Quando scrissi le seguenti pagine, o quantomeno la maggior parte di esse, vivevo in solitudine tra i boschi a un miglio di distanza da qualsiasi vicino, in una casa che mi sono costruito sulla riva del lago Walden, a Concord, Massachusetts, mantenendomi con il lavoro delle mie sole braccia. Vissi lĂ due anni e due mesi e ora sono tornato nuovamente tra gli uomini civili. Non annoierei i miei lettori con ciĂČ che riguarda tanto il mio privato, se i miei concittadini non mi avessero fatto molte domande precise sul mio modo di vivere, domande che qualcuno chiamerebbe impertinenti, che non mi sembrano tali, ma anzi, tenuto conto delle circostanze, le trovo molto naturali e giustificate. Alcuni di loro mi hanno domandato cosa trovavo da mangiare, se non mi sentivo troppo solo, se avevo paura, e via dicendo. Altri erano curiosi di sapere quante delle mie entrate devolvessi in beneficenza, mentre altri, che hanno una famiglia numerosa, quanti bambini poveri mantenessi. Devo dunque scusarmi con i lettori che non hanno alcun interesse nei miei confronti di perdonarmi, se mi accingo a rispondere a qualcuna di quelle domande in queste pagine. In molti libri, lâio, la prima persona, Ăš omessa; in questo sarĂ conservata; in termini di egotismo si tratta della differenza principale. Spesso dimentichiamo che dopo tutto Ăš sempre la prima persona che parla. Non parlerei tanto di me stesso se conoscessi qualcun altro bene come mi conosco. Purtroppo, Ăš la mia scarsa esperienza a confinarmi in questo ristretto argomento. Dâaltra parte, per quanto mi riguarda pretendo da uno scrittore, grande o mediocre che sia, un racconto semplice e sincero della sua vita e non soltanto di quanto ha sentito e capito della vita degli altri uomini; come ne scriverebbe ai suoi parenti da un paese lontano: e dico lontano perchĂ© per aver vissuto con sinceritĂ egli deve averlo fatto in un paese lontano dal mio. Forse queste pagine sono rivolte in maniera piĂș diretta agli studenti poveri; quanto agli altri miei lettori, ne accetteranno soltanto le parti piĂș vicine al loro stile di vita. Confido che nessuno, leggendo questo libro, debba forzarne le cuciture come indossando una giacca, perchĂ© puĂČ essere utile davvero solo a coloro cui veste alla perfezione.
Vorrei dire qualche cosa che riguardi non tanto i cinesi o gli abitanti delle isole Sandwich, ma proprio a voi che leggete queste pagine e si dice viviate nel New England; qualcosa sulla vostra vita e soprattutto su quella allâinterno della societĂ , in questo nostro mondo, in questa nostra cittĂ ; per capirla e capire se deve andare per forza cosĂ male o puĂČ essere migliorata.
Ho girato molto a Concord, e ovunque, nei negozi, negli uffici, nei campi, gli uomini mi sono parsi condannati a soffrire in mille modi diversi. Ho sentito dire dei bramini che si espongono a quattro fuochi, guardano in faccia il sole, o stanno sospesi a testa in giĂș sopra le fiamme; che contemplano il cielo dietro le loro spalle finchĂ© non gli Ăš piĂș possibile riprendere la posizione naturale, tanto che per il contorcimento del collo non possono introdurre nello stomaco altro che sostanze liquide; o che rimangono incatenati per tutta la vita ai piedi di un albero; o che misurano col corpo, strisciando come vermi, lâampiezza di vasti reami; o che si reggono su una sola gamba in cima a una colonna; persino simili penitenze volontarie non sono tanto piĂș sorprendenti e incredibili delle scene a cui assisto ogni giorno. Le dodici fatiche di Ercole sembrano niente in confronto alle lotte e alle sofferenze dei miei vicini, perchĂ© quelle furono soltanto dodici ed ebbero una conclusione, mentre non ho mai visto gli uomini al mio fianco uccidere o catturare qualche mostro, oppure portare a termine qualche grande impresa. E non hanno un amico come Iolao capace di bruciare la testa dellâIdra alla radice con un ferro infuocato; anzi, nel loro caso, appena una testa Ăš stata schiacciata, ne appaiono altre due.
Vedo dei giovani, miei concittadini, la cui disgrazia Ăš quella di aver ereditato fattorie, case, bestiame e attrezzi agricoli; perchĂ© Ăš piĂș facile ritrovarsele, certe cose, che liberarsene. Sarebbe stato meglio per loro se fossero nati in aperta campagna e allattati da una lupa, perchĂ© cosĂ avrebbero potuto vedere piĂș chiaramente quale terra erano chiamati a dissodare. Chi li rese servi della gleba? PerchĂ© dovrebbero sfamarsi con i loro sessanta acri di terreno, quando lâuomo Ăš condannato a mangiare sempre e solo la sua abbondante porzione di fango? PerchĂ© dovrebbero scavarsi la tomba appena nati? Essi devono vivere la vita dellâuomo e trascinarsi dietro tutto questo, cercando di tirare avanti come meglio possono. Quante povere anime immortali ho incontrato quasi oppresse e soffocate sotto tanto peso, striscianti sul cammino della vita, e tutto perchĂ© dovevano provvedere a un granaio della capacitĂ di settantacinque piedi per quaranta, alle stalle di Augia1 sempre sporche, a un terreno di cento acri, allâaratura, alla falciatura, alla pastura, al legname! Il diseredato che non deve combattere con tanti impacci trova giĂ abbastanza faticoso domare e nutrire il suo mezzo metro cubo scarso di carne. Ma gli uomini faticano perchĂ© vittime di un abbaglio. La parte migliore dellâuomo Ăš ben presto arata nel suolo per servire da letame. Da quello che in apparenza Ăš il fato, di solito chiamato necessitĂ , gli uomini sono condannati, come dice un vecchio libro2, ad accumulare tesori che saranno corrosi dai tarli e dalla ruggine, o violati e depredati dai ladri. Ă una vita da stolti e se ne accorgeranno quando saranno giunti al suo termine, se non forse prima. Si dice che Deucalione e Pirra creassero uomini gettandosi pietre alle spalle, al di sopra della testa:
Inde genus durum sumus, experiensque laborum;
Et documenta damus, qua simus origine nati3.
Oppure come tradusse Raleigh nel suo verso sonoro:
Da tutto ciĂČ ha origine il nostro cuore duro,
che sopporta dolore e ansia
E ci mostra i nostri corpi,
fatti della natura stessa della pietra4.
Tutto ciĂČ per aver obbedito in modo cieco a un oracolo ingannevole, ed essersi gettati pietre alle spalle senza vedere dove cadessero.
Anche in un paese relativamente libero come questo, la maggior parte degli uomini Ăš cosĂ presa da false preoccupazioni e oppressa da lavori pesanti e inutili per pura ignoranza ed errore, da non poter piĂș cogliere i frutti piĂș delicati della vita, perchĂ© le loro dita sono divenute sgraziate e tremanti per la fatica eccessiva. Lâuomo che lavora non ha la possibilitĂ di godersi giorno per giorno la sua naturale integritĂ , non puĂČ mantenere rapporti davvero umani con gli altri, perchĂ© non sarebbe piĂș competitivo sul mercato; non ha tempo che di essere una semplice macchina. Come puĂČ ricordarsi della propria ignoranza (fondamentale per il suo progresso), quando deve usare continuamente le sue conoscenze? Per saperne il valore, noi dovremmo nutrirlo e vestirlo gratuitamente e offrirgli qualcosa da bere. Per essere conservate, le qualitĂ piĂș pure della nostra natura, come certi fiori richiedono le cure piĂș delicate per sopravvivere. Noi invece non ci trattiamo e non trattiamo gli altri con tanta tenerezza.
Alcuni, lo sappiamo tutti, sono poveri e stentano a vivere, stentano talvolta a tirare il fiato. Io sono certo che qualcuno dei miei lettori non ha la possibilitĂ di pagare tutti i pranzi mangiati finora, i vestiti e le scarpe che sta portando o che ha giĂ consumato; e per leggere queste pagine ha dovuto prendere in prestito o rubare un poâ di tempo, sottraendo cosĂ unâora ai suoi creditori. Ă evidente che molti di voi conducono una vita prudente e in fondo misera; ne sono sicuro perchĂ© il mio sguardo con lâesperienza si Ăš affinato; molti di voi sono sempre al limite, cercano di fare affari per tirarsi fuori dai debiti. Male antichissimo, che i latini chiamavano Ćs alienum, il bronzo degli altri, perchĂ© alcune loro monete erano appunto di bronzo; si vive, si muore e si viene sotterrati con il bronzo degli altri; sempre a promettere di pagare, di pagare domani, per poi morire oggi insolventi. Sempre a ingraziarsi qualcuno alla ricerca di credito in tutti i modi meno quelli che infrangono il codice penale. Sempre a mentire, lusingare, votare, a farsi piccoli per essere cortesi, a espandersi in unâatmosfera sottile e inconsistente di generositĂ , per persuadere il vicino a farsi fare un paio di scarpe, un cappello, un vestito, una carrozza, o a comprare degli alimentari. A consumarsi la salute e poter mettere da parte qualcosa per il triste giorno in cui saranno malati, qualcosa nascosto in una cassetta o in una calza dietro un muro, o per maggior sicurezza nel materasso (la banca delle brave persone), non importa dove, non importa se molto o poco.
Io talvolta mi meraviglio come si possa essere cosĂ superficiali, se cosĂ si puĂČ dire, da interessarsi a una forma brutale ma in qualche modo distante di schiavitĂș come quella dei negri, mentre ci sono tanti altri padroni scaltri che schiavizzano il Nord come il Sud. Ă duro essere sottoposto a un negriero del Sud, peggio ancora a uno del Nord, ma Ăš peggio di tutto essere noi stessi i nostri negrieri. E poi si parla della divinitĂ insita nellâuomo! Guardate il carrettiere in strada giorno e notte per andare al mercato; quale divinitĂ si agita in lui? Il suo dovere piĂș alto Ăš quello di foraggiare e abbeverare i cavalli. Che importanza ha per lui il suo destino al paragone delle merci che trasporta? Non lavora forse per un padrone prepotente? In che cosa Ăš divino, in che cosa Ăš immortale? Guardate come si fa piccolo e sta ai margini, e come vive tutto il giorno nella paura, non come un essere immortale e divino, ma schiavo e prigioniero dellâopinione che ha di se stesso, del destino scritto in ciĂČ che fa. Lâopinione pubblica non Ăš nulla paragonata a quella che abbiamo di noi stessi. CiĂČ che un uomo pensa di sĂ© determina o meglio indica la sua strada. Quale Wilberforce5 lotterĂ per lâautoemancipazione nellâIndia orientale della nostra fantasia e della nostra immaginazione? Pensate alle signore che si preparano al giorno del Giudizio ricamando il proprio corredo, attente a non tradire troppo interesse per il loro destino. Come se potessimo ammazzare il tempo senza offendere lâeternitĂ .
La massa degli uomini conduce una vita di quieta disperazione; quella che si chiama rassegnazione, Ăš disperazione istituzionalizzata. Dalla cittĂ disperata andate nella campagna disperata, e per consolarvi non vi resta altro che lâaudacia delle martore e dei topi muschiati. Unâangoscia stereotipata ma profonda si annida anche nei cosĂ detti giochi e passatempi; non ci danno piacere, perchĂ© vengono solo dopo il lavoro. Ma una caratteristica della saggezza Ăš quella di non commettere azioni disperate.
Quando consideriamo qual Ăš il fine principale dellâuomo, per usare unâespressione del catechismo, e quali sono le vere necessitĂ e ricchezze della vita, ci sembra che gli uomini abbiano scelto il modo di vivere attuale perchĂ© lo preferivano a qualunque altro. Pensano onestamente che non gli sia stata concessa alcuna scelta. Ma le nature attente e in salute rammentano che il sole sorse limpido. Non Ăš mai troppo tardi per liberarsi dai pregiudizi. Non ci si puĂČ fidare di nessun modo di fare o di pensare, per quanto consueto, senza averne prima sperimentata la veritĂ . CiĂČ che passa per vero oggi, apertamente o meno, puĂČ rivelarsi falso domani, semplice fumo di opinioni che qualcuno aveva sperato potesse essere una nube carica di pioggia ristoratrice per i suoi campi. Quello che i vecchi vi dicono che non sarete in grado di fare, provatelo, e vedrete che ci riuscirete. Azioni vecchie per gente vecchia, per la gente nuova occorrono nuove azioni. Gli antichi non sapevano neppure procurarsi il combustibile per alimentare il fuoco; i moderni mettono legna secca sotto le loro pentole e vagano per il globo a una velocitĂ tale da uccidere gli antichi. Le persone mature non sono certo insegnanti migliori dei giovani, perchĂ© sono piĂș le cose che hanno perso rispetto a quelle di cui hanno saputo approfittare. Si puĂČ anche dubitare che gli uomini abbiano davvero imparato qualcosa di utile dal solo fatto di vivere. In realtĂ i vecchi non hanno consigli importanti da dare ai giovani, poichĂ© la loro esperienza Ăš stata parziale e la loro vita un triste fallimento, non certo per colpa loro, o almeno cosĂ sono costretti a credere. PuĂČ darsi perĂČ che abbiano ancora un poâ di speranza per smentire la loro esperienza e che siano solo meno giovani di quel che erano prima. Ho vissuto circa trentâanni su questo pianeta, eppure devo ancora sentire la prima sillaba di un consiglio prezioso o almeno sincero in bocca a qualcuno piĂș vecchio di me. Non mi hanno detto niente e forse non possono dirmi nulla che serva allo scopo. La vita Ăš un esperimento che in gran parte non ho ancora provato, e il fatto che i vecchi lo abbiano fatto non mi Ăš di alcun giovamento. Se posseggo un poâ di esperienza che stimo preziosa, sono certo che i miei mentori non ne hanno mai parlato.
Un contadino mi dice: «Non si puĂČ vivere solo di vegetali, perchĂ© non ci danno le sostanze per formare le ossa», e per questo dedica una buona parte della sua giornata a fornire al suo organismo le materie prime necessarie alla formazione delle ossa; ma, mentre parla, cammina dietro i suoi buoi, i quali, con le loro ossa cresciute a vegetali, trascinano lui e lâaratro, superando ogni ostacolo. In certi posti malsani, certi generi alimentari sono davvero indispensabili per la vita, mentre in altri sono semplici oggetti di lusso, e in altri ancora completamente sconosciuti.
Ad alcuni sembra che lâintera distesa dellâumano sia stata percorsa ed esplorata, da chi lo ha preceduto, le alture e le valli, e che si sia provveduto a tutto. Secondo Evelyn6, «il sapiente Salomone prescrisse la distanza esatta da tenersi nel piantare gli alberi, e i pretori romani avevano stabilito ogni quanto tempo era permesso andare a raccogliere le ghiande sul terreno del vicino senza commettere reato, e quale parte del raccolto spettasse al proprietario».
Ippocrate ha lasciato scritto persino il modo in cui dovremmo tagliarci le unghie, alla pari, cioĂš, con la punta delle dita: nĂ© piĂș lunghe, nĂ© piĂș corte. Il tedio e la noia che pensa abbiano consumato la gioia e la diversitĂ della vita sono, senza dubbio, vecchi quanto Adamo. Ma le capacitĂ umane non le ha mai misurate nessuno e non possiamo giudicare ciĂČ che lâuomo Ăš in grado di fare basandoci sul passato, tanto sono poche le cose che abbiamo provato nel corso del tempo. Qualunque siano stati i tuoi insuccessi fino a ora «non disperare, figlio mio, perchĂ© chi potrĂ assegnarti ciĂČ che ancora ti resta da compiere?»7.
Potremmo mettere alla prova la nostra vita in mille semplici modi, pensando per esempio al sole che fa maturare i miei fagioli, e allo stesso tempo illumina un sistema di mondi come il nostro. Se me ne fossi ricordato non avrei commesso molti sbagli. Non ho seminato in questa luce! Le stelle sono il vertice di quanti meravigliosi triangoli! Quanti esseri sparsi nei recessi piĂș distanti e diversi dellâuniverso contemplano le stesse forme nel medesimo istante! La natura e la vita umana sono varie quanto i nostri modi dâessere. Chi puĂČ dire cosa offre la vita agli altri? CâĂš un miracolo piĂș grande del riuscire a guardarci lâun lâaltro negli occhi per un istante? Dovremmo vivere tutti i secoli del mondo in unâora, anzi, vivere insieme tutti i mondi lungo i secoli. Storia, Poesia, Mitologia! Non conosco nessuno studio dellâesperienza altrui altrettanto istruttivo e sconvolgente.
Sono convinto che la maggior parte di ciĂČ che gli uomini reputano buono Ăš cattiva; e se mi pento di qualcosa, molto probabilmente mi pento delle mie buone maniere. Quale demonio si impossessĂČ di me, perchĂ© io mi comportassi cosĂ bene? Vecchio, puoi dirmi la cosa piĂș saggia che sai â tu che hai vissuto settantâanni non certo senza onore â ma io sento una voce irresistibile che mi spinge a starne il piĂș lontano possibile. Una generazione abbandona le imprese della precedente come si fugge da una nave naufragata.
Io credo che potremmo avere molta piĂș fiducia di quanta ne abbiamo. E potremmo liberarci dallâapprensione per noi stessi se ci donassimo sinceramente ad altro. La natura si adatta alla nostra forza come alla nostra debolezza. La continua ansia, la tensione di alcuni di noi Ăš quasi una forma incurabile di malattia. Tendiamo a esagerare lâimportanza del lavoro che compiamo, eppure quanto di questo non Ăš opera nostra! Cosa succederebbe se ci ammalassimo? Come siamo vigili! Deci...