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I dolori del giovane Werther
Johann Wolfgang Goethe, Giuseppe Antonio Borgese
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I dolori del giovane Werther
Johann Wolfgang Goethe, Giuseppe Antonio Borgese
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Nel 1878 Goethe pubblicò una seconda stesura del romanzo, destinata a diventare un classico della letteratura tedesca mondiale. Ai nostri giorni, passate le mode e i furori wertheriani, e di là dalla sua importanza storica come primo grande testo del romanticismo, l'opera conserva un fascino profondo, una sua inconfondibile originalità che si dispiega nell'adesione della frase ai successivi stati emozionali del personaggio, ora rapito nell'osservare la bellezza estasiante di un frammento di natura, ora rinchiuso in se stesso, mentre nel suo cuore si agitano tempestose passioni.
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Libro primo
Ho raccolto accuratamente tutto ciò che ho potuto trovare della storia del povero Werther, e qui ve lâoffro; e so che me ne sarete grati. Alla sua mente e al suo cuore non potrete negare ammirazione e affetto, nĂŠ lacrime al suo destino.
E tu, anima buona, che provi lo stesso suo affanno, dai suoi dolori prendi conforto; e questo libriccino divenga il tuo amico, se â o per sorte avversa o per tua propria colpa â non puoi trovarne altro piĂš prossimo.
4 maggio del 1771
Come sono contento dâesser venuto via! Mio ottimo amico, che cosâè mai il cuore dellâuomo! Aver lasciato te, che amo tanto, te da cui ero inseparabile, e sentirmi contento! Ma so che tu mi perdonerai. Tranne che con te, tutte le mie relazioni non sembravano combinate dal destino giustâappunto per affliggere un cuore come il mio?
La povera Leonora! Eppure io ero innocente. Che potevo farci se, mentre i vezzi capricciosi di sua sorella mi procuravano un gradevole passatempo, una seria passione si andava formando in quel povero cuore? E, tuttavia⌠sono proprio innocente? non ho alimentato i suoi sentimenti? non ho goduto dei modi in cui si manifestava la sua natura, cosĂŹ ingenui! che spesso ci facevano ridere benchĂŠ fossero tuttâaltro che risibili?
Oh, che mai è lâuomo, che può rammaricarsi di se stesso! Io voglio, caro amico, te lo prometto, io voglio correggermi; non voglio piĂš ruminare, come sempre ho fatto, quel poâ di male che il destino ci appresta; voglio godere il presente, e il passato per me devâessere passato. Certo, tu hai ragione, mio caro, ci sarebbero meno dolori fra gli uomini se essi â Dio sa perchĂŠ sono fatti cosĂŹ â non sâindustriassero con tanto zelo a rievocare i ricordi del male trascorso invece di sopportare un tollerabile presente.
Sii cosĂŹ cortese da dire a mia madre che sto sbrigando nel miglior modo la sua commissione e gliene darò al piĂš presto notizia. Ho parlato con mia zia, e sono ben lungi dal trovarla quel pessimo carattere che da noi si dice. Ă una donna vivace e impetuosa, ma di buonissimo cuore. Le ho esposto le lagnanze di mia madre per la parte di ereditĂ che essa ancora trattiene, e lei mâha detto le sue ragioni, e i motivi, e i patti a cui sarebbe pronta a consegnare tutto, e anche piĂš di quanto chiediamo. â In breve, non ho voglia per ora di scrivere di questo, ma diâ a mia madre che tutto andrĂ bene. E anche in questa piccola faccenda ho visto, amico mio, che i malintesi e la pigrizia fanno forse piĂš scompigli nel mondo che la malafede e la malvagitĂ . Se non altro, queste ultime sono certamente piĂš rare.
Qui mi trovo ottimamente; la solitudine mi è prezioso balsamo al cuore in questi luoghi paradisiaci; e questa stagione di giovinezza scalda con tutta la sua esuberanza il mio cuore che spesso rabbrividiva. Ogni albero, ogni siepe, è un mazzo di fiori, e si vorrebbe divenire un maggiolino per librarsi su questo mare di profumi e non vivere dâaltro.
La cittĂ per se stessa non è piacevole, ma in compenso ha tuttâintorno unâineffabile bellezza di natura. Perciò il defunto conte di M⌠volle piantare un giardino su uno di questi poggi i cui profili sâincrociano in bellissima varietĂ e scendono nelle piĂš amene vallette. Il giardino è semplice, e a prima vista si comprende che il piano non fu disegnato da un giardiniere dotto ma da un cuore sensibile che voleva gioire di se stesso. GiĂ parecchie lacrime ho sparse in sua memoria nel piccolo padiglione, ormai quasi in rovina, châera il suo asilo prediletto e ora è il mio. Fra poco sarò come padrone del giardino; il giardiniere, benchĂŠ io sia qui da cosĂŹ poco, mi è giĂ devoto; e non se ne avrĂ a pentire.
10 maggio
Una meravigliosa serenitĂ sâè diffusa in tutta lâanima mia, simile al dolce mattino di primavera, e io in tutto il cuore la godo. Sono solo, e mi rallegro della mia vita in questa terra che è fatta per anime quale è la mia. Mi sento cosĂŹ felice, o mio carissimo, cosĂŹ totalmente sommerso nel sentimento del placido essere, che la mia arte ne soffre. Ora non potrei disegnare, nemmeno una linea; e tuttavia non sono mai stato piĂš gran pittore che in questi momenti. Quando la cara valle intorno a me vapora e la luce del sole, giĂ alto, sâadagia sulla impenetrabile oscuritĂ della mia selva, e solo qualche singolo raggio sâinsinua nellâocculto sacrario, ed io frattanto sto disteso fra lâerba alta accanto al torrente, e piĂš presso alla terra mille svariate specie dâerbette mi appaiono straordinarie; quando il brulichio di quel minuscolo mondo fra gli steli e tutte quelle innumerevoli inesplicabili forme di vermicciòli e moscerini mi pare di sentirli piĂš presso al mio cuore, e sento la presenza dellâOnnipotente, che ci fece a sua immagine, lo spiro dellâInfinito Amore che in perenne delizia câinnalza e ci conduce; o amico! e quando poi ai miei occhi è crepuscolo e il mondo intorno a me e il cielo tutto entro lâanima mia si giacciono come la forma di una donna amata; allora spesso mi prende nostalgia, e dico a me: âAh se tu potessi esprimere, se potessi alitare sulla carta ciò che con tanta pienezza e ardore vive in te, sicchĂŠ la tua parola rispecchiasse lâanima tua come nellâanima tua si specchia lâinfinitĂ di Dio!â. O amico!⌠Ma di questo io perisco; io soccombo alla violenza della sublimitĂ di queste apparizioni.
12 maggio
Io non so se spiriti dâillusione dimorino su questa contrada, o se stia invece nel mio petto la calda celeste fantasia che a ogni cosa qui intorno dĂ luce di paradiso. Proprio innanzi al villaggio è una fontana, una fontana a cui sono incantato, come Melusina con le sue sorelle. Tu discendi una breve collina, e ti trovi allâentrata di una volta, dove, se scendi ancora circa venti scalini, tu vedi limpidissima acqua sgorgare da rupi di marmo. Il piccolo muro, che lassĂš, tuttâintorno allâingresso, fa cornice, gli alberi eccelsi che ricoprono in giro lo spazio, la frescura del luogo, tutto insomma ha non so che di fascinante, non so che di cui rabbrividisci. Non passa giorno châio non stia lĂ unâora. Poi vengono le fanciulle dalle case ad attingere acqua, che di tutti gli uffici è il piĂš innocente e necessario, e un tempo lo facevano le figlie dei re. Quando siedo laggiĂš, rivive intorno a me, cosĂŹ vivace! il mondo patriarcale: accanto al pozzo si fanno conoscenze e si preparano sposalizi, e spiriti propizi vigilano sui fonti e le sorgenti. Oh, chi non può sentire questo non si devâesser mai ristorato alla frescura di una fontana dopo una faticosa marcia estiva.
13 maggio
Tu mi chiedi se mi devi mandare i miei libri. Caro, per amor di Dio te ne prego, lasciali dove sono e che non mi vengano fra i piedi. Non voglio piĂš farmi condurre, spronare, infervorare dai libri; chĂŠ questo cuore giĂ bolle abbastanza da sĂŠ; ho bisogno di un canto di culla, e lâho trovato, copioso, nel mio Omero. Quante volte con quella cantilena placo il mio sangue in tempesta! PoichĂŠ tu non conosci nulla di cosĂŹ incostante, di cosĂŹ mutevole comâè questo cuore.
O caro! e câè bisogno châio lo dica proprio a te, a te che cosĂŹ spesso hai sopportato di vedermi saltare dallâangoscia allâesuberanza e dalla dolce malinconia allâesiziale passione? Ă vero châio tratto il mio cuoricino come un bimbo malato, ogni capriccio gli è permesso. Ma non lo dire; ci sono di quelli che non me la passerebbero buona.
15 maggio
Il popolino del luogo mi conosce giĂ , e mi vuol bene, specialmente i fanciulli. Nei primi tempi, quando mâaccompagnavo con questa gente, e amichevolmente li interrogavo su questo e quello, alcuni credevano châio mi volessi burlar di loro, e mi piantavano in malo modo. Ma io non mi lasciavo scoraggiare; e mi rendevo conto, piĂš chiaramente che mai, di ciò che tante altre volte avevo osservato, che le persone di una certa condizione si tengono sempre a una fredda distanza dal popolo comune come se avvicinandosi temessero di rimetterci, mentre poi ci sono i dilettanti e i malvagi burloni che si dan lâaria di piegarsi fino al popolo solo per fargli meglio sentire la loro arroganza.
Io so bene che nĂŠ siamo nĂŠ possiamo essere uguali; ma son dâavviso che chi, per mantenere il rispetto, crede necessario di star lontano dalla cosĂŹ detta plebe, non merita minor biasimo del vile che, per paura di prenderle, evita i contatti col nemico.
Recentemente andai alla fontana e vidi una servetta che aveva appoggiato la sua brocca sullâultimo scalino, e si guardava attorno, sperando che qualche compagna sopraggiungesse e lâaiutasse a alzarsela sul capo. Io scesi, e la guardai. ÂŤVolete aiuto, ragazza?Âť le chiesi. Essa arrossĂŹ fino alla radice dei capelli, e disse: ÂŤOh no, signore!Âť. ÂŤSenza complimentiÂť feci io. Allora si aggiustò il cercine; e io lâaiutai. Essa mi ringraziò, e salĂŹ la scala.
17 maggio
Ho fatto conoscenze di ogni genere, ma di vere compagnie non ne ho ancora. Io non so che cosa la gente trovi in me; tanti mi hanno in simpatia, e mi si attaccano, e allora mi rincresce quando non si può far strada insieme che per un breve tratto. Se mi domandi comâè qui la gente, mi costringi a dirti: come dappertutto.
Ă una cosa ben monotona il genere umano. I piĂš sgobbano la massima parte del tempo per campare; e quel pochetto di libertĂ che avanza li tormenta cosĂŹ che si stillano il cervello in cerca di espedienti dâogni sorta per disfarsene. O destino dellâuomo!
Dâaltronde, buona pasta di gente. Se talvolta mi distraggo dai miei pensieri, se talvolta godo con loro le gioie che ancora sono concesse agli uomini, comâè quella di divertirsi a cuor sincero intorno a una tavola bene imbandita, o quella di preparare a tempo giusto una escursione o un ballo, o altra simile cosa, ne risento un ottimo effetto; purchĂŠ in quei momenti non mi ricordi che tante altre forze giacciono in me; le quali si consumano senza che io le adoperi; anzi, sono costretto con ogni cura a celarle. Ahimè! Come questo pensiero stringe il cuore! E tuttavia⌠essere incompresi non è il destino di chi mi somiglia?
Ahimè, lâamica della mia giovinezza non è piĂš! ed è sventura châio lâabbia conosciuta! Io vorrei dire: folle che sei! tu che cerchi quaggiĂš ciò che quaggiĂš non è dato trovare. Ma no; chĂŠ essa fu mia, ed io sentii il suo cuore, la sua anima grande, alla cui presenza mi pareva dâessere piĂš che io non fossi, appunto perchĂŠ ero tutto quello che potevo essere. Dio buono! vi fu allora una sola forza dellâanima mia che rimanesse inerte? non potevo io davanti a lei sviluppare nella sua interezza il meraviglioso sentimento con cui il mio cuore abbraccia la natura? la nostra conversazione non era un perpetuo tessuto di raffinata sensibilitĂ , di sottilissimo acume, le cui variazioni, anche se giungevano a eccessi, erano pur sempre segnate dallâimpronta del genio? E ora!⌠Ahi, gli anni che aveva piĂš di me la portarono prima di me al sepolcro. Mai non potrò dimenticarla; nĂŠ la sua forte intelligenza, nĂŠ la sua angelica rassegnazione.
Pochi giorni fa conobbi un tale X, un giovane sincero, di fisonomia bella e felice. Ă uscito or ora dallâUniversitĂ , e non si crede giĂ un sapiente, ma tuttavia è convinto di saperne piĂš degli altri. A molti segni ho potuto anche capire che è stato uno scolaro diligente; insomma, ha un bel corredo di cognizioni. Avendo sentito châio disegno molto e so il greco (due fenomeni in questo paese), venne in cerca di me, e mi sfoderò un bel poâ di scienza: da Batteux a Wood, da de Piles a Winckelmann, assicurandomi anche di aver letto da cima a fondo la Teoria di Sulzer, Parte Prima, e di possedere un manoscritto di Heyne sullo studio dellâantichitĂ . Io lo lasciai dire.
Ho anche fatto conoscenza con una bravissima persona, il podestĂ del principe, uomo franco e di cuore. Dicono che sia un incanto vederlo fra i suoi figlioli; e ne ha nove; specialmente si dice un gran bene della figlia maggiore. Mi ha invitato a casa sua, e uno di questi giorni ci andrò. Abita in un casino di caccia, di proprietĂ del principe, a unâora e mezzo da qui; dove ottenne il permesso di trasferirsi quando gli morĂŹ la moglie, perchĂŠ abitare nella cittĂ e nel palazzo governativo gli faceva ormai troppa pena.
Di altri che ti dirò? Mi son trovato fra i piedi certi tipi smorfiosi, insopportabili in ogni cosa, e, piĂš che in ogni cosa, nelle loro proteste dâamicizia.
Addio! Questa lettera devâessere di tuo gusto, perchĂŠ è tutta storica.
22 maggio
Che la vita dellâuomo non sia che un sogno, parecchi hanno giĂ intuito, e anche da me questo sentimento non vuole dipartirsi. Se io considero le angustie in cui le forze attive e le intellettive dellâuomo sono costrette; se vedo come ogni operositĂ non tenda che a procurare la soddisfazione di certi bisogni, i quali alla lor volta non hanno alcuno scopo se non quello di prolungare questa nostra povera esistenza, e poi comprendo che ogni nostro acquetamento sopra a certi punti che volevamo indagare non è altro che sognante rassegnazione, e prigionia fra mura che abbiamo abbellite dipingendole di vivaci figure e di leggiadri orizzonti; tutto questo, o Guglielmo, mi fa ammutolire. Allora io mi piego di nuovo su me stesso, e trovo un Universo! Ma anche questo, piuttosto come presentimento e oscura brama che come realtĂ e vivente energia. Allora tutto si confonde davanti ai miei sensi; e con un sorriso di sogno guardo il mondo.
Che i bambini non sappiano che cosa vogliono, è veritĂ constatata da tutti i sapientissimi pedagoghi e precettori; ma che anche gli adulti, come i bambini, possano brancolare a caso sulla crosta terrestre e come quelli non sappiano nĂŠ donde vengano nĂŠ dove vadano, e siano ugualmente incapaci di agire secondo veri scopi, e si lascino anchâessi menare con la promessa di biscottini e pasticcini e con la minaccia della frusta; a questo nessuno ha voglia di crederci, eppure è cosa che si tocca con mano.
Io ti ammetto volentieri (poichÊ so bene ciò che a ques...
Inhaltsverzeichnis
- Copertina
- Frontespizio
- Introduzione
- Cronologia
- Nota bibliografica
- I dolori del giovane Werther
- Libro primo
- Libro secondo
- Lâeditore al lettore
- Postfazione â di Thomas Mann
- Copyright
Zitierstile fĂźr I dolori del giovane Werther
APA 6 Citation
Goethe, J. W. (2010). I dolori del giovane Werther ([edition unavailable]). Mondadori. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3300646/i-dolori-del-giovane-werther-pdf (Original work published 2010)
Chicago Citation
Goethe, Johann Wolfgang. (2010) 2010. I Dolori Del Giovane Werther. [Edition unavailable]. Mondadori. https://www.perlego.com/book/3300646/i-dolori-del-giovane-werther-pdf.
Harvard Citation
Goethe, J. W. (2010) I dolori del giovane Werther. [edition unavailable]. Mondadori. Available at: https://www.perlego.com/book/3300646/i-dolori-del-giovane-werther-pdf (Accessed: 15 October 2022).
MLA 7 Citation
Goethe, Johann Wolfgang. I Dolori Del Giovane Werther. [edition unavailable]. Mondadori, 2010. Web. 15 Oct. 2022.