Walden
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Walden

ovvero Vita nei boschi

Henry David Thoreau, Luca Lamberti

  1. 320 páginas
  2. Italian
  3. ePUB (apto para móviles)
  4. Disponible en iOS y Android
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Walden

ovvero Vita nei boschi

Henry David Thoreau, Luca Lamberti

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Índice
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Información del libro

Come può un libro all'apparenza cosí remoto nel tempo e nello sguardo sul mondo parlare come pochi altri al nostro presente? Walden è il diario di due anni, due mesi e due giorni di vita solitaria trascorsi da Thoreau nella campagna del Massachusetts, in un capanno sulle rive del lago Walden. A queste pagine militanti e risolute, oltre un secolo dopo, si ispireranno i movimenti ecologisti e ambientalisti di mezzo mondo. Ma Walden è, soprattutto, un inno all'isolamento, il resoconto di un ritorno alla natura, per arrivare dritti al cuore smarrito delle cose. «Andai nei boschi perché desideravo vivere in modo autentico, per affrontare soltanto i problemi essenziali della vita, per vedere se avrei imparato quanto essa aveva da insegnare, e per non scoprire, in punto di morte, di non aver vissuto».

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Información

Editorial
EINAUDI
Año
2015
ISBN
9788858419274

Economia

Quando scrissi le seguenti pagine, o quantomeno la maggior parte di esse, vivevo in solitudine tra i boschi a un miglio di distanza da qualsiasi vicino, in una casa che mi sono costruito sulla riva del lago Walden, a Concord, Massachusetts, mantenendomi con il lavoro delle mie sole braccia. Vissi là due anni e due mesi e ora sono tornato nuovamente tra gli uomini civili. Non annoierei i miei lettori con ciò che riguarda tanto il mio privato, se i miei concittadini non mi avessero fatto molte domande precise sul mio modo di vivere, domande che qualcuno chiamerebbe impertinenti, che non mi sembrano tali, ma anzi, tenuto conto delle circostanze, le trovo molto naturali e giustificate. Alcuni di loro mi hanno domandato cosa trovavo da mangiare, se non mi sentivo troppo solo, se avevo paura, e via dicendo. Altri erano curiosi di sapere quante delle mie entrate devolvessi in beneficenza, mentre altri, che hanno una famiglia numerosa, quanti bambini poveri mantenessi. Devo dunque scusarmi con i lettori che non hanno alcun interesse nei miei confronti di perdonarmi, se mi accingo a rispondere a qualcuna di quelle domande in queste pagine. In molti libri, l’io, la prima persona, è omessa; in questo sarà conservata; in termini di egotismo si tratta della differenza principale. Spesso dimentichiamo che dopo tutto è sempre la prima persona che parla. Non parlerei tanto di me stesso se conoscessi qualcun altro bene come mi conosco. Purtroppo, è la mia scarsa esperienza a confinarmi in questo ristretto argomento. D’altra parte, per quanto mi riguarda pretendo da uno scrittore, grande o mediocre che sia, un racconto semplice e sincero della sua vita e non soltanto di quanto ha sentito e capito della vita degli altri uomini; come ne scriverebbe ai suoi parenti da un paese lontano: e dico lontano perché per aver vissuto con sincerità egli deve averlo fatto in un paese lontano dal mio. Forse queste pagine sono rivolte in maniera piú diretta agli studenti poveri; quanto agli altri miei lettori, ne accetteranno soltanto le parti piú vicine al loro stile di vita. Confido che nessuno, leggendo questo libro, debba forzarne le cuciture come indossando una giacca, perché può essere utile davvero solo a coloro cui veste alla perfezione.
Vorrei dire qualche cosa che riguardi non tanto i cinesi o gli abitanti delle isole Sandwich, ma proprio a voi che leggete queste pagine e si dice viviate nel New England; qualcosa sulla vostra vita e soprattutto su quella all’interno della società, in questo nostro mondo, in questa nostra città; per capirla e capire se deve andare per forza cosí male o può essere migliorata.
Ho girato molto a Concord, e ovunque, nei negozi, negli uffici, nei campi, gli uomini mi sono parsi condannati a soffrire in mille modi diversi. Ho sentito dire dei bramini che si espongono a quattro fuochi, guardano in faccia il sole, o stanno sospesi a testa in giú sopra le fiamme; che contemplano il cielo dietro le loro spalle finché non gli è piú possibile riprendere la posizione naturale, tanto che per il contorcimento del collo non possono introdurre nello stomaco altro che sostanze liquide; o che rimangono incatenati per tutta la vita ai piedi di un albero; o che misurano col corpo, strisciando come vermi, l’ampiezza di vasti reami; o che si reggono su una sola gamba in cima a una colonna; persino simili penitenze volontarie non sono tanto piú sorprendenti e incredibili delle scene a cui assisto ogni giorno. Le dodici fatiche di Ercole sembrano niente in confronto alle lotte e alle sofferenze dei miei vicini, perché quelle furono soltanto dodici ed ebbero una conclusione, mentre non ho mai visto gli uomini al mio fianco uccidere o catturare qualche mostro, oppure portare a termine qualche grande impresa. E non hanno un amico come Iolao capace di bruciare la testa dell’Idra alla radice con un ferro infuocato; anzi, nel loro caso, appena una testa è stata schiacciata, ne appaiono altre due.
Vedo dei giovani, miei concittadini, la cui disgrazia è quella di aver ereditato fattorie, case, bestiame e attrezzi agricoli; perché è piú facile ritrovarsele, certe cose, che liberarsene. Sarebbe stato meglio per loro se fossero nati in aperta campagna e allattati da una lupa, perché cosí avrebbero potuto vedere piú chiaramente quale terra erano chiamati a dissodare. Chi li rese servi della gleba? Perché dovrebbero sfamarsi con i loro sessanta acri di terreno, quando l’uomo è condannato a mangiare sempre e solo la sua abbondante porzione di fango? Perché dovrebbero scavarsi la tomba appena nati? Essi devono vivere la vita dell’uomo e trascinarsi dietro tutto questo, cercando di tirare avanti come meglio possono. Quante povere anime immortali ho incontrato quasi oppresse e soffocate sotto tanto peso, striscianti sul cammino della vita, e tutto perché dovevano provvedere a un granaio della capacità di settantacinque piedi per quaranta, alle stalle di Augia1 sempre sporche, a un terreno di cento acri, all’aratura, alla falciatura, alla pastura, al legname! Il diseredato che non deve combattere con tanti impacci trova già abbastanza faticoso domare e nutrire il suo mezzo metro cubo scarso di carne. Ma gli uomini faticano perché vittime di un abbaglio. La parte migliore dell’uomo è ben presto arata nel suolo per servire da letame. Da quello che in apparenza è il fato, di solito chiamato necessità, gli uomini sono condannati, come dice un vecchio libro2, ad accumulare tesori che saranno corrosi dai tarli e dalla ruggine, o violati e depredati dai ladri. È una vita da stolti e se ne accorgeranno quando saranno giunti al suo termine, se non forse prima. Si dice che Deucalione e Pirra creassero uomini gettandosi pietre alle spalle, al di sopra della testa:
Inde genus durum sumus, experiensque laborum;
Et documenta damus, qua simus origine nati3.
Oppure come tradusse Raleigh nel suo verso sonoro:
Da tutto ciò ha origine il nostro cuore duro,
che sopporta dolore e ansia
E ci mostra i nostri corpi,
fatti della natura stessa della pietra4.
Tutto ciò per aver obbedito in modo cieco a un oracolo ingannevole, ed essersi gettati pietre alle spalle senza vedere dove cadessero.
Anche in un paese relativamente libero come questo, la maggior parte degli uomini è cosí presa da false preoccupazioni e oppressa da lavori pesanti e inutili per pura ignoranza ed errore, da non poter piú cogliere i frutti piú delicati della vita, perché le loro dita sono divenute sgraziate e tremanti per la fatica eccessiva. L’uomo che lavora non ha la possibilità di godersi giorno per giorno la sua naturale integrità, non può mantenere rapporti davvero umani con gli altri, perché non sarebbe piú competitivo sul mercato; non ha tempo che di essere una semplice macchina. Come può ricordarsi della propria ignoranza (fondamentale per il suo progresso), quando deve usare continuamente le sue conoscenze? Per saperne il valore, noi dovremmo nutrirlo e vestirlo gratuitamente e offrirgli qualcosa da bere. Per essere conservate, le qualità piú pure della nostra natura, come certi fiori richiedono le cure piú delicate per sopravvivere. Noi invece non ci trattiamo e non trattiamo gli altri con tanta tenerezza.
Alcuni, lo sappiamo tutti, sono poveri e stentano a vivere, stentano talvolta a tirare il fiato. Io sono certo che qualcuno dei miei lettori non ha la possibilità di pagare tutti i pranzi mangiati finora, i vestiti e le scarpe che sta portando o che ha già consumato; e per leggere queste pagine ha dovuto prendere in prestito o rubare un po’ di tempo, sottraendo cosí un’ora ai suoi creditori. È evidente che molti di voi conducono una vita prudente e in fondo misera; ne sono sicuro perché il mio sguardo con l’esperienza si è affinato; molti di voi sono sempre al limite, cercano di fare affari per tirarsi fuori dai debiti. Male antichissimo, che i latini chiamavano œs alienum, il bronzo degli altri, perché alcune loro monete erano appunto di bronzo; si vive, si muore e si viene sotterrati con il bronzo degli altri; sempre a promettere di pagare, di pagare domani, per poi morire oggi insolventi. Sempre a ingraziarsi qualcuno alla ricerca di credito in tutti i modi meno quelli che infrangono il codice penale. Sempre a mentire, lusingare, votare, a farsi piccoli per essere cortesi, a espandersi in un’atmosfera sottile e inconsistente di generosità, per persuadere il vicino a farsi fare un paio di scarpe, un cappello, un vestito, una carrozza, o a comprare degli alimentari. A consumarsi la salute e poter mettere da parte qualcosa per il triste giorno in cui saranno malati, qualcosa nascosto in una cassetta o in una calza dietro un muro, o per maggior sicurezza nel materasso (la banca delle brave persone), non importa dove, non importa se molto o poco.
Io talvolta mi meraviglio come si possa essere cosí superficiali, se cosí si può dire, da interessarsi a una forma brutale ma in qualche modo distante di schiavitú come quella dei negri, mentre ci sono tanti altri padroni scaltri che schiavizzano il Nord come il Sud. È duro essere sottoposto a un negriero del Sud, peggio ancora a uno del Nord, ma è peggio di tutto essere noi stessi i nostri negrieri. E poi si parla della divinità insita nell’uomo! Guardate il carrettiere in strada giorno e notte per andare al mercato; quale divinità si agita in lui? Il suo dovere piú alto è quello di foraggiare e abbeverare i cavalli. Che importanza ha per lui il suo destino al paragone delle merci che trasporta? Non lavora forse per un padrone prepotente? In che cosa è divino, in che cosa è immortale? Guardate come si fa piccolo e sta ai margini, e come vive tutto il giorno nella paura, non come un essere immortale e divino, ma schiavo e prigioniero dell’opinione che ha di se stesso, del destino scritto in ciò che fa. L’opinione pubblica non è nulla paragonata a quella che abbiamo di noi stessi. Ciò che un uomo pensa di sé determina o meglio indica la sua strada. Quale Wilberforce5 lotterà per l’autoemancipazione nell’India orientale della nostra fantasia e della nostra immaginazione? Pensate alle signore che si preparano al giorno del Giudizio ricamando il proprio corredo, attente a non tradire troppo interesse per il loro destino. Come se potessimo ammazzare il tempo senza offendere l’eternità.
La massa degli uomini conduce una vita di quieta disperazione; quella che si chiama rassegnazione, è disperazione istituzionalizzata. Dalla città disperata andate nella campagna disperata, e per consolarvi non vi resta altro che l’audacia delle martore e dei topi muschiati. Un’angoscia stereotipata ma profonda si annida anche nei cosí detti giochi e passatempi; non ci danno piacere, perché vengono solo dopo il lavoro. Ma una caratteristica della saggezza è quella di non commettere azioni disperate.
Quando consideriamo qual è il fine principale dell’uomo, per usare un’espressione del catechismo, e quali sono le vere necessità e ricchezze della vita, ci sembra che gli uomini abbiano scelto il modo di vivere attuale perché lo preferivano a qualunque altro. Pensano onestamente che non gli sia stata concessa alcuna scelta. Ma le nature attente e in salute rammentano che il sole sorse limpido. Non è mai troppo tardi per liberarsi dai pregiudizi. Non ci si può fidare di nessun modo di fare o di pensare, per quanto consueto, senza averne prima sperimentata la verità. Ciò che passa per vero oggi, apertamente o meno, può rivelarsi falso domani, semplice fumo di opinioni che qualcuno aveva sperato potesse essere una nube carica di pioggia ristoratrice per i suoi campi. Quello che i vecchi vi dicono che non sarete in grado di fare, provatelo, e vedrete che ci riuscirete. Azioni vecchie per gente vecchia, per la gente nuova occorrono nuove azioni. Gli antichi non sapevano neppure procurarsi il combustibile per alimentare il fuoco; i moderni mettono legna secca sotto le loro pentole e vagano per il globo a una velocità tale da uccidere gli antichi. Le persone mature non sono certo insegnanti migliori dei giovani, perché sono piú le cose che hanno perso rispetto a quelle di cui hanno saputo approfittare. Si può anche dubitare che gli uomini abbiano davvero imparato qualcosa di utile dal solo fatto di vivere. In realtà i vecchi non hanno consigli importanti da dare ai giovani, poiché la loro esperienza è stata parziale e la loro vita un triste fallimento, non certo per colpa loro, o almeno cosí sono costretti a credere. Può darsi però che abbiano ancora un po’ di speranza per smentire la loro esperienza e che siano solo meno giovani di quel che erano prima. Ho vissuto circa trent’anni su questo pianeta, eppure devo ancora sentire la prima sillaba di un consiglio prezioso o almeno sincero in bocca a qualcuno piú vecchio di me. Non mi hanno detto niente e forse non possono dirmi nulla che serva allo scopo. La vita è un esperimento che in gran parte non ho ancora provato, e il fatto che i vecchi lo abbiano fatto non mi è di alcun giovamento. Se posseggo un po’ di esperienza che stimo preziosa, sono certo che i miei mentori non ne hanno mai parlato.
Un contadino mi dice: «Non si può vivere solo di vegetali, perché non ci danno le sostanze per formare le ossa», e per questo dedica una buona parte della sua giornata a fornire al suo organismo le materie prime necessarie alla formazione delle ossa; ma, mentre parla, cammina dietro i suoi buoi, i quali, con le loro ossa cresciute a vegetali, trascinano lui e l’aratro, superando ogni ostacolo. In certi posti malsani, certi generi alimentari sono davvero indispensabili per la vita, mentre in altri sono semplici oggetti di lusso, e in altri ancora completamente sconosciuti.
Ad alcuni sembra che l’intera distesa dell’umano sia stata percorsa ed esplorata, da chi lo ha preceduto, le alture e le valli, e che si sia provveduto a tutto. Secondo Evelyn6, «il sapiente Salomone prescrisse la distanza esatta da tenersi nel piantare gli alberi, e i pretori romani avevano stabilito ogni quanto tempo era permesso andare a raccogliere le ghiande sul terreno del vicino senza commettere reato, e quale parte del raccolto spettasse al proprietario».
Ippocrate ha lasciato scritto persino il modo in cui dovremmo tagliarci le unghie, alla pari, cioè, con la punta delle dita: né piú lunghe, né piú corte. Il tedio e la noia che pensa abbiano consumato la gioia e la diversità della vita sono, senza dubbio, vecchi quanto Adamo. Ma le capacità umane non le ha mai misurate nessuno e non possiamo giudicare ciò che l’uomo è in grado di fare basandoci sul passato, tanto sono poche le cose che abbiamo provato nel corso del tempo. Qualunque siano stati i tuoi insuccessi fino a ora «non disperare, figlio mio, perché chi potrà assegnarti ciò che ancora ti resta da compiere?»7.
Potremmo mettere alla prova la nostra vita in mille semplici modi, pensando per esempio al sole che fa maturare i miei fagioli, e allo stesso tempo illumina un sistema di mondi come il nostro. Se me ne fossi ricordato non avrei commesso molti sbagli. Non ho seminato in questa luce! Le stelle sono il vertice di quanti meravigliosi triangoli! Quanti esseri sparsi nei recessi piú distanti e diversi dell’universo contemplano le stesse forme nel medesimo istante! La natura e la vita umana sono varie quanto i nostri modi d’essere. Chi può dire cosa offre la vita agli altri? C’è un miracolo piú grande del riuscire a guardarci l’un l’altro negli occhi per un istante? Dovremmo vivere tutti i secoli del mondo in un’ora, anzi, vivere insieme tutti i mondi lungo i secoli. Storia, Poesia, Mitologia! Non conosco nessuno studio dell’esperienza altrui altrettanto istruttivo e sconvolgente.
Sono convinto che la maggior parte di ciò che gli uomini reputano buono è cattiva; e se mi pento di qualcosa, molto probabilmente mi pento delle mie buone maniere. Quale demonio si impossessò di me, perché io mi comportassi cosí bene? Vecchio, puoi dirmi la cosa piú saggia che sai – tu che hai vissuto settant’anni non certo senza onore – ma io sento una voce irresistibile che mi spinge a starne il piú lontano possibile. Una generazione abbandona le imprese della precedente come si fugge da una nave naufragata.
Io credo che potremmo avere molta piú fiducia di quanta ne abbiamo. E potremmo liberarci dall’apprensione per noi stessi se ci donassimo sinceramente ad altro. La natura si adatta alla nostra forza come alla nostra debolezza. La continua ansia, la tensione di alcuni di noi è quasi una forma incurabile di malattia. Tendiamo a esagerare l’importanza del lavoro che compiamo, eppure quanto di questo non è opera nostra! Cosa succederebbe se ci ammalassimo? Come siamo vigili! Deci...

Índice

  1. Copertina
  2. Walden
  3. Il ragazzo e il lago di Paolo Cognetti
  4. Walden, ovvero Vita nei boschi
  5. Economia
  6. Dove vivevo e per cosa vivevo
  7. La lettura
  8. I suoni
  9. Solitudine
  10. Gli ospiti
  11. Il campo di fagioli
  12. Il villaggio
  13. I laghi
  14. «Baker Farm»
  15. Leggi piú alte
  16. Vicini bruti
  17. Il riscaldamento della casa
  18. Gli abitanti precedenti e i visitatori d’inverno
  19. Animali d’inverno
  20. Il lago in inverno
  21. La primavera
  22. Conclusione
  23. Il libro
  24. L’autore
  25. Copyright
Estilos de citas para Walden

APA 6 Citation

Thoreau, H. D. (2015). Walden ([edition unavailable]). EINAUDI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3427389/walden-ovvero-vita-nei-boschi-pdf (Original work published 2015)

Chicago Citation

Thoreau, Henry David. (2015) 2015. Walden. [Edition unavailable]. EINAUDI. https://www.perlego.com/book/3427389/walden-ovvero-vita-nei-boschi-pdf.

Harvard Citation

Thoreau, H. D. (2015) Walden. [edition unavailable]. EINAUDI. Available at: https://www.perlego.com/book/3427389/walden-ovvero-vita-nei-boschi-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Thoreau, Henry David. Walden. [edition unavailable]. EINAUDI, 2015. Web. 15 Oct. 2022.