Il racconto del mito
In memoria di Antonio Aloni
Il regno del mare
Chi oggi sogna la Grecia davanti a una carta geografica, o chi decide di attraversarla assaporandone il sole accecante in un cielo sempre azzurro, la brezza sottile sul ponte di una nave e il ritmo lento che la vita assume tra le isole, sarĂ subito colpito dalla centralitĂ del mare. La sua presenza riesce a incunearsi nelle zone piĂš lontane dalle onde, sino alle cime delle piĂš alte montagne: talvolta forte e possente come al Pireo ateniese o tra le Cicladi, talvolta solo un accenno â un odore, una lastra blu in lontananza â come al Tempio di Delfi, che una lunga pianura di ulivi separa dalla baia di Itea. Se si avvicina in aereo a questa terra un tempo popolata di dèi ed eroi, lâosservatore che rivolge lo sguardo verso il basso è colpito dalla forza del blu. La terra sembra voler strappare piccoli spazi allâeterna distesa dâacqua salata, come se non potesse arginarne lo strapotere, come se non riuscisse a rassegnarsi al dominio del blu marino sul giallo riarso, del regno liquido e mutevole su quello immobile e battuto dal sole.
Una sensazione non molto diversa da questa la provarono gli antichi che vissero e resero mitica quella parte del mondo. Dalle opere piĂš arcaiche giunte sino a noi il regno del mare viene caratterizzato come chiaramente distinto, diverso e opposto al resto del paesaggio sin dal momento della creazione. Quando nella Teogonia Esiodo racconta la nascita del mondo, leggiamo come Gaia, la terra, generò sia Urano, il cielo, sia Ponto, ÂŤil mare infecondo, di gonfiore furenteÂť. E questo fu il centro geografico e simbolico attorno al quale ruotò tutta la civiltĂ greca. Alcuni secoli dopo Esiodo, Platone, nel Fedone, tratteggia bene lâimportanza marittima quando, riferendosi a tutti i Greci, scrive che ÂŤnoi, dal Fasi fino alle colonne dâErcole, abitiamo solo una piccola parte della terra, vivendo intorno al mare come formiche o raneÂť. Questo infatti non solo rese i Greci marinai valenti nei commerci con porti lontani e nelle battaglie navali, ma essi modellarono sulle sue rive alcuni dei piĂš importanti momenti mitici e rituali. Era il mare, per esempio, lâelemento capace di eliminare le impuritĂ che minacciavano di contaminare lâintera societĂ e in cui venivano dispersi quegli oggetti di cui si desiderava la completa sparizione.
Pur essendo percepito nella sua unitĂ , il mare era ritenuto ambivalente, in grado di essere benevolo e sinistro al tempo stesso. Sebbene attorno a esso ruotassero le principali attivitĂ economiche del popolo greco, la sua forza travolgente e la sua capacitĂ di distruggere lo rendevano una minaccia incombente e costante. Nellâinfinita superficie ricoperta dalle acque, navi, persone e ogni sorta di beni potevano essere inghiottiti e mai piĂš restituiti. LâoscuritĂ che si stendeva sotto lâacqua celava un regno sconosciuto, terribile e minaccioso. Questa duplice natura emerge nel famoso Biasimo delle donne di Simonide, poeta della seconda metĂ del VII secolo a.C. che rinforza il topos misogino della differente e inferiore natura femminile, descrivendo cosĂŹ il tipo di donna che Zeus ha creato dal mare: ÂŤUnâaltra poi il dio la creò dal mare, con duplici pensieri; un giorno, infatti, ride e non fa che rallegrarsi; [âŚ] un altro, non si tollera, nĂŠ a guardarla negli occhi, nĂŠ ad andarle vicino, ma dĂ in ismanie ed è inavvicinabile. [âŚ] E come il mare sta spesso immobile, innocuo, grande gioia per i marinai, nella stagione dâestate, e spesso invece infuria sballottato da flutti che risuonano cupi, cosĂŹ ad esso somiglia moltissimo una donna siffatta nellâindole: mutevole natura ha infatti il mareÂť.
Una delle piĂš grandi facoltĂ possedute dagli antichi Greci fu quella di riconoscere le espressioni del divino nei diversi elementi della natura. GiĂ due secoli fa il grande filologo Karl Otfried MĂźller notava come nel complesso della mitologia greca ÂŤogni mito deve accadere in un luogo specificoÂť. Non solo sono infinite le fonti dâacqua, gli incroci e i monti in cui per secoli la tradizione mitica ha riconosciuto e ribadito lâorigine di un evento mitico, ma anche quegli elementi naturali che oggi non possiedono alcun afflato religioso, per noi figli razionalisti della scienza moderna, erano invece le sedi dove vivevano e operavano alcune entitĂ superiori come le Ninfe e, ovviamente, gli dèi: da questo punto di vista lâintero edificio della mitologia può essere considerato un immenso testo che dialogava, plasmava e veniva a sua volta condizionato dal mondo naturale. Il mare, sâintuisce, non poteva rimanere escluso da questa costante risemantizzazione simbolica della realtĂ fisica. Lungo tutto lâarco della loro storia i Greci lo popolarono di alcune tra le piĂš straordinarie creature nate dalla loro fantasia. Come le cinquanta Nereidi, figlie di quel Nereo generato dal mare stesso, alcune delle quali â Calma, Ondaferma, Generosa, Salvatrice â assistevano benevole i marinai in navigazione, o le tremila Oceanine, nate da Oceano e Teti, che secondo Esiodo ÂŤgli abissi del mare hanno in custodia, prole radiosa di deeÂť, per non menzionare le celebri Sirene, il cui canto tentò Ulisse.
Le profonditĂ del mare â e, vedremo, anche della terra â erano però il regno di una delle piĂš antiche e importanti divinitĂ del pantheon greco. Un dio iracondo, suscettibile e terribilmente vendicativo, le cui avversitĂ causarono morte, dolore e infinite peregrinazioni; un dio ambiguo come lâelemento in cui si muoveva, testardo ed esigente, libidinoso e vorace, da temere e placare con abbondanti sacrifici e non trascurabile da chi viaggiava in mare. Sullâinfinito regno marino dominava sovrano il figlio di Crono e fratello di Zeus: Poseidone.
Allâorigine del mondo greco
Per narrare le origini di Poseidone è necessario volgere lo sguardo agli albori del mondo greco e ad alcune scoperte che hanno segnato radicalmente la nostra percezione dellâantico. Per anni infatti i primordi della civiltĂ greca furono avvolti dal mistero di una scrittura apparentemente indecifrabile: la Lineare B. Scoperta su alcune tavolette di argilla che il caso volle fossero cotte in un incendio migliaia di anni fa, questa scrittura venne alla luce sul finire del XIX secolo insieme alla sua sorella, la Lineare A. Entrambe emersero dagli scavi che un giovane curatore museale e archeologo inglese, Arthur Evans, stava conducendo sullâisola di Creta. Questi, in realtĂ , non scoprĂŹ solo un modo di scrivere, ma i resti di una civiltĂ imponente che aveva conosciuto una grande fioritura tra il XVIII e il XIV secolo a.C., ma le cui origini risalivano ai due secoli precedenti. Lâimpatto delle scoperte rivoluzionò lâintero assetto storiografico greco: dopo Evans, infatti, non sembrava piĂš possibile considerare i Micenei come il primo popolo greco, primato che ora spettava ai Minoici, antichi abitatori di Creta che solo successivamente erano stati conquistati dagli antenati di Agamennone, re di Micene.
Una delle piĂš grandi facoltĂ possedute dagli antichi Greci fu quella di riconoscere le espressioni del divino nei diversi elementi della natura. GiĂ due secoli fa il grande filologo Karl Otfried MĂźller notava come nel complesso della mitologia greca ÂŤogni mito deve accadere in un luogo specificoÂť.
Ma la scienza, si sa, procede per dinamiche distruttive. Per poter comprendere in profonditĂ , ciò che sembra consolidato devâessere abbattuto e qualcosa di simile accadde alla superioritĂ minoica, strenuamente difesa da Evans. Quando nel 1939 Carl Blegen, guidato da unâattenta lettura dei poemi omerici, giunse a scoprire lâenorme complesso palaziale di Pilo, nel Peloponneso, la tesi del suo predecessore subĂŹ un colpo tremendo. Non era infatti possibile conciliare cronologicamente una potenza come quella che chiaramente mostrava di essere esistita a Pilo col presunto e contemporaneo dominio minoico sulla Grecia intera. Oltre a ciò, dalla polvere del palazzo di Pilo emersero numerose tavolette su cui compariva la medesima Lineare B trovata a Creta. La presenza di un grande centro come quello di Pilo dimostrava dunque come i Minoici non potevano aver dominato lâintero mondo greco.
Le due scritture, però, continuavano a rimanere un mistero indecifrato: di cosa trattava quella scrittura cosĂŹ simile a un geroglifico egizio? Trovavano giĂ spazio tra i suoi caratteri le storie di dèi ed eroi? Purtroppo la nostra risposta è, anche dopo molti anni, soltanto parziale. Delle due scritture una è rimasta un mistero. Nonostante gli infiniti sforzi e la costante dedizione dedicatagli per una vita intera dal suo scopritore, nessuno ha ancora scoperto come funzioni e cosa significhi la Lineare A. Diversa sorte, invece, ha avuto la sua gemella Lineare B, la cui scoperta si può senza dubbio considerare tra le piĂš straordinarie del XX secolo. Ă il primo luglio del 1952 quando una breve comunicazione radio della BBC annuncia non solo la decifrazione della scrittura ma anche la sua natura: la lingua delle tavolette è greco. Dietro il microfono câè Michael Ventris, architetto e filologo dilettante, che dal suo primo incontro con quella scrittura misteriosa si dedica alla sua decifrazione, sino al conseguimento del risultato.
Ma difficilmente scoperte di tale portata vengono condotte in solitaria: poco tempo dopo il classicista di Cambridge John Chadwick, che, oltre a essere un grecista, aveva trascorso gli anni della guerra a decriptare codici militari, offre il suo aiuto al giovane architetto geniale e la Lineare B cessa definitivamente di rappresentare un mistero. Nel 1956 i due pubblicano Documents in Mycenaean Greek, segnando inesorabilmente la storia del mondo classico: nel Peloponneso e a Creta, intorno al XIV secolo a.C., si parlava giĂ un greco non cosĂŹ lontano da quello di Omero.
Cosa raccontano dunque quelle tavolette? Chi sperava in una nuova letteratura, o per lo meno in una fase della letteratura greca antecedente a quella omerica, rimase e rimane tuttâoggi deluso. I documenti redatti in Lineare B altro non sono che registrazioni dâarchivio: lunghi e noiosi elenchi di offerte, beni, merci e persone, che se da un lato permettono di ricostruire lâeconomia e lâassetto di unâimportante societĂ antica, dallâaltro nulla dicono sulle paure, le speranze e le credenze che da sempre lâuomo ha affidato alla rappresentazione letteraria. Le ragioni di questa mancanza sono molteplici. Non è da escludere che le opere letterarie esistessero, ma che fossero redatte su supporti piĂš pregiati e deperibili, distrutti dai millenni trascorsi, mentre i piĂš intransigenti sostengono che se nulla è stato trovato è semplicemente perchĂŠ nulla câera. Vana sembra invece la speranza che quelle terre restituiscano frammenti di storie divine ed eroiche, il cui primato cronologico resta saldamente nelle mani di Omero.
Nonostante questa mancanza le tavolette restituiscono le tracce di un pantheon, ricostruibile proprio a partire da quelle offerte alle divinitĂ cosĂŹ dettagliatamente registrate. E queste divinitĂ sono il secondo forte trait dâunion che fa della societĂ micenea la diretta antenata di quella greca arcaica e classica. Tra le dediche votive si ritrovano infatti i nomi delle principali divinitĂ che Omero consacrerĂ nei suoi poemi: Zeus, Artemide, Atena, Dioniso, Hermes e, naturalmente, Poseidone. Come sottolineato da Silvia Romani, omofonia non significa però identitĂ : ÂŤGli dèi delle tavolette sono poco piĂš che nomi ed epiteti, semplici destinatari delle offerte dei fedeli: nomi senza storia quindi, e divinitĂ senza mito, costretti, per nostro piacere, a indossare lâabito delle grandi divinitĂ olimpiche, che sta loro stretto, come i vestiti di seconda manoÂť. Eppure, ai nostri occhi cosĂŹ attaccati alle briciole che ci restano del mondo antico, la storia di Poseidone parte necessariamente da quel mondo lontano e scoperto da poco, dal suo nome registrato su alcune delle tavolette e dalle offerte che gli furono consacrate.
Il nome, dunque: in miceneo esso è lo stesso omerico, Poseidaon, mentre in altri dialetti ha forma Poteidaon, ed è nome composto. La prima parte, potei-, è la forma dâinvocazione di potis, âsignoreâ, mentre la sillaba da- significa âterraâ, come ben esemplificato dal nome Demetra, la cui forma antica Da- mater significa appunto âmadre della terraâ. Lâetimologia può essere spiegata in due modi: da un lato, come si vedrĂ , una versione del mito vedeva Poseidone innamorato di Demetra, per cui non stupisce lâaccostamento alla dea delle messi. Dallâaltro, però, i primi passi mossi da Poseidone nel pantheon greco da noi ricostruibile ne enfatizzano il legame con la terra, tanto che il suo nome è generalmente interpretato come âsignore della terraâ. Ă questa la caratteristica che maggiormente lo distingue dal Poseidone dâetĂ omerica e classica: mentre in queste fasi egli è sia âscuotitore della terraâ â come lo descrivono gli epiteti enosigeo e enoscitonio â sia âsovrano dei mariâ, nella fase micenea del suo culto è la terra il suo principale elemento, mentre non vâè menzione di un suo potere sulle acque marine.
Lâevoluzione della divinitĂ e degli elementi su cui esercitava il suo potere rispose ai cambiamenti che vissero coloro che lo veneravano, autori delle testimonianze a cui ci oggi ci affidiamo. Mentre quella micenea era infatti una societĂ basata sulla terra e la sua coltivazione, lâespandersi dei commerci marittimi e la successiva e crescente importanza delle attivitĂ legate al mare allargarono la sfera di competenza del dio dei terremoti a quella delle acque. Il collegamento non fu simbolicamente casuale. Si credeva infatti che i terremoti fossero causati dallâagitarsi sotterraneo di correnti dâacqua, ragion per cui fu facile assegnare al signore di queste correnti il dominio su tutto il regno acquatico. CosĂŹ lâautore dellâinno a Poseidone, che la tradizione individua in Omero, potĂŠ scrivere ÂŤcomincio a cantare Poseidone, dio possente, scuotitore della terra e del limpido mare, dio marino che regna sullâElicona e sullâampia Ege. Un duplice privilegio ti riconobbero gli dèi, o Enosigeo: dâesser domatore di cavalli, e salvatore di naviÂť.
Le profonditĂ del mare â e, vedremo, anche della terra â erano però il regno di una delle piĂš antiche e importanti divinitĂ del pantheon greco. Un dio iracondo, suscettibile e terribilmente vendicativo, le cui avversitĂ causarono morte, dolore e infinite peregrinazioni; un dio ambiguo come lâelemento in cui si muoveva, testardo ed esigente, libidinoso e vorace, da temere e placare con abbondanti sacrifici e non trascurabile da chi viaggiava in mare. Sullâinfinito regno marino dominava sovrano il figlio di Crono e fratello di Zeus: Poseidone.
Tra le divinitĂ micenee Poseidone ha una posizione di assoluto rilievo. Se si pensa alla minore importanza ricoperta nelle etĂ seguenti, la sua appare come la storia di una progressiva decadenza, un costante declassamento che ha forse fomentato la sua terribile ira. Giungere a considerazioni di portata generale partendo da esempi circoscritti sarebbe fuorviante, ma la preminenza del dio in uno dei piĂš importanti centri micenei come Pilo è un dato forte e inoppugnabile. Le tavolette ci dicono che nessunâaltra divinitĂ ha ricevut...