Islam in 20 parole
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Islam in 20 parole

Lorenzo Declich

  1. 224 pages
  2. Italian
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Islam in 20 parole

Lorenzo Declich

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Venti parole chiave, da 'Jihad' a 'Economia', da 'Donne' a 'Modernità', per capire l'Islam e andare oltre gli stereotipi che troppo spesso sentiamo in politica e nei media.

Questo è un libro da portare con sé e da sfogliare ogni qual volta ci imbattiamo in discorsi, concetti e dibattiti in cui l'Islam viene trattato in maniera frettolosa e stereotipata. Ma è anche un viaggio, da fare tutto d'un fiato, nel mondo islamico e in ciò che dell'Islam si dice e si pensa oggi. Le 20 parole rappresentano tappe di un itinerario che tocca storia, cultura e religione, antropologia e sociologia, economia e politica. Alcune – Allah e jihad ad esempio – sono ormai sulla bocca di tutti. Altre – come din (religione), umma (comunità) e iman (fede) – sono meno conosciute ma altrettanto essenziali. Altre ancora, come islamofobia e terrorismo, affrontano direttamente i nodi sui quali si concentra il 'discorso pubblico sull'Islam'. Alla base di tutto c'è la curiosità verso mentalità, popoli e storie di un mondo che ancora conosciamo poco e che ha sempre esercitato grande fascino. Oggi più che mai è importante imparare a conoscerlo.

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Informations

Année
2016
ISBN
9788858125625

1.
Corano

Nell’estate del 2015 Susan Worrall, direttrice delle collezioni speciali (la Cadbury Research Library) dell’Università di Birmingham, annunciò il ritrovamento di due fogli di un Corano antichissimo, forse il più antico di tutti. In base alle indagini condotte col radiocarbonio, la pergamena su cui era trascritto risaliva, con un’accuratezza del 95,4%, a un periodo compreso fra il 568 e il 645 d.C. La notizia, che rimbalzò immediatamente sui media, era che l’estremo meno recente della forbice, il 568, era addirittura antecedente alla data di nascita (570 circa) del portatore della profezia coranica, Muhammad*.
Gli studiosi iniziarono subito a interrogarsi. Ci fu chi notò, giustamente, che le indagini erano state condotte sulla pergamena e non sull’inchiostro, sottolineando che la fortuna di quel materiale scrittorio – la pelle animale – nella storia dell’umanità è dovuta, anche, alla possibilità di un suo riuso (tanti rari testi di autori antichi sono stati ritrovati, grazie alle tecnologie oggi disponibili, “sotto” ad altri testi). La datazione della pergamena, dunque, poteva figurare come anacronistica rispetto al periodo di attività di Muhammad, ma ciò significava ben poco. Altri studiosi misero in evidenza il fatto che gli inchiostri rossi, presenti sulla pergamena, non erano in uso all’epoca di Muhammad (cominciarono ad essere utilizzati nei decenni a seguire). Inoltre a quel tempo il Corano non era ancora stato organizzato in brani (le sure) con un ordine stabilito, né ridotto alla forma di un vero e proprio libro, mentre tutti i segnali presenti sulle due pagine, a cominciare dalla presenza di una intestazione, facevano pensare il contrario. Dai primi studi sul contenuto del manoscritto emerse che le varianti rispetto al testo coranico accettato erano del tutto secondarie, conclusione analoga a quella cui erano giunti nei decenni precedenti altri studiosi che avevano analizzato altre copie molto antiche del Corano.
Tutte queste considerazioni, che rendevano la notizia certamente meno appetitosa, furono per lo più ignorate. Nel soppesarne il valore scientifico e nel leggerne le implicazioni dal punto di vista religioso e culturale, i media operarono drastiche riduzioni e, talvolta, malevole mistificazioni. I giornalisti più avidi di scoop giunsero addirittura alla conclusione che l’Islam era “una bufala” e Muhammad un truffatore. Certamente, al di là di questi evidenti pregiudizi, dietro a molte di quelle semplificazioni c’era una genuina volontà di capire, unita a una malintesa percezione del luogo comune secondo cui l’Islam è la “religione del libro” per eccellenza, fatto che, considerando l’importanza che i musulmani attribuiscono al Corano, può sommariamente dirsi vero.
Il Corano è, in effetti, la fonte imprescindibile della fede (vedi Iman*), della Legge (shari‘a) e della teo­logia (kalam) islamiche, che “abroga” le rivelazioni precedenti e rappresenta il punto di fuoco attorno al quale si realizzerà l’elaborazione religiosa, scientifica e letteraria dell’Islam. La struttura attuale del Corano, il metodo con cui è stato raccolto e le caratteristiche che i fedeli musulmani ritengono che abbia sulla base soprattutto delle descrizioni che il Corano fa di sé, lo rendono infatti un dispositivo culturale molto complesso, un unicum che non trova paralleli nella storia umana.
Innanzitutto, il Corano è “parola di Dio” (vedi Allah*). La sua peculiarità, ciò che lo rende profondamente diverso da altri testi sacri, è di essere opera esclusiva di un “autore divino”, di riportare fedelmente quanto detto dalla divinità (per questo motivo il Corano è considerato dai musulmani intraducibile): Muhammad, il messaggero (rasul) dell’Islam, non traduce né interpreta il messaggio, si limita ad annunciarlo sotto dettatura, in brani, dopo che in lui è “discesa” la profezia (per il tramite dell’arcangelo Gabriele).
In quanto parola di Dio, il Corano non è paragonabile per importanza alle altre fonti dell’Islam. I pur fondamentali racconti (hadith) sulla vita, i detti e gli atti di Muhammad (la cui emulazione è raccomandata nel Corano) che costituiscono il corpus denominato sunna, sono semplici cronache i cui autori, seppure devoti, sono soltanto esseri umani.
Una delle conseguenze della trascrizione e redazione del Corano – ossia del momento in cui diventa “Il Libro”, costituendo così l’autorità fondante di un intero sistema di sapere e di una intera società – è proprio la nobilitazione del concetto, pressoché inesistente nella società araba preislamica, di scrittura intesa come composizione autoriale: scrivere un testo equivale a fissarlo e a renderlo il più possibile immutabile; firmarlo poi (o attribuirlo a un autore attendibile) significa conferirgli autorità. Anche grazie a ciò sarà ammissibile, e finanche raccomandabile, scrivere le raccolte di hadith, o la “biografia del profeta” (sira), o la narrazione storica di eventi importanti, o anche un trattato di grammatica.
La prima fondamentale caratteristica del Corano “in quanto libro” è quella di essere la fissazione per iscritto di un messaggio orale. La “parola di Dio” in esso riportata è elaborata a priori, è una composizione preesistente alla sua trasmissione. Quella che, a beneficio degli uomini, diverrà prima una recitazione (qur’an) e poi un “oggetto-libro” (kitab) è infatti concepita come parte di un’entità a sé stante, perfetta, definitiva e stabilita una volta per tutte. Al momento della sua rivelazione il Corano è già scritto (mastur, “vergato, tracciato”) e conservato in una sorta di entità archetipale, la “Madre del Libro” (umm al-kitab), che si trova presso Dio. Uno dei vari passi coranici in merito così recita: “Noi ne facemmo un Corano arabo perché vi sia comprensibile, ed esso, eccelso e sapientissimo, si trova nella Madre del Libro presso di Noi”8.
Poiché l’opera coranica è scissa dalla sua espressione terrena, orale o scritta che sia, l’oggetto-libro che ne scaturisce sarà soltanto la sua messa in pagina. Inoltre, dal punto di vista religioso, la presenza di un “libro-Corano” in carta o in pergamena non renderà meno importante la sua recitazione, forma nella quale esso è stato originariamente trasmesso. Tanto più che Dio comanda a Muhammad di recitare (o tutt’al più leggere) il suo messaggio, e questi, durante l’intera sua vita, non si preoccuperà di fissarlo per iscritto. Un fatto che spiega perché la cultura religiosa musulmana attribuisce grande importanza alla trasmissione orale di contenuti religiosi, e considera la memorizzazione del Corano un atto particolarmente meritorio. Accanto alla fissazione per iscritto del Corano, d’altronde, si sistematizzerà un sapere riguardante la sua recitazione, che conserverà diverse varianti stilistiche; la lettura corretta del Corano sarà soggetta a regole ben definite, formulate in una delle scienze coraniche, la “scienza della lettura”.
La resa del Corano in un unico oggetto-libro si deve all’iniziativa del terzo califfo (cfr. la Cronologia in fondo al volume), ‘Uthman bin ‘Affan (644-656), che ordina la collezione, la collazione e la definitiva fissazione dei diversi brani coranici, memorizzati e recitati o messi per iscritto da pii fedeli sui supporti più diversi. Ciò avviene perché già pochi anni dopo la sua discesa, la recitazione divina rischiava di espandersi a dismisura in varianti che avrebbero compromesso l’univocità e dunque l’autorevolezza del messaggio originario.
Il Corano, così assemblato, è tuttavia ancora un’entità mobile e incerta. Al tempo della rivelazione e per i decenni a seguire, la composizione letteraria, anche la più autoriale, era ben lungi dal trovare nella forma scritta il suo principale veicolo di trasmissione. L’alfabeto arabo era ancora, all’alba dell’Islam, uno strumento rudimentale, fortemente inadatto alla fissazione inequivocabile di un testo, una ossatura grafica, una sorta di spartito che assiste la lettura di qualcosa che già si conosce a memoria.
Sarà proprio l’esigenza di una trascrizione affidabile per una registrazione più analitica della profezia coranica a determinare l’introduzione nella scrittura di nuovi espedienti ortografici. E solo da quel momento la scrittura intesa nella sua accezione di “tratto scrittorio”, ricevendo un riflesso della sacralità della “parola di Dio”, evolverà in “calligrafia”. L’aspetto estetico della scrittura diverrà poi, nei suoi risvolti artistici, il sostituto iconografico delle immagini umane in tutta l’arte islamica (sebbene anche qui con importanti eccezioni).
Con la cosiddetta vulgata othmaniana del Corano compare per la prima volta in Arabia quella che possiamo definire, con la dovuta considerazione per la sua specificità, un’opera letteraria (densa, fra l’altro, di elementi narrativi), una composizione il cui autore è individuabile (nell’entità divina) e che viene messa per iscritto in un libro. Questo fatto, di per sé portatore di implicazioni culturali di grande rilievo, non deve tuttavia oscurare l’altro aspetto, non meno importante, dell’operazione compiuta da ‘Uthman: il Corano contiene un buon numero di indicazioni su comportamenti da tenere o obblighi cui ottemperare (vedi Din*) e, una volta fissato, acquista un valore legale: i musulmani considereranno la vulgata anche e soprattutto nella sua dimensione giuridica. Nell’Arabia preislamica la “scrittura” (kitaba) ha infatti soprattutto una funzione legale-amministrativa, un libro (kitab) è principalmente un registro sul quale annotare atti.
Dunque, fra le motivazioni che spingono il califfo a fissare il testo coranico c’è probabilmente proprio quella – ed è forse la più stringente – di dare al Corano nel suo complesso la forma di un atto legale. Non è casuale, del resto, che nel suo aspetto formale questo kitab assomigli proprio a un registro: l’ordine in cui i brani (le sure, in tutto 114) sono organizzati è indipendente dal loro contenuto narrativo, non vi è alcun legame cronologico o tematico fra l’uno e l’altro brano (e spesso fra gruppi di versetti nella stessa sura).
Il Corano, insomma, non è un racconto, sebbene in esso compaiano diverse narrazioni: è un “freddo” elenco di brani ordinati (con qualche eccezione) in base alla loro ampiezza. Un registro la cui compilazione avviene tuttavia ex post, e che assume dunque una forma particolare, essendo anche ispirata a quei libri divini che il Corano stesso descrive: volumi in cui sono meticolosamente registrate tutte le azioni umane prima ancora che sia­no compiute.
Se dunque da una parte è evidente l’intenzione di fornire col kitab un’attestazione di tipo giuridico, dall’altra traspare una sia pure abbozzata opera di edizione, resasi necessaria proprio per la natura di raccolta e collezione (e non di sedimentazione cronologica pura e semplice) sottesa all’operazione. L’intervento editoriale più chiaro è la collocazione in testa alla collezione di una sura (la “Aprente”, usata per la preghiera) che non segue il criterio di ampiezza (è fra le più corte del Corano). In testa a ogni sura – fa eccezione solo la nona – sono poi inseriti un titolo, costituito da una parola che ricorre nella sura stessa e la individua, e una basmala – termine col quale si indica la frase Bismillah al-Rahman al-Rahim (“in nome di Dio, Clemente e Misericordioso”) che fa da incipit alle sure e viene recitata prima di ogni atto di culto –, la quale con ogni probabilità non faceva parte della recitazione originaria.
Ad ogni sura non corrisponde sempre una singola rivelazione e ciò, oltre a rafforzare l’idea che ogni sura sia stata raccolta con l’intenzione di riportarne il testo nel modo esatto in cui è stato fissato, sta a indicare ancora una volta che al tempo della vulgata erano già presenti versioni varianti delle rivelazioni messe per iscritto, fra le quali i compilatori dovettero scegliere. Stessa osservazione vale quando, in esordio di una sura, incontriamo lettere sparse alle quali non corrisponde un senso compiuto: sono, con ogni probabilità, la testimonianza della presenza di versioni testuali sulle quali è stata eseguita la redazione finale.
8 Cor. 43: 3-4. Non ci è dato, ovviamente, conoscere i contenuti e la forma celeste della Madre del Libro, se non attraverso descrizioni di carattere metaforico (il Corano, ad esempio, è “vergato su una pergamena srotolata” dice Cor. 52: 2-3). Vedi anche Cor. 13: 59, 56: 78-79, 80: 13-16.

2.
Muhammad

Nel 2010 i media diffusero la notizia secondo cui in Inghilterra e nel Galles il nome proprio più frequentemente dato ai neonati maschi era Muhammad, il nome del profeta dell’Islam. La notizia fece scalpore, venne letta da molti come segno dell’incipiente “invasione musulmana” dell’Europa e da quel momento, alla pubblicazione annuale della “classifica” dei nomi più usati in quei paesi, lo spauracchio veniva puntualmente ritirato fuori. Solo i giornalisti più accurati riportarono un dettaglio importante: l’appellativo, nella classifica dei nomi più usati, appariva in dodici varianti, e le prime due si trovavano al 16° e 36° posto. Nessuno si chiese perché queste varianti esistessero né se, per caso, portassero con sé una qualche informazione rilevante, ad esempio la provenienza degli individui. Nelle cronache esse venivano definite come espressioni diverse di un unico “nome musulmano”, il che effettivamente è vero, ma ciò non significa praticamente nulla, se non – come vedremo – il legame con alcune tradizioni famigliari o di comunità.
Se è vero che la notizia “esisteva” solo perché si era deciso di mettere tutte insieme le varianti di un nome proprio, è vero anche che “Muhammad”, con tutte le sue...

Table des matières

  1. Introduzione
  2. 1. Corano
  3. 2. Muhammad
  4. 3. Allah
  5. 4. Fitna (Divisione)
  6. 5. Umma
  7. 6. Din
  8. 7. Dawla
  9. 8. Jihad
  10. 9. Arabi
  11. 10. Imam
  12. 11. Medio Oriente
  13. 12. Modernità
  14. 13. Politica
  15. 14. Iman (Fede)
  16. 15. Economia
  17. 16. Popoli
  18. 17. Orientalismo
  19. 18. Islamofobia
  20. 19. Terrorismo
  21. 20. Donne
  22. Bibliografia
  23. Cronologia
Normes de citation pour Islam in 20 parole

APA 6 Citation

Declich, L. (2016). Islam in 20 parole ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3460528/islam-in-20-parole-pdf (Original work published 2016)

Chicago Citation

Declich, Lorenzo. (2016) 2016. Islam in 20 Parole. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3460528/islam-in-20-parole-pdf.

Harvard Citation

Declich, L. (2016) Islam in 20 parole. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3460528/islam-in-20-parole-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Declich, Lorenzo. Islam in 20 Parole. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2016. Web. 15 Oct. 2022.