Il racconto del mito
Un destino di oscuritĂ
Strano destino, quello di Ade: passare quasi tutta la sua esistenza al chiuso e al buio. Sua madre Rea lâaveva appena partorito, che suo padre Crono lo inghiottĂŹ tutto intero, esattamente come aveva fatto con i suoi fratelli. Crono infatti aveva saputo che sarebbe stato detronizzato da un figlio e per questo, come racconta Esiodo nella Teogonia, uno dopo lâaltro aveva divorato Estia, Demetra, Hera e Ade. Dopo di lui, la stessa sorte toccò a Poseidone; solo Zeus gli era sfuggito grazie a uno stratagemma della madre e, quando fu cresciuto, riuscĂŹ con lâinganno a far somministrare al padre un emetico. Crono allora risputò fuori tutta la sua prole, tra cui Ade, che cosĂŹ vide la luce per la seconda volta. Il giovane dio, peraltro, non ebbe nemmeno il tempo di tirare un poâ il fiato: iniziò infatti uno scontro durissimo tra Crono e i Titani da una parte, e Zeus e i suoi fratelli dallâaltra. La lotta andò avanti senza esclusione di colpi per dieci anni. La situazione di stallo si sbloccò solo quando Zeus liberò i Ciclopi, che Crono aveva rinchiuso nelle oscure profonditĂ del Tartaro. Per ricompensare il loro liberatore questi gli donarono il fulmine, che da allora divenne la sua arma invincibile; Poseidone ricevette il tridente e Ade ottenne invece la kynee, lâelmo dellâinvisibilitĂ . Gli antichi, in effetti, interpretavano il nome Hades come âinvisibileâ, con unâetimologia oggi non piĂš in voga ma che, in ogni caso, era molto appropriata per questa divinitĂ , e non solo per quanto riguardava il suo elmo. Dopo che Crono e i Titani furono sconfitti, infatti, Zeus e i suoi fratelli maschi decisero di spartirsi lâuniverso con un sorteggio: reduci da una lunghissima guerra in famiglia, volevano stabilire una volta per tutte le rispettive sfere di influenza, lasciando la terra, crocevia dei diversi piani, come una sorta di âcortile condominialeâ a disposizione di tutti. A Zeus cosĂŹ toccò il cielo, a Poseidone il mare e ad Ade il regno dei morti, lontano dagli occhi â e, come si vedrĂ , dal cuore â di tutti.
Il nuovo sovrano degli Inferi non era esattamente soddisfattissimo di quello che gli era capitato in sorte. In seguito avrebbe rinfacciato anche aspramente ai fratelli di essersi presi il meglio; certo è che, in confronto al cielo splendente o alle profonditĂ marine, il regno dei morti, che prese il nome del suo signore, era decisamente piĂš triste. PiĂš tardi si sarebbe sviluppata una vera e propria geografia infernale che avrebbe costellato lâoltretomba di fiumi, boschi, cittĂ turrite, porte e paesaggi foschi ma vari: Virgilio, ripreso da Dante, lâha fissata nellâimmaginario occidentale. In Omero, tuttavia, non câè ancora niente di tutto questo. Gli Inferi sono desolazione, abbandono, vuoto. Quando Odisseo giunge alla terra dei Cimmeri, tutto è immerso nella bruma e le ombre vagano per i campi di asfodelo: un pallido fiore che cresce, come gli antichi sapevano, nei terreni impoveriti, troppo sfruttati dalle greggi. LâAde, dunque, come una pianura sfinita e priva di sole: ma questa non è lâimmagine peggiore che se ne poteva dare. Nel ventesimo libro dellâIliade infuria la battaglia tra Greci e Troiani, ma soprattutto sono gli dèi a scontrarsi tra loro. Zeus dal cielo fa esplodere un tuono terribile, mentre Poseidone squassa la terra con un sisma violentissimo, cosĂŹ violento che persino lo stesso Ade balza dal suo trono gridando di terrore. Teme che si squarci la volta di roccia che copre il suo regno e che tutti, mortali e immortali, possano gettare sgomenti lo sguardo nei penetrali della sua reggia ÂŤorrida e putrida, di cui persino i numi hanno orroreÂť.
Ade, insomma, ha quasi pudore nellâesporre agli occhi di tutti quello che si potrebbe definire lâintimo squallore della sua dimora, davvero poco attraente. Dâaltro canto aveva cercato di organizzarla nel miglior modo possibile, soprattutto per quanto riguardava la meta finale delle anime, destinate alla punizione eterna o a soggiorni piĂš lieti a seconda della vita che avevano condotto. Come racconta Platone nel Gorgia, agli inizi del regno di Zeus, subito dopo la spartizione dellâuniverso, tutti sapevano in anticipo quando sarebbero morti. Nellâimminenza della dipartita, i morituri si presentavano in giudizio, affinchĂŠ fosse stabilita la loro sorte nellâaldilĂ . Questo significava che anche chi aveva condotto una vita dissoluta allâultimo momento poteva far leva su tutti gli orpelli del corpo e dellâesterioritĂ (ricchezze, prestigio, bellezza), presentandosi accompagnato da parenti e amici pronti a intercedere. CosĂŹ anche i peggiori criminali riuscivano a ingannare i giudici, i quali dâaltro canto tendevano a valutare negativamente coloro che, pur avendo vissuto una vita ineccepibile, si presentavano al loro cospetto in maniera meno appariscente e con meno sostenitori. Accortosi di questâingiustizia, molto coscienziosamente Ade si recò da Zeus e lo avvisò del problema. Da allora si decise innanzi tutto che la data della morte rimanesse ignota, e poi che a essere giudicate fossero le anime, nude e prive di ogni orpello, in modo che trasparisse quello che câera veramente al loro interno. A giudicarle, a loro volta, dovevano essere altre anime, che le scrutassero con gli occhi dello spirito. Per questo compito furono individuati tre figli di Zeus, che avevano goduto fama di estrema equitĂ anche in vita: Minosse, Radamanto ed Eaco.
Il nuovo sovrano degli Inferi non era esattamente soddisfattissimo di quello che gli era capitato in sorte. In seguito avrebbe rinfacciato anche aspramente ai fratelli di essersi presi il meglio; certo è che, in confronto al cielo splendente o alle profonditĂ marine, il regno dei morti, che prese il nome del suo signore, era decisamente piĂš triste. PiĂš tardi si sarebbe sviluppata una vera e propria geografia infernale che avrebbe costellato lâoltretomba di fiumi, boschi, cittĂ turrite, porte e paesaggi foschi ma vari: Virgilio, ripreso da Dante, lâha fissata nellâimmaginario occidentale.
Un dio defilato
Questa organizzazione rimase inalterata, segno che funzionava. E da allora Ade ebbe pochissime altre occasioni per assentarsi dal suo regno, forse anche a causa di una brutta esperienza. Da un rapido cenno in Omero, infatti, si sa che in unâoccasione il dio degli Inferi aveva ben pensato di avventurarsi in superficie per affrontare nientemeno che Eracle. Lo scontro però finĂŹ molto male per lui, giacchĂŠ Ade si ritrovò con la spalla trafitta da una freccia e fuggĂŹ sullâOlimpo, in preda a dolori insopportabili, per farsi curare da Peone, medico degli dèi. Lo scontro sarebbe avvenuto a Pilo, ma Omero non racconta molto altro. Secondo alcune fonti piĂš tarde, lâevento ebbe luogo quando Eracle razziò Pilo âsabbiosaâ massacrando il re Neleo e undici dei suoi figli. Risparmiò soltanto Nestore, il piĂš giovane di tutti, che ereditò cosĂŹ il regno di suo padre; Ade si sarebbe schierato dalla parte di Neleo, cercando di arginare la furia di Eracle. Probabilmente questo era un episodio trattato in dettaglio nelle saghe dellâantico regno miceneo di Pilo, le cui tradizioni tuttavia sono andate quasi completamente perdute.
Forse, però, qualcosa può ancora essere recuperato. Secondo una teoria avanzata da studiosi del calibro di Walter Burkert, infatti, echi dello scontro tra il dio dei morti ed Eracle potrebbero essere rintracciati in un altro episodio relativo alla presa di Pilo. Si diceva infatti che uno dei figli di Neleo, di nome Periclimeno, avesse la capacitĂ di trasformarsi a suo piacimento. Quando Eracle attaccò il regno paterno, Periclimeno lo ostacolò assumendo le sembianze piĂš varie, finchĂŠ â in un eccesso di virtuosistica spavalderia â pensò bene di tramutarsi in una mosca o unâape per infastidire e distrarre il suo nemico che in quel momento era sul suo carro da guerra. La dea Atena, tuttavia, svelò lâinganno a Eracle, che eliminò lâinsetto molesto con una freccia, un colpo di clava o, piĂš prosaicamente, schiacciandolo con due dita. Secondo Burkert e altri, Periclimeno in realtĂ potrebbe essere stato una sorta di alter ego dello stesso Ade, che in effetti era chiamato anche Climeno o Periclimeno, letteralmente âfamosoâ: un appellativo eufemistico che aveva lo scopo di non menzionare direttamente, se non addirittura di ingraziarsi, il dio dei morti. A unire il figlio di Neleo e Ade non era solamente il nome. La capacitĂ di assumere molte forme (quella che in greco si chiama polyeideia), infatti, nel folclore è comunemente associata alla Morte e alle figure a lei legate, come il diavolo, che grazie a essa sono in grado di raggiungere chiunque; sempre nelle tradizioni popolari sono frequenti le narrazioni in cui tali figure vengono ingannate proprio sfruttando questa caratteristica. Il furbo protagonista, in tanti racconti, solletica la vanitĂ della Morte, dichiarandosi incredulo sul fatto che possa diventare cosĂŹ piccola da entrare in un fiasco o in un altro recipiente; la Mietitrice, stoltamente, gli prova subito di esserne capace finendovi cosĂŹ imprigionata senza possibilitĂ di uscire. Del resto anche lâorco, che deriva nel nome e in molte caratteristiche da Orcus, il dio romano degli Inferi, nel Gatto con gli stivali di Charles Perrault viene ucciso dal felino protagonista dopo che, per mostrargli la sua potenza, si è trasformato in un⌠topolino. Se davvero Periclimeno è un alter ego di Ade, avremmo qui la testimonianza di unâantica narrazione, di sapore popolare, relativa al dio degli Inferi: e che Eracle fosse in grado di sopraffare anche la morte stessa risulta evidente dal suo ruolo nellâAlcesti di Euripide, in cui ha la meglio sullo stesso Thanatos, personificazione della stessa.
In effetti, sia che avesse affrontato Eracle a viso aperto sia che gli si fosse opposto assumendo la forma di un insetto, dopo la sconfitta subita a Pilo il sovrano degli Inferi si avventurò molto raramente fuori dal suo regno. Per svolgere il âlavoro sporcoâ, ovvero ghermire i viventi e trascinarli nel suo regno, poteva contare sul valido aiuto di Thanatos, la Morte stessa, che piĂš tardi venne sostituita da Caronte. Il traghettatore degli Inferi, infatti, a partire dalla tarda antichitĂ fu visto come una sorta di demone responsabile dei decessi, e questo ruolo è svolto ancor oggi da Charos nel folclore della Grecia.
In genere tuttavia non câera troppo bisogno di scomodarsi: al termine naturale della vita, infatti, le anime guidate da Hermes, lo Psicopompo, confluivano inevitabilmente nellâoltretomba, che alla fine accoglieva tutti. Da questo derivavano altri dei molti nomi ed epiteti di Ade, che poteva essere chiamato Polydegmon e Polydektes, âAccoglitore di moltiâ, e Polyxeinos, âMolto ospitaleâ. Forse per lo stesso motivo, perchĂŠ tutti prima o poi avrebbero inevitabilmente dovuto porgergli i loro omaggi ma speravano di farlo il piĂš tardi possibile, Ade quasi non godeva di culto in Grecia. In etĂ imperiale il viaggiatore Pausania ricordava con stupore lâesistenza di un santuario del dio dei morti ubicato nellâElide, presso una localitĂ chiamata Pilo, che alcuni mettevano in relazione con lâimpresa di Eracle menzionata in precedenza. Lâunico che poteva entrare in questo tempio era il sacerdote, e del resto lo faceva solo una volta lâanno, ÂŤpenso perchĂŠ â osserva Pausania â anche gli uomini scendono allâAde una volta solaÂť. Pare che esistesse un altro santuario del dio a Ermione, nellâArgolide, dove si pensava che si aprisse uno degli accessi agli Inferi, considerato una sorta di scorciatoia: per questo chi moriva lĂŹ poteva fare a meno dellâobolo riservato al pagamento di Caronte e che usualmente veniva posto nella bocca dei defunti.
Fuori dalla Grecia câerano altri luoghi di culto legati ad Ade. Il geografo Strabone, vissuto al tempo di Augusto, ricordava cosĂŹ il Ploutonion (nome non casuale, come si vedrĂ ) di Ierapoli, in Asia Minore: una cavitĂ che si apriva nel fianco di una rupe, dalla quale uscivano esalazioni tossiche che causavano la morte di uomini e animali che si avvicinassero troppo. Lo stesso autore ricorda anche un altro Ploutonion situato ad Acharaca, sempre in Asia Minore, caratterizzato dalla presenza di un ÂŤantro di CaronteÂť. Una volta lâanno vi veniva introdotto un toro, che stramazzava morto a terra pochi istanti dopo; tuttavia i fedeli che si fossero inoltrati nella grotta per chiedere la guarigione da una malattia erano in grado di dimorarvi per giorni interi senza subire alcun danno. A Roma invece câera innanzi tutto il Mundus, un edificio munito di una parte ipogea strutturata come una tholos, una cupola simile a quella delle tombe micenee, che comunicava con lâesterno tramite un passaggio circolare detto oculus. Questâultimo veniva aperto solo tre volte lâanno, ovvero il 24 agosto, il 5 ottobre e lâ8 novembre: giorni considerati nefasti, in cui non ci si sposava nĂŠ si svolgevano altre attivitĂ , in particolare andare in guerra (unâevenienza abbastanza comune per i Romani). Il motivo era che il Mundus era consacrato al dio degli Inferi e alla sua consorte, e quandâera spalancato era come se le fauci dellâoltretomba fossero aperte, pronte a inghiottire i mortali: meglio allora astenersi dalle imprese belliche, per non tentare troppo il destino⌠Nei pressi del Campo Marzio, a venti piedi di profonditĂ , era invece sepolta lâara dedicata alle divinitĂ infernali, che veniva portata alla luce in occasione dei ludi saeculares, quando per tre notti di fila venivano sacrificate vittime dal pelame nero. Il dio dellâoltretomba, con il nome latino di Dite, Dis Pater (letteralmente âPadre riccoâ), era poi onorato soprattutto nellâItalia settentrionale, probabilmente sovrapposto a una divinitĂ celtica: lo stesso Cesare ricordava come i Galli sostenessero di discendere proprio da Dite, e per questo motivo misurassero il tempo in notti e non in giorni. Seguire le varie incarnazioni del re degli Inferi nel mondo antico, tuttavia, ci porterebbe troppo lontano: è giunto il momento di tornare in Grecia e di riprendere il filo della narrazione.
Una moglie per il re dellâoltretomba
Confinato nella sua dimora, Ade aveva bisogno di una compagna per rendere il suo soggiorno tollerabile. Non era facile, però, trovare una consorte. Eppure, il dio degli Inferi non era completamente privo di attrattive. Innanzi tutto, era molto ricco: sotto terra si celavano tesori, giacimenti di metalli e pietre preziose, la stessa forza generativa della vegetazione: per questo in greco era noto come Plouton, Plutone (da ploutos, âricchezzaâ), il cui equivalente latino come si è visto era Dis Pater. In secondo luogo, Ade aveva una sua cupa bellezza. Somigliava, sappiamo, al fratello Zeus. Nellâiconografia i due, in effetti, erano estremamente simili, con la differenza che il signore dellâaldilĂ , rispetto al fratello che governava lâOlimpo, era rappresentato con unâespressione piĂš torva e accigliata: il poeta Claudiano lo definisce ÂŤterribile e osc...