La ragione populista
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La ragione populista

Davide Tarizzo, Ernesto Laclau, Diego Ferrante

  1. 300 Seiten
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La ragione populista

Davide Tarizzo, Ernesto Laclau, Diego Ferrante

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Il ritorno del 'popolo' come categoria politica può esser visto come un contributo al modo di pensare le forme della nostra partecipazione politica in un'epoca segnata dal capitalismo globalizzato.

Il populismo è sempre stato visto come un pericoloso eccesso, capace di mettere a repentaglio le forme politiche di una comunità razionale. Troppo semplicistico, obietta Laclau in questo libro divenuto ormai un classico. Non è forse la politica sopra ogni cosa una faccenda di capi, di leader, di prìncipi in grado di farsi amare dal 'popolo', anche nell'esercizio della loro autorità? Bisogna superare la facile condanna ed essere consapevoli che il populismo opera di fatto nella costruzione di ogni spazio comunitario, democrazia compresa.

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Information

Jahr
2019
ISBN
9788858135785

1.
Populismo:
ambiguità e paradossi

Il populismo, inteso come categoria di analisi politica, ci pone dinanzi a una lunga serie di problemi del tutto particolari. Se da un lato è una nozione ricorrente nell’uso comune, che prende parte alla descrizione di una ampia varietà di movimenti politici, dall’altro tende anche a metterne in luce qualcosa di centrale. A metà strada tra il descrittivo e il normativo, il «populismo» mira ad afferrare qualcosa di cruciale per la comprensione delle realtà politiche e ideologiche alle quali si riferisce. L’apparente vaghezza del concetto non ne incrina l’importanza nel qualificare una certa classe di fenomeni. Malgrado ciò, siamo ben lungi dal comprenderne con chiarezza il contenuto. Una caratteristica persistente della letteratura sul populismo è appunto la riluttanza, o la difficoltà, a dare un significato ben preciso al concetto. La nozione in sé non è chiara, non parliamo poi della sua definizione. Il più delle volte, l’apprensione concettuale è rimpiazzata dal ricorso a un’intuizione non verbale, o dall’enumerazione di una serie di «aspetti salienti» – una salienza minata, mentre la si afferma categoricamente, dalla proliferazione di eccezioni. Ecco un tipico esempio di strategia intellettuale quando si ha a che fare con il «populismo»:
Il populismo in sé tende a rifuggire ogni identificazione o assimilazione alla dicotomia destra/sinistra. È un movimento multiclassista, anche se non tutti i movimenti multiclassisti si possono considerare populistici. Del populismo probabilmente non si può dare alcuna definizione esaustiva. Lasciando da parte questo problema per un istante, va aggiunto che il populismo solitamente contiene ingredienti contrastanti, come la richiesta di pari diritti politici e di partecipazione universale della gente comune, mista però a una sorta di autoritarismo incarnato da una leadership carismatica e indiscussa. Contiene pure ingredienti socialisti (o almeno la richiesta di giustizia sociale), una vigorosa difesa delle piccole proprietà, forti ingredienti nazionalistici, e nega l’importanza delle classi. Esprime una rivendicazione dei diritti della gente comune contro gli interessi delle classi privilegiate, di solito considerate nemiche del popolo e della nazione. Questi elementi possono essere più o meno accentuati a seconda del contesto culturale e sociale, ma sono tutti presenti nella maggior parte dei movimenti populistici1.
Il lettore non avrà problemi ad ampliare la lista di aspetti salienti stilata da Germani, o viceversa a individuare movimenti populistici da cui alcuni di essi sono assenti. In questo caso, l’unica cosa che ci rimane in mano è l’impossibilità di definire il termine – un risultato certo non soddisfacente nel campo dell’analisi sociale.
Mi piacerebbe, sin dall’inizio, avanzare un’ipotesi che possa orientare la nostra indagine teorica: l’impasse che la teoria politica sperimenta nel caso del populismo non è affatto accidentale, ma è dovuta alla limitatezza degli strumenti ontologici attualmente utilizzati nelle analisi politiche; il «populismo», luogo di intoppi e ostacoli teoretici, rispecchia quindi alcuni limiti inerenti alla teoria politica quando si tratta di capire come gli agenti sociali «totalizzino» l’insieme delle loro esperienze politiche. Per sviluppare questa ipotesi, vorrei cominciare con l’analizzare alcuni tentativi recenti di far fronte all’apparente intrattabilità del problema del populismo. Prenderò come esempi il primo lavoro di Margaret Canovan2 e alcuni saggi tratti da un volume famoso sull’argomento, curato da Ghita Ionescu ed Ernest Gellner3.

«Impasse» nella letteratura sul populismo

Data la «vaghezza» del concetto di populismo e la molteplicità di fenomeni che sono stati così etichettati, si potrebbe pensare a una prima strategia intellettuale: non distanziarsi dalla molteplicità dei fenomeni, soggiornarvi, e analizzare la gamma di casi empirici che il concetto comprende, per trarne conclusioni circoscritte al raffronto limitato e descrittivo dei casi. Questo è appunto ciò che Canovan prova a fare nel suo lavoro, passando in rassegna fenomeni assai diversi tra loro, come il populismo americano, i narodniki russi, i movimenti agrari europei dopo la Prima guerra mondiale, il Credito sociale ad Alberta e il peronismo in Argentina (tra i tanti).
Vale la pena soffermarsi un istante sul modo in cui Canovan si occupa di questa varietà di fenomeni (cercando di padroneggiarla mediante una tipologia) e sulle conclusioni che poi ne trae. Canovan è perfettamente consapevole della pluralità di definizioni del populismo offerte dalla letteratura esistente. Questa è la lista di definizioni che ci propone:
1. «Il socialismo che [emerge] nei paesi agrari arretrati, affrontando i problemi della modernizzazione»
2. «Fondamentalmente l’ideologia della piccola classe rurale minacciata dall’avanzare dell’industria e del capitale finanziario»
3. «Fondamentalmente [...] un movimento rurale che cerca di affermare i valori tradizionali in una società in mutamento»
4. «La convinzione che l’opinione maggioritaria del popolo sia controllata da un’élite minoritaria»
5. «Ogni credo o movimento basato sulle seguenti premesse: le virtù risiedono nella gente semplice, che è la stragrande maggioranza, e nelle sue tradizioni collettive»
6. «Il populismo proclama che il volere del popolo in quanto tale ha la priorità su ogni altra cosa»
7. «Un movimento politico che si avvale del supporto della massa della classe operaia urbanizzata o contadina, ma non nasce da un’autonoma e spontanea organizzazione di potere di uno di questi due settori»4.
Dinanzi a fenomeni così eterogenei, Canovan ritiene importante distinguere tra un populismo agrario e uno non necessariamente rurale ma essenzialmente politico, basato sulla relazione tra «il popolo» e le élites. Prendendo spunto da questa distinzione, Canovan tratteggia la seguente tipologia:
Populismi agrari
1. Radicalismo dei contadini (US People’s Party)
2. Movimenti contadini (The Eastern European Green Rising)
3. Socialismo agrario di stampo intellettuale (i narodniki)
Populismi politici
4. Dittatura populista (Perón)
5. Democrazia populista (appello a referendum e ad altre forme di «partecipazione»)
6. Populismo reazionario (George Wallace e i suoi seguaci)
7. Populismo dei politici (vaste coalizioni senza una chiara impronta ideologica, che si basano sul richiamo all’unità del «popolo»)5.
La prima cosa da notare è che in questa classificazione manca un criterio coerente attorno al quale ruotino le distinzioni. In che senso i populismi agrari non sono anche politici? E qual è la relazione tra gli aspetti sociali e gli aspetti politici dei populismi politici che conduce a una mobilitazione politica diversa da quella agraria? Pare quasi che Canovan abbia preso gli aspetti più visibili di una serie di movimenti scelti a caso e abbia poi forgiato i suoi tipi a partire da qui. Ma è difficile definire questa una tipologia. Che cosa garantisce che le categorie siano esclusive e non si sovrappongano l’una all’altra (il che nella realtà fattuale accade regolarmente, come l’autrice stessa ammette)?
Si potrebbe forse sostenere che quella di Canovan non è una tipologia in senso stretto, ma la mappa di una dispersione linguistica che contraddistingue l’uso del termine «populismo»: la sua allusione alle «somiglianze di famiglia» di Wittgenstein sembra, per certi versi, andare proprio in questa direzione. Ma pure in tal caso le logiche di questa dispersione richiederebbero un esame più accurato. Non è necessario ridurre a un unico modello logico ogni aspetto della sindrome populista, ma almeno dovremmo essere in grado di segnalare quelle somiglianze di famiglia che vincolano l’uso e la circolazione del concetto. Canovan, per esempio, sottolinea che il movimento populista negli Stati Uniti non fu solo un movimento agrario dei contadini, ma ebbe anche «una portata eminentemente politica, essendo una rivolta della gente comune contro le élites o i plutocrati, i politici e i tecnici»6, ispirata dall’idea jacksoniana di democra-zia. A questo punto, però, non ci sta forse dicendo che la ragione per cui dovremmo etichettare un movimento come «populista» non va ricercata tanto nella sua base sociale (agraria) quanto nella particolare inflessione di quella base sociale, dovuta a una particolare logica politica – una logica politica che è presente in movimenti, socialmente parlando, abbastanza eterogenei?
In vari punti della sua analisi Canovan pare sul punto di attribuire la specificità del populismo alle logiche politiche che strutturano ogni contenuto sociale, anziché ai contenuti stessi. Sostiene, per esempio, che due caratteristiche universalmente presenti nel populismo sono l’appello al popolo e all’anti-elitismo7, e arriva a dire che né l’una né l’altra di queste caratteristiche possono essere ascritte a uno specifico contenuto sociale o politico (ideologico). Detto ciò, ci si aspetterebbe che Canovan desse allora una definizione di queste caratteristiche in termini di logiche politiche, più che in termini di contenuti sociali. Ma non accade nulla del genere, poiché Canovan rinviene in questa indeterminatezza dei contenuti sociali un ostacolo, che riduce considerevolmente l’utilità delle categorie da lei ritenute universali. Così: «l’esaltazione ambigua del ‘popolo’ può assumere una ...

Inhaltsverzeichnis

  1. Introduzione. Populismo: chi starà ad ascoltare? di Davide Tarizzo
  2. Prefazione
  3. Parte prima. La denigrazione delle masse
  4. 1. Populismo: ambiguità e paradossi
  5. 2. Le Bon: suggestione e rappresentazioni distorte
  6. 3. Suggestione, imitazione, identificazione
  7. Parte seconda. Costruire il «popolo»
  8. 4. Il «popolo» e la produzione discorsiva del vuoto
  9. 5. Significanti fluttuanti ed eterogeneità sociale
  10. 6. Populismo, rappresentazione e democrazia
  11. Parte terza. Variazioni populiste
  12. 7. La saga del populismo
  13. 8. Ostacoli e limiti alla costruzione del «popolo»
  14. Conclusioni
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APA 6 Citation

Tarizzo, D., & Laclau, E. (2019). La ragione populista ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3461405/la-ragione-populista-pdf (Original work published 2019)

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Tarizzo, Davide, and Ernesto Laclau. (2019) 2019. La Ragione Populista. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3461405/la-ragione-populista-pdf.

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Tarizzo, D. and Laclau, E. (2019) La ragione populista. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3461405/la-ragione-populista-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Tarizzo, Davide, and Ernesto Laclau. La Ragione Populista. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2019. Web. 15 Oct. 2022.