gea, la terra, avesse creato per primo Urano, il cielo, per esserne avvolta tutta intorno; solo in seguito generò Ponto, il mare, che Esiodo definisce “infecondo”, “furente di gonfiore”, “senza amore gradito”, una distesa luminosa in superficie e nerissima nelle sue profondità. Tra Cielo e Terra, in un primo tempo, l’unione era totale e perfetta. Se Gea aveva generato Urano e Ponto senza congiungersi sessualmente, nell’abbraccio di Urano era incessantemente fecondata. Il problema è che, nel timore di essere spodestato, Urano non le permetteva di partorire la numerosissima prole che la dea raccoglieva con grande fatica nel suo ventre. Il distacco tra cielo e terra, fondamentale per la configurazione definitiva dell’universo, non poteva perciò avere ancora luogo, e si verificherà soltanto nella lotta, nella sanguinosa contesa tra generazioni che porterà all’evirazione di Urano e alla grande battaglia tra Crono, Zeus e Titani.
Da dove vengano questi miti, però, non è facile saperlo: certamente non ignorano altre storie, soprattutto orientali, sulle origini dell’universo. Il «canto bello» di Esiodo è infatti presente anche in altre mitologie.
Nella mitologia ittita a cui appartiene il Canto di Kumarpi, la successione tra generazioni e poteri presenta alcune convergenze con queste storie della Grecia che ci accingiamo a narrare. Il primo scontro fu tra Anu, dio del cielo, e Alalus, che venne sconfitto. In seguito Kumarpi, discendente di Alalus, diede battaglia ad Anu, il quale fuggì verso l’alto. Nella sua fuga, però, Kumarpi lo afferrò per i piedi, gli addentò le ginocchia e ne inghiottì il sesso dopo averlo evirato. Una fragorosa risata segnò il suo trionfo, ma Anu lo ammonì: dal seme inghiottito, che pesava già nel suo ventre, si sarebbero formati tre dèi molto più potenti di lui: il fiume Tigri irresistibile, il dio Tamisu e il dio delle tempeste, che dominerà su tutti gli altri dèi, come Zeus.
Anche nell’Enûma Eliš la nascita del dio supremo, Marduk, avvenne dopo ripetuti conflitti e tumulti tra le prime divinità in lotta, alla fine di un vero e proprio disordine cosmico che richiedeva ora un po’ di ordine e di silenzio. Marduk era stato allevato da mammelle divine che lo avevano reso “ricco di una vitalità formidabile”. Dotato di uno sguardo “fulminante”, era “il più sublime degli altri dèi” e perciò aveva tutti i meriti per governare l’universo nella futura generazione degli uomini.

Padri contro figli: le lotte per il potere

La lotta tra generazioni per il potere, tra padri che temono di perdere il proprio dominio e figli che lottano per spodestarli e per conquistare un nuovo ordine, è una costante nelle mitologie delle origini, e rimarrà un motivo ricorrente anche nella letteratura successiva.
Al centro di questi miti vi è una simbologia di estrema violenza e brutalità: cannibalismo, castrazione e mutilazione degli organi genitali dominano la scena. Protagonisti sono dèi che sembrano mostri. Pensiamo al quadro di Goya, nel ciclo delle “Pitture nere”, Saturno che divora i suoi figli, che a sua volta deriva da un soggetto di Rubens: su uno sfondo buio come la notte, o come l’Erebo creato da Caos, Saturno, nome romano di Crono, ha l’aspetto di un orco delle fiabe, i capelli scomposti, gli occhi grandi tanto quanto un arto del figlio che sparisce, insanguinato, nelle sue fauci. Mentre lo divora, Saturno-Crono lo tiene con una saldissima presa tra le mani, come a simboleggiare che il figlio è ancora in possesso del padre, che non potrà ribellarsi contro di lui.
Una storia che si ripete, un’ossessione dei padri. Ma che cosa avvenne prima, tra la ribellione di Gea e dei suoi figli contro Urano e l’atto di Crono raffigurato nei dipinti di Rubens e Goya? Abbiamo visto come, in questa prima fase delle origini del mondo, Gea fosse costantemente fecondata da Urano, in una notte che durava perenne. Molti figli dovevano nascere: i Titani e le Titanidi, i Ciclopi dal cuore superbo e un solo occhio nella fronte, e gli Ecatonchiri, mostri dalle cento braccia. Tra i Titani c’erano Ponto, il mare, e Oceano, immaginato come una sorta di fiume cosmico che circondava la superficie terrestre come una cintura d’acqua, e c’era Crono dai pensieri “contorti” o “scaltri”, destinato a spodestare Urano. Tutti costoro, odiati dal padre per paura, non potevano venire alla luce, ma restavano prigionieri nel corpo della madre Gea, cioè nel ventre della terra. A un certo punto Gea, a cui Esiodo dà l’epiteto di “prodigiosa”, ordì un “inganno” (téchne): costruì una falce e la offrì a uno dei figli disposto a vendicare l’oltraggio malvagio del padre di tenerli rinchiusi (vv. 164 e sgg.). Fu Crono a impugnare la falce per punire il sopruso, tendendo un agguato al padre violento. La scena è raccontata da Esiodo in maniera estremamente realistica e vivida: quando Urano, pieno di desiderio, si stese su Gea con tutta la propria superficie perfettamente coincidente con la sua, Crono si sporse con la mano destra e, con la sinistra, afferrò la “falce terribile”, dai denti aguzzi, e recise i testicoli di Urano, gettandoli via. Un enorme fiotto di sangue si sparse sulla Terra: nacquero le Erinni vendicatrici, i Giganti, guerrieri violentissimi e senza età, e le Ninfe dei Frassini, chiamate Meliadi, combattenti feroci e votate al massacro.
Al centro di questi miti vi è una simbologia di estrema violenza e brutalità: cannibalismo, castrazione e mutilazione degli organi genitali dominano la scena. Protagonisti sono dèi che sembrano mostri. Pensiamo al quadro di Goya, nel ciclo delle “Pitture nere”, Saturno che divora i suoi figli, che a sua volta deriva da un soggetto di Rubens.
Dal seme dei genitali di Urano mescolato alla schiuma del mare nascerà invece Afrodite. Violenza e amore hanno quindi la medesima genesi. Impossibile, anche per questa figura mitologica, non pensare all’arte, alla Venere di Botticelli che si staglia nuda sopra l’enorme conchiglia appoggiata alle onde, appena coperta dai capelli mossi dallo Zefiro, il vento fecondatore che le sta accanto soffiando e increspando il mare, pronta per indossare il manto floreale che le offre una delle Ore, la giovane donna che si trova alla sua sinistra. Siamo molto lontani da Esiodo, e più vicini a Ovidio e a Lucrezio, al neoplatonismo e a Poliziano, alle figure cristiane; è stato infatti notato come la Venere botticelliana sovrapponga al mito lo schema di rappresentazione dei battesimi di Cristo. Ben più aspro e rude è quel primo racconto esiodeo, che pone ancora l’accento sulla violenza primordiale, figurando dapprima i genitali del cielo, di Urano, tagliati e trasportati a lungo nel mare molto agitato. Si racconta che dalla spuma dell’immortale nacque la dea, bella e venerabile, Afrodite “dalla splendida chioma” (come sarà, appunto, nel dipinto di Botticelli), che deve il suo nome alla schiuma d’onda (áphros). Dopo essere passata da Citera, la dea arrivò a Cipro, isola che per tradizione le diede i natali. E dal mare giunse a fecondare la terra, facendo crescere l’erba sotto i propri agili piedi. È un ritratto di voluptas, il piacere e la gioia di uomini e dèi, come la immagina Lucrezio nel primo verso del De rerum natura. L’accompagnano Eros e Himeros, Amore e Desiderio. Ma Eros che procede sulle orme di Afrodite è diverso da quell’amore primordiale nato assieme a Caos e a Gea. Non è soltanto energia vitale, ma forza che unisce due esseri amanti per generarne un terzo, diverso da loro. Ed è di qui che provengono, ci dice Esiodo, le spensierate chiacchiere delle ragazze, i sorrisi, gli inganni, il dolce piacere e l’amicizia affettuosa che ancora oggi ci ravvivano.
Dopo la mutilazione di Urano, dunque, al governo degli dèi e alla guida dell’universo fu la volta di Crono, personificazione del tempo. Cielo e terra furono separati per sempre da uno spazio libero, il cielo stellato, che si alternava al giorno. E da quel momento si uniranno soltanto nel tempo delle grandi piogge, per generare dal suolo i suoi frutti. Come rappresentano i quadri di Rubens e di Goya, però, anche il rapporto tra Crono e i figli era destinato a essere conflittuale e cruento. Crono si era sposato con la sorella...

Índice

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Giulio Guidorizzi
  6. Il racconto del mito di Chiara Lombardi
  7. Genealogia
  8. Variazioni sul mito di Luigi Marfé
  9. Antologia
  10. Per saperne di più
  11. Piano dell’opera
Estilos de citas para Zeus

APA 6 Citation

Lombardi, C., & Marfé, L. (2021). Zeus ([edition unavailable]). Pelago. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3165647/zeus-le-origini-del-mondo-pdf (Original work published 2021)

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Lombardi, Chiara, and Luigi Marfé. (2021) 2021. Zeus. [Edition unavailable]. Pelago. https://www.perlego.com/book/3165647/zeus-le-origini-del-mondo-pdf.

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Lombardi, C. and Marfé, L. (2021) Zeus. [edition unavailable]. Pelago. Available at: https://www.perlego.com/book/3165647/zeus-le-origini-del-mondo-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Lombardi, Chiara, and Luigi Marfé. Zeus. [edition unavailable]. Pelago, 2021. Web. 15 Oct. 2022.