Ade e Persefone
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Ade e Persefone

Gli dèi degli Inferi

Tommaso Braccini, Gabriele Dadati, AA.VV., Tommaso Braccini, Tommaso Braccini

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Ade e Persefone

Gli dèi degli Inferi

Tommaso Braccini, Gabriele Dadati, AA.VV., Tommaso Braccini, Tommaso Braccini

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Ade, il temuto signore degli Inferi, il dio defilato, quasi "invisibile", si racconta attraverso la sua origine divina – figlio di Rea e di Crono che appena nato lo inghiottì tutto intero – e la sua seconda nascita quando Zeus riuscì a somministrare al padre Crono un emetico che gli fece rimettere tutta la prole. Ma soprattutto si parla di lui descrivendone il regno, l'oltretomba, e il suo amore per Persefone, figlia di Demetra e di Zeus. La rapì un giorno mentre coglieva dei fiori: la ragazza all'improvviso vide la terra aprirsi e dal profondo apparire Ade, da tempo innamorato di lei, che la afferrò e la issò sul suo carro. Nessuno poté aiutare Persefone: piangente, la ragazza chiamava invano la madre lamentando il proprio infelice destino, che la trascinava lontano dalla luce del sole, per unirsi al re degli Inferi. Sulla terra rimase la disperazione della madre Demetra che avrebbe vagato tra gli dèi e gli uomini alla vana ricerca della figlia.

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Información

Editorial
Pelago
Año
2021
ISBN
9791280714602
Categoría
History

Il racconto del mito

Realizzato da Gian Lorenzo Bernini tra il 1621 e il 1622, il celebre gruppo scultoreo, conservato oggi nella Galleria Borghese a Roma, coglie il momento più drammatico del mito, quello in cui la fanciulla viene afferrata con forza da Ade, in una torsione indimenticabile per la storia dell’arte, densa di sofferente forza e desiderio.
Realizzato da Gian Lorenzo Bernini tra il 1621 e il 1622, il celebre gruppo scultoreo, conservato oggi nella Galleria Borghese a Roma, coglie il momento più drammatico del mito, quello in cui la fanciulla viene afferrata con forza da Ade, in una torsione indimenticabile per la storia dell’arte, densa di sofferente forza e desiderio.

Un destino di oscurità

Strano destino, quello di Ade: passare quasi tutta la sua esistenza al chiuso e al buio. Sua madre Rea l’aveva appena partorito, che suo padre Crono lo inghiottì tutto intero, esattamente come aveva fatto con i suoi fratelli. Crono infatti aveva saputo che sarebbe stato detronizzato da un figlio e per questo, come racconta Esiodo nella Teogonia, uno dopo l’altro aveva divorato Estia, Demetra, Hera e Ade. Dopo di lui, la stessa sorte toccò a Poseidone; solo Zeus gli era sfuggito grazie a uno stratagemma della madre e, quando fu cresciuto, riuscì con l’inganno a far somministrare al padre un emetico. Crono allora risputò fuori tutta la sua prole, tra cui Ade, che così vide la luce per la seconda volta. Il giovane dio, peraltro, non ebbe nemmeno il tempo di tirare un po’ il fiato: iniziò infatti uno scontro durissimo tra Crono e i Titani da una parte, e Zeus e i suoi fratelli dall’altra. La lotta andò avanti senza esclusione di colpi per dieci anni. La situazione di stallo si sbloccò solo quando Zeus liberò i Ciclopi, che Crono aveva rinchiuso nelle oscure profondità del Tartaro. Per ricompensare il loro liberatore questi gli donarono il fulmine, che da allora divenne la sua arma invincibile; Poseidone ricevette il tridente e Ade ottenne invece la kynee, l’elmo dell’invisibilità. Gli antichi, in effetti, interpretavano il nome Hades come “invisibile”, con un’etimologia oggi non più in voga ma che, in ogni caso, era molto appropriata per questa divinità, e non solo per quanto riguardava il suo elmo. Dopo che Crono e i Titani furono sconfitti, infatti, Zeus e i suoi fratelli maschi decisero di spartirsi l’universo con un sorteggio: reduci da una lunghissima guerra in famiglia, volevano stabilire una volta per tutte le rispettive sfere di influenza, lasciando la terra, crocevia dei diversi piani, come una sorta di “cortile condominiale” a disposizione di tutti. A Zeus così toccò il cielo, a Poseidone il mare e ad Ade il regno dei morti, lontano dagli occhi – e, come si vedrà, dal cuore – di tutti.
Il nuovo sovrano degli Inferi non era esattamente soddisfattissimo di quello che gli era capitato in sorte. In seguito avrebbe rinfacciato anche aspramente ai fratelli di essersi presi il meglio; certo è che, in confronto al cielo splendente o alle profondità marine, il regno dei morti, che prese il nome del suo signore, era decisamente più triste. Più tardi si sarebbe sviluppata una vera e propria geografia infernale che avrebbe costellato l’oltretomba di fiumi, boschi, città turrite, porte e paesaggi foschi ma vari: Virgilio, ripreso da Dante, l’ha fissata nell’immaginario occidentale. In Omero, tuttavia, non c’è ancora niente di tutto questo. Gli Inferi sono desolazione, abbandono, vuoto. Quando Odisseo giunge alla terra dei Cimmeri, tutto è immerso nella bruma e le ombre vagano per i campi di asfodelo: un pallido fiore che cresce, come gli antichi sapevano, nei terreni impoveriti, troppo sfruttati dalle greggi. L’Ade, dunque, come una pianura sfinita e priva di sole: ma questa non è l’immagine peggiore che se ne poteva dare. Nel ventesimo libro dell’Iliade infuria la battaglia tra Greci e Troiani, ma soprattutto sono gli dèi a scontrarsi tra loro. Zeus dal cielo fa esplodere un tuono terribile, mentre Poseidone squassa la terra con un sisma violentissimo, così violento che persino lo stesso Ade balza dal suo trono gridando di terrore. Teme che si squarci la volta di roccia che copre il suo regno e che tutti, mortali e immortali, possano gettare sgomenti lo sguardo nei penetrali della sua reggia «orrida e putrida, di cui persino i numi hanno orrore».
Ade, insomma, ha quasi pudore nell’esporre agli occhi di tutti quello che si potrebbe definire l’intimo squallore della sua dimora, davvero poco attraente. D’altro canto aveva cercato di organizzarla nel miglior modo possibile, soprattutto per quanto riguardava la meta finale delle anime, destinate alla punizione eterna o a soggiorni più lieti a seconda della vita che avevano condotto. Come racconta Platone nel Gorgia, agli inizi del regno di Zeus, subito dopo la spartizione dell’universo, tutti sapevano in anticipo quando sarebbero morti. Nell’imminenza della dipartita, i morituri si presentavano in giudizio, affinché fosse stabilita la loro sorte nell’aldilà. Questo significava che anche chi aveva condotto una vita dissoluta all’ultimo momento poteva far leva su tutti gli orpelli del corpo e dell’esteriorità (ricchezze, prestigio, bellezza), presentandosi accompagnato da parenti e amici pronti a intercedere. Così anche i peggiori criminali riuscivano a ingannare i giudici, i quali d’altro canto tendevano a valutare negativamente coloro che, pur avendo vissuto una vita ineccepibile, si presentavano al loro cospetto in maniera meno appariscente e con meno sostenitori. Accortosi di quest’ingiustizia, molto coscienziosamente Ade si recò da Zeus e lo avvisò del problema. Da allora si decise innanzi tutto che la data della morte rimanesse ignota, e poi che a essere giudicate fossero le anime, nude e prive di ogni orpello, in modo che trasparisse quello che c’era veramente al loro interno. A giudicarle, a loro volta, dovevano essere altre anime, che le scrutassero con gli occhi dello spirito. Per questo compito furono individuati tre figli di Zeus, che avevano goduto fama di estrema equità anche in vita: Minosse, Radamanto ed Eaco.
Il nuovo sovrano degli Inferi non era esattamente soddisfattissimo di quello che gli era capitato in sorte. In seguito avrebbe rinfacciato anche aspramente ai fratelli di essersi presi il meglio; certo è che, in confronto al cielo splendente o alle profondità marine, il regno dei morti, che prese il nome del suo signore, era decisamente più triste. Più tardi si sarebbe sviluppata una vera e propria geografia infernale che avrebbe costellato l’oltretomba di fiumi, boschi, città turrite, porte e paesaggi foschi ma vari: Virgilio, ripreso da Dante, l’ha fissata nell’immaginario occidentale.

Un dio defilato

Questa organizzazione rimase inalterata, segno che funzionava. E da allora Ade ebbe pochissime altre occasioni per assentarsi dal suo regno, forse anche a causa di una brutta esperienza. Da un rapido cenno in Omero, infatti, si sa che in un’occasione il dio degli Inferi aveva ben pensato di avventurarsi in superficie per affrontare nientemeno che Eracle. Lo scontro però finì molto male per lui, giacché Ade si ritrovò con la spalla trafitta da una freccia e fuggì sull’Olimpo, in preda a dolori insopportabili, per farsi curare da Peone, medico degli dèi. Lo scontro sarebbe avvenuto a Pilo, ma Omero non racconta molto altro. Secondo alcune fonti più tarde, l’evento ebbe luogo quando Eracle razziò Pilo “sabbiosa” massacrando il re Neleo e undici dei suoi figli. Risparmiò soltanto Nestore, il più giovane di tutti, che ereditò così il regno di suo padre; Ade si sarebbe schierato dalla parte di Neleo, cercando di arginare la furia di Eracle. Probabilmente questo era un episodio trattato in dettaglio nelle saghe dell’antico regno miceneo di Pilo, le cui tradizioni tuttavia sono andate quasi completamente perdute.
Forse, però, qualcosa può ancora essere recuperato. Secondo una teoria avanzata da studiosi del calibro di Walter Burkert, infatti, echi dello scontro tra il dio dei morti ed Eracle potrebbero essere rintracciati in un altro episodio relativo alla presa di Pilo. Si diceva infatti che uno dei figli di Neleo, di nome Periclimeno, avesse la capacità di trasformarsi a suo piacimento. Quando Eracle attaccò il regno paterno, Periclimeno lo ostacolò assumendo le sembianze più varie, finché – in un eccesso di virtuosistica spavalderia – pensò bene di tramutarsi in una mosca o un’ape per infastidire e distrarre il suo nemico che in quel momento era sul suo carro da guerra. La dea Atena, tuttavia, svelò l’inganno a Eracle, che eliminò l’insetto molesto con una freccia, un colpo di clava o, più prosaicamente, schiacciandolo con due dita. Secondo Burkert e altri, Periclimeno in realtà potrebbe essere stato una sorta di alter ego dello stesso Ade, che in effetti era chiamato anche Climeno o Periclimeno, letteralmente “famoso”: un appellativo eufemistico che aveva lo scopo di non menzionare direttamente, se non addirittura di ingraziarsi, il dio dei morti. A unire il figlio di Neleo e Ade non era solamente il nome. La capacità di assumere molte forme (quella che in greco si chiama polyeideia), infatti, nel folclore è comunemente associata alla Morte e alle figure a lei legate, come il diavolo, che grazie a essa sono in grado di raggiungere chiunque; sempre nelle tradizioni popolari sono frequenti le narrazioni in cui tali figure vengono ingannate proprio sfruttando questa caratteristica. Il furbo protagonista, in tanti racconti, solletica la vanità della Morte, dichiarandosi incredulo sul fatto che possa diventare così piccola da entrare in un fiasco o in un altro recipiente; la Mietitrice, stoltamente, gli prova subito di esserne capace finendovi così imprigionata senza possibilità di uscire. Del resto anche l’orco, che deriva nel nome e in molte caratteristiche da Orcus, il dio romano degli Inferi, nel Gatto con gli stivali di Charles Perrault viene ucciso dal felino protagonista dopo che, per mostrargli la sua potenza, si è trasformato in un… topolino. Se davvero Periclimeno è un alter ego di Ade, avremmo qui la testimonianza di un’antica narrazione, di sapore popolare, relativa al dio degli Inferi: e che Eracle fosse in grado di sopraffare anche la morte stessa risulta evidente dal suo ruolo nell’Alcesti di Euripide, in cui ha la meglio sullo stesso Thanatos, personificazione della stessa.
In effetti, sia che avesse affrontato Eracle a viso aperto sia che gli si fosse opposto assumendo la forma di un insetto, dopo la sconfitta subita a Pilo il sovrano degli Inferi si avventurò molto raramente fuori dal suo regno. Per svolgere il “lavoro sporco”, ovvero ghermire i viventi e trascinarli nel suo regno, poteva contare sul valido aiuto di Thanatos, la Morte stessa, che più tardi venne sostituita da Caronte. Il traghettatore degli Inferi, infatti, a partire dalla tarda antichità fu visto come una sorta di demone responsabile dei decessi, e questo ruolo è svolto ancor oggi da Charos nel folclore della Grecia.
In genere tuttavia non c’era troppo bisogno di scomodarsi: al termine naturale della vita, infatti, le anime guidate da Hermes, lo Psicopompo, confluivano inevitabilmente nell’oltretomba, che alla fine accoglieva tutti. Da questo derivavano altri dei molti nomi ed epiteti di Ade, che poteva essere chiamato Polydegmon e Polydektes, “Accoglitore di molti”, e Polyxeinos, “Molto ospitale”. Forse per lo stesso motivo, perché tutti prima o poi avrebbero inevitabilmente dovuto porgergli i loro omaggi ma speravano di farlo il più tardi possibile, Ade quasi non godeva di culto in Grecia. In età imperiale il viaggiatore Pausania ricordava con stupore l’esistenza di un santuario del dio dei morti ubicato nell’Elide, presso una località chiamata Pilo, che alcuni mettevano in relazione con l’impresa di Eracle menzionata in precedenza. L’unico che poteva entrare in questo tempio era il sacerdote, e del resto lo faceva solo una volta l’anno, «penso perché – osserva Pausania – anche gli uomini scendono all’Ade una volta sola». Pare che esistesse un altro santuario del dio a Ermione, nell’Argolide, dove si pensava che si aprisse uno degli accessi agli Inferi, considerato una sorta di scorciatoia: per questo chi moriva lì poteva fare a meno dell’obolo riservato al pagamento di Caronte e che usualmente veniva posto nella bocca dei defunti.
Fuori dalla Grecia c’erano altri luoghi di culto legati ad Ade. Il geografo Strabone, vissuto al tempo di Augusto, ricordava così il Ploutonion (nome non casuale, come si vedrà) di Ierapoli, in Asia Minore: una cavità che si apriva nel fianco di una rupe, dalla quale uscivano esalazioni tossiche che causavano la morte di uomini e animali che si avvicinassero troppo. Lo stesso autore ricorda anche un altro Ploutonion situato ad Acharaca, sempre in Asia Minore, caratterizzato dalla presenza di un «antro di Caronte». Una volta l’anno vi veniva introdotto un toro, che stramazzava morto a terra pochi istanti dopo; tuttavia i fedeli che si fossero inoltrati nella grotta per chiedere la guarigione da una malattia erano in grado di dimorarvi per giorni interi senza subire alcun danno. A Roma invece c’era innanzi tutto il Mundus, un edificio munito di una parte ipogea strutturata come una tholos, una cupola simile a quella delle tombe micenee, che comunicava con l’esterno tramite un passaggio circolare detto oculus. Quest’ultimo veniva aperto solo tre volte l’anno, ovvero il 24 agosto, il 5 ottobre e l’8 novembre: giorni considerati nefasti, in cui non ci si sposava né si svolgevano altre attività, in particolare andare in guerra (un’evenienza abbastanza comune per i Romani). Il motivo era che il Mundus era consacrato al dio degli Inferi e alla sua consorte, e quand’era spalancato era come se le fauci dell’oltretomba fossero aperte, pronte a inghiottire i mortali: meglio allora astenersi dalle imprese belliche, per non tentare troppo il destino… Nei pressi del Campo Marzio, a venti piedi di profondità, era invece sepolta l’ara dedicata alle divinità infernali, che veniva portata alla luce in occasione dei ludi saeculares, quando per tre notti di fila venivano sacrificate vittime dal pelame nero. Il dio dell’oltretomba, con il nome latino di Dite, Dis Pater (letteralmente “Padre ricco”), era poi onorato soprattutto nell’Italia settentrionale, probabilmente sovrapposto a una divinità celtica: lo stesso Cesare ricordava come i Galli sostenessero di discendere proprio da Dite, e per questo motivo misurassero il tempo in notti e non in giorni. Seguire le varie incarnazioni del re degli Inferi nel mondo antico, tuttavia, ci porterebbe troppo lontano: è giunto il momento di tornare in Grecia e di riprendere il filo della narrazione.

Una moglie per il re dell’oltretomba

Confinato nella sua dimora, Ade aveva bisogno di una compagna per rendere il suo soggiorno tollerabile. Non era facile, però, trovare una consorte. Eppure, il dio degli Inferi non era completamente privo di attrattive. Innanzi tutto, era molto ricco: sotto terra si celavano tesori, giacimenti di metalli e pietre preziose, la stessa forza generativa della vegetazione: per questo in greco era noto come Plouton, Plutone (da ploutos, “ricchezza”), il cui equivalente latino come si è visto era Dis Pater. In secondo luogo, Ade aveva una sua cupa bellezza. Somigliava, sappiamo, al fratello Zeus. Nell’iconografia i due, in effetti, erano estremamente simili, con la differenza che il signore dell’aldilà, rispetto al fratello che governava l’Olimpo, era rappresentato con un’espressione più torva e accigliata: il poeta Claudiano lo definisce «terribile e osc...

Índice

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Giulio Guidorizzi
  6. Il racconto del mito di Tommaso Braccini
  7. Genealogia
  8. Variazioni sul mito di Gabriele Dadati
  9. Antologia
  10. Per saperne di più
  11. Piano dell’opera
Estilos de citas para Ade e Persefone

APA 6 Citation

Braccini, T., & Dadati, G. (2021). Ade e Persefone ([edition unavailable]). Pelago. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3165649/ade-e-persefone-gli-di-degli-inferi-pdf (Original work published 2021)

Chicago Citation

Braccini, Tommaso, and Gabriele Dadati. (2021) 2021. Ade e Persefone. [Edition unavailable]. Pelago. https://www.perlego.com/book/3165649/ade-e-persefone-gli-di-degli-inferi-pdf.

Harvard Citation

Braccini, T. and Dadati, G. (2021) Ade e Persefone. [edition unavailable]. Pelago. Available at: https://www.perlego.com/book/3165649/ade-e-persefone-gli-di-degli-inferi-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Braccini, Tommaso, and Gabriele Dadati. Ade e Persefone. [edition unavailable]. Pelago, 2021. Web. 15 Oct. 2022.