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Corano
Nellâestate del 2015 Susan Worrall, direttrice delle collezioni speciali (la Cadbury Research Library) dellâUniversitĂ di Birmingham, annunciò il ritrovamento di due fogli di un Corano antichissimo, forse il piĂš antico di tutti. In base alle indagini condotte col radiocarbonio, la pergamena su cui era trascritto risaliva, con unâaccuratezza del 95,4%, a un periodo compreso fra il 568 e il 645 d.C. La notizia, che rimbalzò immediatamente sui media, era che lâestremo meno recente della forbice, il 568, era addirittura antecedente alla data di nascita (570 circa) del portatore della profezia coranica, Muhammad*.
Gli studiosi iniziarono subito a interrogarsi. Ci fu chi notò, giustamente, che le indagini erano state condotte sulla pergamena e non sullâinchiostro, sottolineando che la fortuna di quel materiale scrittorio â la pelle animale â nella storia dellâumanità è dovuta, anche, alla possibilitĂ di un suo riuso (tanti rari testi di autori antichi sono stati ritrovati, grazie alle tecnologie oggi disponibili, âsottoâ ad altri testi). La datazione della pergamena, dunque, poteva figurare come anacronistica rispetto al periodo di attivitĂ di Muhammad, ma ciò significava ben poco. Altri studiosi misero in evidenza il fatto che gli inchiostri rossi, presenti sulla pergamena, non erano in uso allâepoca di Muhammad (cominciarono ad essere utilizzati nei decenni a seguire). Inoltre a quel tempo il Corano non era ancora stato organizzato in brani (le sure) con un ordine stabilito, nĂŠ ridotto alla forma di un vero e proprio libro, mentre tutti i segnali presenti sulle due pagine, a cominciare dalla presenza di una intestazione, facevano pensare il contrario. Dai primi studi sul contenuto del manoscritto emerse che le varianti rispetto al testo coranico accettato erano del tutto secondarie, conclusione analoga a quella cui erano giunti nei decenni precedenti altri studiosi che avevano analizzato altre copie molto antiche del Corano.
Tutte queste considerazioni, che rendevano la notizia certamente meno appetitosa, furono per lo piĂš ignorate. Nel soppesarne il valore scientifico e nel leggerne le implicazioni dal punto di vista religioso e culturale, i media operarono drastiche riduzioni e, talvolta, malevole mistificazioni. I giornalisti piĂš avidi di scoop giunsero addirittura alla conclusione che lâIslam era âuna bufalaâ e Muhammad un truffatore. Certamente, al di lĂ di questi evidenti pregiudizi, dietro a molte di quelle semplificazioni câera una genuina volontĂ di capire, unita a una malintesa percezione del luogo comune secondo cui lâIslam è la âreligione del libroâ per eccellenza, fatto che, considerando lâimportanza che i musulmani attribuiscono al Corano, può sommariamente dirsi vero.
Il Corano è, in effetti, la fonte imprescindibile della fede (vedi Iman*), della Legge (shariâa) e della teoÂlogia (kalam) islamiche, che âabrogaâ le rivelazioni precedenti e rappresenta il punto di fuoco attorno al quale si realizzerĂ lâelaborazione religiosa, scientifica e letteraria dellâIslam. La struttura attuale del Corano, il metodo con cui è stato raccolto e le caratteristiche che i fedeli musulmani ritengono che abbia sulla base soprattutto delle descrizioni che il Corano fa di sĂŠ, lo rendono infatti un dispositivo culturale molto complesso, un unicum che non trova paralleli nella storia umana.
Innanzitutto, il Corano è âparola di Dioâ (vedi Allah*). La sua peculiaritĂ , ciò che lo rende profondamente diverso da altri testi sacri, è di essere opera esclusiva di un âautore divinoâ, di riportare fedelmente quanto detto dalla divinitĂ (per questo motivo il Corano è considerato dai musulmani intraducibile): Muhammad, il messaggero (rasul) dellâIslam, non traduce nĂŠ interpreta il messaggio, si limita ad annunciarlo sotto dettatura, in brani, dopo che in lui è âdiscesaâ la profezia (per il tramite dellâarcangelo Gabriele).
In quanto parola di Dio, il Corano non è paragonabile per importanza alle altre fonti dellâIslam. I pur fondamentali racconti (hadith) sulla vita, i detti e gli atti di Muhammad (la cui emulazione è raccomandata nel Corano) che costituiscono il corpus denominato sunna, sono semplici cronache i cui autori, seppure devoti, sono soltanto esseri umani.
Una delle conseguenze della trascrizione e redazione del Corano â ossia del momento in cui diventa âIl Libroâ, costituendo cosĂŹ lâautoritĂ fondante di un intero sistema di sapere e di una intera societĂ â è proprio la nobilitazione del concetto, pressochĂŠ inesistente nella societĂ araba preislamica, di scrittura intesa come composizione autoriale: scrivere un testo equivale a fissarlo e a renderlo il piĂš possibile immutabile; firmarlo poi (o attribuirlo a un autore attendibile) significa conferirgli autoritĂ . Anche grazie a ciò sarĂ ammissibile, e finanche raccomandabile, scrivere le raccolte di hadith, o la âbiografia del profetaâ (sira), o la narrazione storica di eventi importanti, o anche un trattato di grammatica.
La prima fondamentale caratteristica del Corano âin quanto libroâ è quella di essere la fissazione per iscritto di un messaggio orale. La âparola di Dioâ in esso riportata è elaborata a priori, è una composizione preesistente alla sua trasmissione. Quella che, a beneficio degli uomini, diverrĂ prima una recitazione (qurâan) e poi un âoggetto-libroâ (kitab) è infatti concepita come parte di unâentitĂ a sĂŠ stante, perfetta, definitiva e stabilita una volta per tutte. Al momento della sua rivelazione il Corano è giĂ scritto (mastur, âvergato, tracciatoâ) e conservato in una sorta di entitĂ archetipale, la âMadre del Libroâ (umm al-kitab), che si trova presso Dio. Uno dei vari passi coranici in merito cosĂŹ recita: âNoi ne facemmo un Corano arabo perchĂŠ vi sia comprensibile, ed esso, eccelso e sapientissimo, si trova nella Madre del Libro presso di Noiâ.
PoichĂŠ lâopera coranica è scissa dalla sua espressione terrena, orale o scritta che sia, lâoggetto-libro che ne scaturisce sarĂ soltanto la sua messa in pagina. Inoltre, dal punto di vista religioso, la presenza di un âlibro-Coranoâ in carta o in pergamena non renderĂ meno importante la sua recitazione, forma nella quale esso è stato originariamente trasmesso. Tanto piĂš che Dio comanda a Muhammad di recitare (o tuttâal piĂš leggere) il suo messaggio, e questi, durante lâintera sua vita, non si preoccuperĂ di fissarlo per iscritto. Un fatto che spiega perchĂŠ la cultura religiosa musulmana attribuisce grande importanza alla trasmissione orale di contenuti religiosi, e considera la memorizzazione del Corano un atto particolarmente meritorio. Accanto alla fissazione per iscritto del Corano, dâaltronde, si sistematizzerĂ un sapere riguardante la sua recitazione, che conserverĂ diverse varianti stilistiche; la lettura corretta del Corano sarĂ soggetta a regole ben definite, formulate in una delle scienze coraniche, la âscienza della letturaâ.
La resa del Corano in un unico oggetto-libro si deve allâiniziativa del terzo califfo (cfr. la Cronologia in fondo al volume), âUthman bin âAffan (644-656), che ordina la collezione, la collazione e la definitiva fissazione dei diversi brani coranici, memorizzati e recitati o messi per iscritto da pii fedeli sui supporti piĂš diversi. Ciò avviene perchĂŠ giĂ pochi anni dopo la sua discesa, la recitazione divina rischiava di espandersi a dismisura in varianti che avrebbero compromesso lâunivocitĂ e dunque lâautorevolezza del messaggio originario.
Il Corano, cosĂŹ assemblato, è tuttavia ancora unâentitĂ mobile e incerta. Al tempo della rivelazione e per i decenni a seguire, la composizione letteraria, anche la piĂš autoriale, era ben lungi dal trovare nella forma scritta il suo principale veicolo di trasmissione. Lâalfabeto arabo era ancora, allâalba dellâIslam, uno strumento rudimentale, fortemente inadatto alla fissazione inequivocabile di un testo, una ossatura grafica, una sorta di spartito che assiste la lettura di qualcosa che giĂ si conosce a memoria.
SarĂ proprio lâesigenza di una trascrizione affidabile per una registrazione piĂš analitica della profezia coranica a determinare lâintroduzione nella scrittura di nuovi espedienti ortografici. E solo da quel momento la scrittura intesa nella sua accezione di âtratto scrittorioâ, ricevendo un riflesso della sacralitĂ della âparola di Dioâ, evolverĂ in âcalligrafiaâ. Lâaspetto estetico della scrittura diverrĂ poi, nei suoi risvolti artistici, il sostituto iconografico delle immagini umane in tutta lâarte islamica (sebbene anche qui con importanti eccezioni).
Con la cosiddetta vulgata othmaniana del Corano compare per la prima volta in Arabia quella che possiamo definire, con la dovuta considerazione per la sua specificitĂ , unâopera letteraria (densa, fra lâaltro, di elementi narrativi), una composizione il cui autore è individuabile (nellâentitĂ divina) e che viene messa per iscritto in un libro. Questo fatto, di per sĂŠ portatore di implicazioni culturali di grande rilievo, non deve tuttavia oscurare lâaltro aspetto, non meno importante, dellâoperazione compiuta da âUthman: il Corano contiene un buon numero di indicazioni su comportamenti da tenere o obblighi cui ottemperare (vedi Din*) e, una volta fissato, acquista un valore legale: i musulmani considereranno la vulgata anche e soprattutto nella sua dimensione giuridica. NellâArabia preislamica la âscritturaâ (kitaba) ha infatti soprattutto una funzione legale-amministrativa, un libro (kitab) è principalmente un registro sul quale annotare atti.
Dunque, fra le motivazioni che spingono il califfo a fissare il testo coranico câè probabilmente proprio quella â ed è forse la piĂš stringente â di dare al Corano nel suo complesso la forma di un atto legale. Non è casuale, del resto, che nel suo aspetto formale questo kitab assomigli proprio a un registro: lâordine in cui i brani (le sure, in tutto 114) sono organizzati è indipendente dal loro contenuto narrativo, non vi è alcun legame cronologico o tematico fra lâuno e lâaltro brano (e spesso fra gruppi di versetti nella stessa sura).
Il Corano, insomma, non è un racconto, sebbene in esso compaiano diverse narrazioni: è un âfreddoâ elenco di brani ordinati (con qualche eccezione) in base alla loro ampiezza. Un registro la cui compilazione avviene tuttavia ex post, e che assume dunque una forma particolare, essendo anche ispirata a quei libri divini che il Corano stesso descrive: volumi in cui sono meticolosamente registrate tutte le azioni umane prima ancora che siaÂno compiute.
Se dunque da una parte è evidente lâintenzione di fornire col kitab unâattestazione di tipo giuridico, dallâaltra traspare una sia pure abbozzata opera di edizione, resasi necessaria proprio per la natura di raccolta e collezione (e non di sedimentazione cronologica pura e semplice) sottesa allâoperazione. Lâintervento editoriale piĂš chiaro è la collocazione in testa alla collezione di una sura (la âAprenteâ, usata per la preghiera) che non segue il criterio di ampiezza (è fra le piĂš corte del Corano). In testa a ogni sura â fa eccezione solo la nona â sono poi inseriti un titolo, costituito da una parola che ricorre nella sura stessa e la individua, e una basmala â termine col quale si indica la frase Bismillah al-Rahman al-Rahim (âin nome di Dio, Clemente e Misericordiosoâ) che fa da incipit alle sure e viene recitata prima di ogni atto di culto â, la quale con ogni probabilitĂ non faceva parte della recitazione originaria.
Ad ogni sura non corrisponde sempre una singola rivelazione e ciò, oltre a rafforzare lâidea che ogni sura sia stata raccolta con lâintenzione di riportarne il testo nel modo esatto in cui è stato fissato, sta a indicare ancora una volta che al tempo della vulgata erano giĂ presenti versioni varianti delle rivelazioni messe per iscritto, fra le quali i compilatori dovettero scegliere. Stessa osservazione vale quando, in esordio di una sura, incontriamo lettere sparse alle quali non corrisponde un senso compiuto: sono, con ogni probabilitĂ , la testimonianza della presenza di versioni testuali sulle quali è stata eseguita la redazione finale.