Lucio nacque quando nel mondo câera la guerra, una guerra maligna e devastante che stava facendo a pezzi lâOccidente. Nacque a Bologna, poco prima che le bombe cominciassero a cadere dal cielo come angeli della morte, in un giorno che tutti conoscono, perchĂ© Ăš stato lâunico artista cosĂŹ spudorato da mettere nel titolo di una canzone la sua reale data di nascita.
Era il 4 marzo 1943.
Suo padre, Giuseppe Dalla, era un uomo dai tratti eleganti che commerciava oli e li vendeva in giro per lâEmilia, e a tempo perso faceva il direttore del club di tiro a volo. La mamma, Iole Melotti, di professione modista, era una brava sarta che nel tempo aveva accumulato una fedele clientela, a Bologna, a Roma e perfino nella lontana Puglia.
Giuseppe e Iole erano giĂ adulti quando arrivĂČ il piccolo Lucio, e si sposarono appena un mese prima della sua nascita, come se avessero voluto aggiustare allâultimo momento qualcosa che allâepoca non era socialmente accettabile. SembrĂČ una stranezza. In fin dei conti della vita di Giuseppe si sa davvero poco e, se a tutto questo aggiungiamo i vezzi pseudoautobiografici dello stesso Lucio, il suo gusto per la dissimulazione e per il fantasioso inganno, Ăš facile comprendere come le circostanze abbiano alimentato le mille leggende che si sono sviluppate nel tempo. Ă giusto arrivare a dubitare della paternitĂ ufficiale? E nel caso, chi sarebbe dunque il vero padre di Lucio? Molte di queste âvociâ si concentrano sulla Puglia, che Iole iniziĂČ a frequentare giĂ nel 1933 quando suo padre Ettore, rimasto vedovo, e i suoi fratelli si trasferirono a Manfredonia per lavoro. La localitĂ pugliese diventĂČ una seconda patria e Iole continuĂČ ad avere uno stretto rapporto con la cittĂ prima e dopo il matrimonio perchĂ© lĂŹ aveva ormai da tempo una clientela raffinata e fedele, aveva coltivato rapporti di amicizia e ogni anno puntualmente raggiungeva la cittadina di mare con i suoi abiti da vendere assieme alla sua socia, Lina Fantuzzi. Tra le famiglie che frequentava piĂč assiduamente câera quella di Francesco Morcaldi, vedovo, padre di quattro figli, devoto di Padre Pio e a piĂč riprese sindaco di San Giovanni Rotondo. Anche lui aveva preso a ben volere Lucio, cosĂŹ tanto che in punto di morte, si racconta, chiese con insistenza di vederlo, insieme ai quattro figli. Come sia andata veramente non lo sapremo forse mai, ma se Ăš per questo di leggende ne sono nate di ben piĂč fantasiose, alcune ai limiti dellâincredibile, come quella, non priva di sostenitori, che lo vorrebbe addirittura figlio di Padre Pio, del quale mamma Iole era una fedelissima devota, come poi sarebbe stato lo stesso Lucio. Di sicuro di queste voci il nostro eroe si Ăš sempre fatto beffe. Gli piacevano, lo divertivano, alimentavano il mito della sua insolita storia, e ci giocava talmente volentieri che, per sua precisa volontĂ , la copertina del 45 giri di 4 marzo 1943, la canzone che racconta la struggente poesia di una nascita âillegittimaâ, riporta come immagine unâantica stampa del lungomare di Manfredonia con tanto di freccia che indica una precisa palazzina. Come un indizio buttato lĂŹ, apparentemente senza intenzione.
I primi due anni della vita di Lucio furono i piĂč drammatici del conflitto. A partire dal luglio 1943 i bombardamenti devastarono Bologna con quasi cento raid dei B17 americani e dei Lancaster inglesi. Molte famiglie cercarono un riparo nelle campagne, ma non Giuseppe e Iole. Nonostante lâorrore delle bombe, la paura, le difficoltĂ , i due decisero di rimanere in cittĂ . Appartenevano alla media borghesia, se la passavano meglio degli altri e non volevano abbandonare la loro casa, cosĂŹ, quando suonava lâallarme antiaereo, scendevano nel rifugio che era stato approntato nei sotterranei dellâedificio della Banca dâItalia, dove Lucio incontrĂČ per la prima volta il suo amico e biografo (nonchĂ© autore di testi per canzoni) Gianfranco Baldazzi. I due bimbetti giocavano allegri e incoscienti delle bombe che cadevano sopra le loro teste e diventarono, racconta Baldazzi, «compagni di sventura».
Di quelle corse affannate Lucio rammentava poco, e ancor meno ricordava della fiera opposizione dei bolognesi ai repubblichini e ai nazisti, troppo piccolo per capire davvero cosa stesse accadendo attorno a lui, per sapere della battaglia di Porta Lame del 7 novembre 1944 o delle stragi nei paesi attorno alla cittĂ , a Marzabotto e Sabbiuno. Furono mesi terribili, e per Bologna il costo in vite umane fu altissimo: 2481 morti tra i civili e 2064 i partigiani caduti.
Poi finalmente lâorrore finĂŹ. Nella notte del 21 aprile 1945, i tedeschi si ritirarono da Bologna e allâalba i partigiani, i soldati italiani e le truppe alleate entrarono in cittĂ , accolti dai cittadini in festa. Lo stesso giorno Giuseppe Dozza, uno dei fondatori del Partito comunista italiano, venne nominato sindaco dal Comitato di liberazione nazionale, e rimase in carica per i ventun anni successivi.
Nel mondo iniziĂČ una gigantesca fase di ricostruzione che mise le basi dellâOccidente per come lo conosciamo oggi. Anche Bologna cercĂČ di andare oltre il dolore e la distruzione, partĂŹ la rinascita e la vita sembrĂČ assumere di nuovo una parvenza di normalitĂ . Giuseppe potĂ© tornare a âcacciare fagianiâ e Iole riprendere i suoi viaggi di lavoro. Ignaro di tutto questo, il piccolo Lucio comincia a definire i contorni della sua Bologna, e allâinizio sono quelli dei giardinetti di piazza Cavour, sotto le finestre di casa, dove gioca con lâamico Gianfranco e altri bimbi, dove inventa storie e avventure tra le panchine e le piante di quella che molti anni dopo diventerĂ la âsuaâ Piazza Grande.
Su una sola cosa tutte le testimonianze concordano perfettamente. Lucio era un fenomeno giĂ da piccolo. A tre anni, si racconta, mamma e papĂ lo portano a passeggio e, passando davanti a un caffĂš concerto, per lâesattezza il CaffĂš Centrale in piazza Re Enzo, lui scappa e sale sul palco per cantare una filastrocca intitolata Op, Carolla, tra gli applausi del pubblico divertito da questo impudente bimbetto. A quattro anni era giĂ un piccolo comico, faceva ridere perchĂ© strimpellava polche e mazurche con una fisarmonica piĂč grande di lui, era un esibizionista nato e i genitori erano permissivi, non cercavano di scoraggiarlo, sapevano di avere un figlio che aveva poco in comune con gli altri bimbi della sua etĂ . Era un ragazzo speciale, totalmente fuori dalla norma, e tanto valeva assecondarlo. Sta di fatto che gli consentirono qualcosa che per i bimbi suoi coetanei sarebbe stato impensabile: stare in una vera e propria compagnia di operette, la âPrimavera dâarteâ diretta da Bruno Dellos, un profugo istriano di Pola che era arrivato anni prima a Bologna e si era ambientato talmente bene da diventare uno dei maestri locali dellâavanspettacolo e del teatro dialettale. Al suo primo impegno ufficiale nel mondo dello spettacolo Lucio aveva solo sei anni, e non si puĂČ certo dire che fosse un figlio dâarte. La cosa piĂč estrosa che lo circondava in casa erano i vestiti colorati cuciti dalla mamma, ma a dire il vero un parente nello spettacolo la famiglia Dalla ce lâaveva: lo zio Ariodante, un bravo cantante che incise la sua prima canzone, Argentinita, proprio nellâanno in cui nasceva Lucio, e diventĂČ discretamente famoso grazie alla radio e alle orchestre che lo richiedevano, prima fra tutte quella del Maestro Pippo Barzizza.
Anche se questa definizione in seguito lâavrebbe trovata fastidiosa, Lucio era a tutti gli effetti un bambino prodigio. Recitava, cantava, ballava, tutti lo ricordano comunicativo e spiritoso, un piccolo istrione in grado di sorprendere i grandi. Le foto dellâepoca lo ritraggono in frac, oppure vestito da torero o con altri abiti di scena, negli spettacoli organizzati dalla compagnia in via DâAzeglio, vicino a casa, dove câera un piccolo teatro chiamato âLa Soffittaâ. Il numero piĂč atteso, ricorda Baldazzi, era quello in cui lui usciva a sorpresa da una valigia e gridava: «Dovrai passare sul mio cadavere!» al cattivo di turno. Irresistibile, a detta dei testimoni, da applauso a scena aperta, probabilmente il primo vero applauso ricevuto nella sua vita.
Nel suo piccolo mondo di provincia la âPrimavera dâarteâ aveva un discreto successo, era richiesta anche in altre cittĂ , e di nuovo la famiglia mostrĂČ una larghezza di vedute non comune concedendo alla compagnia di portare qualche volta in trasferta anche il piccolo Lucio, ovviamente sotto la personale protezione del capocomico Dellos. Sta di fatto che nel suo girovagare la compagnia approdĂČ anche a Roma, al prestigioso Teatro Valle, e lĂŹ ad accorgersi delle doti del bambino che usciva a sorpresa dalla valigia, dice la leggenda, sarebbe stato addirittura Vittorio De Sica. Ma erano pur sempre cose da bimbo, certo non ancora una scelta di vita. «Facevo questo senza rendermene conto» spiegĂČ Dalla, «come tutti i bambini; non me ne fregava niente, anzi era un peso.»1 CâĂš una foto del 1949 che lo fissa nel pieno di una recita scolastica. Ha sei anni ma Ăš giĂ lui, la faccia messa di sbieco, il sorriso ironico, il cilindro e un bastone. Ă scatenato, irrequieto, balla, recita e canta le canzoni che ha imparato a memoria mentre sta seduto ad ascoltare la radio accanto alla mamma che cuce. E ha anche un soprannome, âBriciolaâ, una sorta di alter ego piĂč sfrontato, meno timido, un poco esagerato e spaccone, come fosse giĂ una piccola star. I genitori guardavano, accettavano, aspettavano. Anni dopo Lucio raccontĂČ:
Ho trascorso molto tempo da solo, mia madre sospettava che, al di lĂ di alcune intuizioni che lei trovava geniali, io fossi un deficiente. Mi portĂČ anche da uno psichiatra. Câera un istituto psicotecnico dâavanguardia a Bologna dove giudicavano lâattitudine dei bambini e mia madre, convinta di avere un genio in mano, mi portĂČ lĂŹ. Mi fecero fare tutti i test e lei, che si aspettava che le dicessero «Suo figlio andrĂ sulla luna», si sentĂŹ rispondere: «Suo figlio sarĂ un bravo operaio». «Operaio sarĂ lei» replicĂČ.2
Grazie alla sua bizzarra personalitĂ era diventato il âre degli amiciâ quando giocava con gli altri in piazza Cavour, quando sotto le finestre di casa inventava storie e favole tra la neve e le panchine gelate, tra le piante che si trasformavano in giungla e i sassolini che diventavano le rocce del Far West. Ma la spensieratezza durĂČ poco: nel 1950 il padre Giuseppe morĂŹ per un tumore e la sua vita cambiĂČ, inesorabilmente: «Avevo sette anni» raccontĂČ a Baldazzi, «e provai la sensazione struggente di una perdita che mi consentiva di dire a me stesso con pietĂ e tristezza: âDa oggi sei solo come un caneâ».
Lucio ricordava bene anche il momento esatto in cui la mamma cercĂČ di spiegargli cosâera successo: «âSi Ăš spenta una luceâ» mi disse. «Eravamo uno di fronte allâaltra. Mia mamma mi annunciava cosĂŹ con pietĂ , dolcezza e, perchĂ© no, anche un poco di poesia quello che io intuivo come solo un bimbo di sette anni puĂČ fare.» E la reazione di Lucio fu del tutto inaspettata:
Avvertivo come giĂ chiusa la ferita che aveva provocato alla mamma la morte del babbo e non so per quale misteriosa ragione non scattava il mio dolore di orfano, per cui mi sentii obbligato a dare una risposta che la tranquillizzasse, che testimoniasse nello stesso tempo e perentoriamente il mio essere diventato adulto, capo famiglia. Con la stessa pietĂ e con lo stesso amore le buttai le braccia al collo e le dissi: dove andiamo questâestate al mare?3
Era la fine di quellâinfanzia eccentrica e vagamente spensierata vissuta fino a quel momento. Da quellâistante la figura del padre iniziĂČ progressivamente a sbiadire, quella della madre a diventare centrale, enorme, ma allo stesso tempo, soprattutto nei primi anni, il rapporto tra i due venne messo a dura prova dalle avverse circostanze. Rimasta vedova, per far quadrare i conti Iole fu costretta a viaggiare per lavoro con maggior frequenza del solito e Lucio venne spedito a Treviso, nel Collegio Vescovile Pio X. Ci andĂČ ogni inverno, da quando aveva otto anni fino a quando ne compĂŹ dodici. Di quegli inverni in collegio sappiamo poco o nulla. Lucio non ne parlava mai, e forse câera davvero poco da dire, forse improvvisava recite per i suoi compagni di âreclusioneâ, forse rimuginava da solo sulla sorte ingrata e sullâattesa dellâestate come momento liberatorio, quando per incanto tutto tornava al suo posto, esattamente come doveva essere. SarĂ un caso ma da quel momento il mare, lâestate, i luoghi azzurri e assolati diventarono la sua casa ideale.
Ogni anno a giugno da Treviso tornava a Bologna e da lĂŹ si ripartiva per le lunghe estati da passare a Manfredonia al seguito della mamma che armi e bagagli calava verso la Puglia, accompagnata da aiutanti e modelle, e dal suo simpatico figlio. Ma questa esuberanza esteriore mascherava una piĂč introversa e complicata riservatezza. E soprattutto era strano, diverso. Non cresceva, gli altri ragazzi diventavano alti, allungavano le gambe, mentre lui restava basso e cicciottello. La madre era preoccupata, ma allâinizio pensava che fosse solo un ritardo nello sviluppo. Le cose perĂČ non cambiavano e Lucio restava piccolino. I compagni cominciavano a prenderlo in giro, il soprannome Briciola, che fino a qualche tempo prima gli piaceva, adesso lo infastidiva. Era arrabbiato, non voleva restare indietro, essere piĂč piccolo degli altri. Alla fine Iole si decise a portarlo da uno studente di Medicina perchĂ© trovasse una soluzione, una cura possibile. La visita durĂČ pochi minuti, poi lo studente, dopo aver esaminato con attenzione le mani di Lucio, disse che câera una tendenza al nanismo, ma che non si doveva preoccupare perchĂ© câerano cure ormonali che potevano sbloccare la situazione. Lucio prese le medicine e il risultato non tardĂČ a mostrarsi in tutta la sua vistosa maestositĂ : a quindici anni non era cresciuto, ma in compenso era peloso come un orango, con un clamoroso florilegio di peli sul petto, sulle gambe, sulla schiena.
Col passare degli anni dentro di lui le cose erano cambiate, si sentiva impacciato, fuori posto. «La fine del teatro» disse una volta «coincise con la scoperta dellâerotismo. Ora sembra una cosa stupida, ma in realtĂ era cosĂŹ. Erano gli anni Cinquanta, quindi si viveva nelle strade, câerano molte bambine, situazioni strane, smisi decisamente di essere il bambino prodigio quando cominciai ad avere i primi rapporti.» Anche Baldazzi ricorda che quando Lucio tornĂČ da Treviso non era piĂč quello di prima. Lâesperienza del collegio lo aveva cambiato. Era partito bambino ed era tornato adolescente. Gli amici lo accoglievano con lo stesso affetto, ma Lucio era diventato un altro, non voleva piĂč essere âla piccola starâ, voleva quello che avevano tutti gli altri ragazzi alla sua etĂ :
Di quegli anni mi ricordo la neve. Ne cadeva tantissima da ottobre ad aprile. Noi giocavamo per strada, con cappottoni e grosse berrette di lana in testa. Avevamo sempre mani e piedi gelati. Ricordo anche la mania delle moto, le marche entrate nel mito: Rumi, Guzzi, Gilera. I ragazzi grandi si sfidavano alle corse sotto le Due Torri, con le fidanzate sul sellino e i vecchi che gli urlavano dietro.4
Ma a quel punto tutto cambiĂČ, grazie anche a un oggetto dai poteri mirabolanti.
Il passaggio allâadolescenza di Lucio ha il suono limpido e guizzante del clarinetto. Di musica nella sua vita ce nâera giĂ , ma la fisarmonica che aveva imparato a suonare era un accessorio teatrale, un effetto a sorpresa da bimbo prodigio. Le cose cambiarono quando incontrĂČ lo strumento che lo avrebbe accompagnato come un amico fedele per tutta la vita. Ma quando e come esattamente questo sia avvenuto non lo sappiamo per certo. Anche qui le versioni differiscono di molto. ...