Il racconto del mito
La cittĂ di Atena
La piĂš famosa raffigurazione di Atena è la statua dellâAtena Parthenos (Atena Vergine), opera di Fidia, che si trovava sullâAcropoli della cittĂ di Atene allâinterno del Partenone, tempio della dea, sui cui frontoni erano raffigurati, rispettivamente, su quello orientale, la nascita di Atena dalla testa di Zeus, su quello occidentale, la contesa tra la dea e Poseidone per il possesso dellâAttica, mentre il fregio era costituito dalla rappresentazione della processione in occasione delle feste Panatenee, ancora in onore della dea, durante le quali veniva consacrato il peplo intessuto per lei dalle Arrefore, le fanciulle adolescenti scelte per un periodo di tempo per servire agli ordini di Atena. Il peplo era solitamente intessuto con ricami della lotta tra Zeus e i Giganti in cui lâaiuto di Atena, per il padre, era stato fondamentale. Pausania nella sua opera, una guida sui monumenti e le tradizioni mitiche della Grecia, ci ha lasciato la descrizione di questa statua: Atena indossa una tunica lunga fino ai piedi, da cui non traspare alcuna nuditĂ , sul petto ha inserita in avorio la testa di Medusa, mostro ucciso da Perseo con lâaiuto della dea e il cui volto pietrificava chiunque le rivolgesse lo sguardo, ha una Vittoria in mano e impugna la lancia, uno scudo giace presso i suoi piedi e vicino alla lancia câè un serpente, il piccolo Erittonio; sulla base della statua è raffigurata la nascita di Pandora, la prima donna, a opera di Atena e di Efesto. In base ad alcune ipotesi di ricostruzione attraverso copie successive che imitano lâopera di Fidia, qualche archeologo ha anche ipotizzato che sulla lancia fosse stata scolpita una civetta ivi appollaiata. Il Partenone sorgeva probabilmente sul sito dellâantico tempio di Atena Poliade che ai tempi di Pausania, nel II secolo d.C., non esisteva piĂš e che forse era andato distrutto nel 480 a.C. a causa dellâincendio appiccato dai Persiani durante la devastazione della cittĂ ; però si raccontava che qui era stata venerata la piĂš antica statua lignea della dea, caduta dal cielo come unâaltra statua famosa di Atena, il Palladio, e che in seguito sarebbe stata probabilmente trasferita nel nuovo tempio. Poco piĂš in lĂ , nella sua passeggiata virtuale sullâAcropoli, Pausania incontra e descrive lâEretteo, il tempio che era centro del culto eroico del primo re della cittĂ , legato alla dea da una strana discendenza, e che costituiva un altro luogo di venerazione molto importante dedicato ad Atena; qui tutti insieme erano celebrati i personaggi dellâantico mito attico a lei collegati, Eretteo e Cecrope, re della cittĂ , Pandroso, figlia di Cecrope, Poseidone ed Efesto. In prossimitĂ dellâEretteo doveva sorgere la casa delle Arrefore in cui soggiornavano queste fanciulle insieme alla sacerdotessa di Atena e, accanto, un luogo di culto per Pandroso, figlia di Cecrope, il Pandroseion. Altre statue vengono ricordate sullâAcropoli, come quella di Atena Ergane, âla lavoratriceâ, con in mano fuso e conocchia, a cui gli artigiani rivolgevano le loro preghiere e in prevalenza la loro venerazione, secondo quanto attestano numerose iscrizioni votive ritrovate nellâarea. Ma di statue di Atena ve ne dovevano essere altre, in cui erano raffigurati alcuni episodi mitici a lei connessi, per esempio quella che commemorava lo scontro della dea con il satiro Marsia e lâinvenzione dellâaulòs, una sorta di antico flauto a due canne.
Molte divinitĂ nella Grecia antica svolgono il ruolo di numi tutelari privilegiati in una determinata cittĂ , ma non si conserva testimonianza che in etĂ storica alcun dio abbia dato il suo stesso nome a una polis facendola completamente propria: Argo è sacra a Hera, Olimpia a Zeus, Tebe a Dioniso, Delo ad Apollo, tuttavia questi luoghi portano un nome diverso dal dio che li protegge. Atene no, è la cittĂ di Atena, non solo ha preso il suo nome dalla dea, ma i suoi valori religiosi, civici e politici sono come rappresentati in maniera simbolica nelle vicende mitiche che la riguardano. Platone, nel progettare la sua cittĂ ideale e, quindi, anche il rinnovamento dellâeducazione antica dei giovani, da lui ritenuta fallimentare, ha ben compreso e spiegato, nei libri II e X della Repubblica, le modalitĂ attraverso cui il mito e la poesia, che lo rinarrava in varie forme, costituissero la base della formazione paideutica antica: fin da piccoli i fanciulli apprendevano dalle madri o dalle bambinaie le storie narrate nei miti e questi, raccontati con toni tra il serio e il faceto, adatto appunto ai bambini, ammaliavano come un incantesimo le giovani menti desiderose di storie fantastiche; questi miti, conosciuti come favole da fanciulli, erano poi gli stessi che venivano riproposti continuamente nelle preghiere durante i sacrifici, nelle feste, nei racconti dei poeti, sul palcoscenico del teatro di Dioniso, nelle raffigurazioni sui monumenti della cittĂ , cosicchĂŠ essi e i valori di cui erano espressione diventavano patrimonio della loro formazione culturale, mentre, in maniera inconscia e meccanica, di generazione in generazione, si assicurava e si divulgava non solo la loro conoscenza, ma si perpetuava cosĂŹ anche lâosservanza morale e religiosa alle norme di comportamento simboleggiate nel mito. Insomma questa forma martellante, con cui veniva comunicato e trasmesso il racconto del mito sotto varie modalitĂ , può essere paragonata alla pubblicitĂ subliminale diffusa dai mezzi di comunicazione nel mondo contemporaneo; la televisione e i social (media) ci presentano messaggi in maniera ossessivamente ripetitiva o modelli di comportamento o versioni tendenziose di notizie in una forma amena o convincente al punto tale che spesso ci si trova a farli propri e a credervi in maniera del tutto inconsapevole e a comportarsi in maniera consequenziale. Ogni Ateniese, dunque, che solo partecipasse alle cerimonie religiose o passeggiasse per lâAcropoli o andasse a teatro, era continuamente esposto al ricordo di quelle vicende e di quei valori che queste riproponevano, in modo semplice e anche piacevole come può essere sentire e vedere il racconto di una favola antica o un sogno fantastico, cosicchĂŠ il cittadino, fin da fanciullo, in maniera passiva e inconscia, si abituava a introiettarli e ad assimilarli come valori veri e autentici, senza elaborazione critica o possibilitĂ di dissenso. Il mito quindi trasmette una veritĂ come velata da elementi favolosi o fantastici; non è un caso che nei sogni spesso la realtĂ sia ormai del tutto irriconoscibile, quasi deformata dalla presenza di motivi o personaggi fiabeschi, che riemergono da quei racconti appunto appresi da fanciulli e che ora lâinconscio riproduce a significare il reale.
Atena indossa una tunica lunga fino ai piedi, da cui non traspare alcuna nuditĂ , sul petto ha inserita in avorio la testa di Medusa, mostro ucciso da Perseo con lâaiuto della dea e il cui volto pietrificava chiunque le rivolgesse lo sguardo, ha una Vittoria in mano e impugna la lancia, uno scudo giace presso i suoi piedi e vicino alla lancia câè un serpente, il piccolo Erittonio.
Ma quali miti si narravano e quali erano questi personaggi della storia di Atena? Il racconto piĂš divertente e fedele alle raffigurazioni sui monumenti dellâAcropoli della vicenda di Atena e insieme dei primordi di Atene, ce lâha lasciato un poeta dâetĂ ellenistica, Callimaco, nel suo poema su Ecale, antica eroina attica. Proprio perchĂŠ questo poeta ha, in un certo qual modo, voluto riprodurre nella sua narrazione esattamente quello stile, tra il serio e il faceto, con cui ogni fanciullo greco doveva aver appreso il mito da bambino, ora il poeta, giocando anche lui come un fanciullo, lo ripropone al suo lettore questa volta adulto, il quale riconosce subito e ricorda a un solo accenno, grazie anche ai toni del racconto, quegli antichi miti, compagni dei sogni e delle fantasie dalla sua tenera infanzia fino allâetĂ matura. La narrazione delle vicende in Callimaco, infatti, è presentata da una prospettiva particolare, esattamente come se si raccontasse una favola, perchĂŠ nel testo è proprio una cornacchia a narrare, come un aedo o un âcantastorieâ; è la cornacchia, uccello un tempo sacro ad Atena, che racconta la propria triste storia, quella di unâamicizia interrotta con la dea per un fatale errore. Ma la storia narrata dallâuccello è anche la storia sacra di Atena e di Atene. Ascoltiamola: appollaiate sui rami nodosi di un ulivo millenario, albero sacro ad Atena, due cornacchie parlottano, quella anziana, consunta dagli anni e dalla vita, ammaestra la sua piĂš giovane e inesperta compagna. La scena si svolge in Attica, tra Atene e la piana di Maratona, accanto allâulivo, è visibile una piccola capanna, dimora di Ecale, la dolce e materna nonnina che durante la notte ha dato generosa ospitalitĂ al giovane Teseo, destinato a regnare in cittĂ , prima che si accinga a catturare il toro che devasta da tempo le campagne circostanti. Si dice che sia lo stesso toro focoso di cui si sarebbe innamorata a Creta la regina Pasifae; presa da brama e insana passione, la donna, decisa a ricorrere a ogni espediente per soddisfare il suo desiderio, si sarebbe rivolta a Dedalo che le costruĂŹ una vacca lignea cava in cui si potesse nascondere per trarre in inganno lâanimale e unirsi a lui. Lâamore maledetto le era stato instillato come vendetta atroce contro il suo sposo da Poseidone; il re di Creta, Minosse, infatti prima aveva promesso in sacrificio il piĂš bel esemplare delle sue mandrie per ottenere il sostegno del dio del mare, ma poi non aveva ottemperato al patto. Il toro, reso furioso, scampato persino alle mani dellâeroe piĂš forte e possente mai conosciuto, Eracle, era giunto a Maratona a distruggere i raccolti e a seminare terrore. Ecale è nota a tutti i devoti campagnoli del circondario; un tempo anche lei era nobile e ricca, ma poi la carestia, per le devastazioni del toro, ha colpito la regione e anche la donna, sola per aver perso il marito e i figli, è caduta in rovina. La sua indole non è tuttavia mutata, tutti i viandanti che affamati e spossati giungano presso la sua porta, sanno di poter avere assicurato per la sera un giaciglio al coperto e una parca cena, tre tipi di olive (la âcotta dal soleâ, la âminutaâ selvatica, la âtuffatriceâ in salamoia) e una calda pagnotta cotta sotto la cenere, vivande che certo non sâimbandiscono sulle tavole fastose dei re, ma sono piuttosto la povera colazione che il bovaro in Attica suole portarsi con sĂŠ al pascolo per rinfrancarsi dopo una dura giornata. La sera precedente, a metĂ del pomeriggio, prima un vortice di aria calda, che si alzava dalla terra infuocata dal sole, ha gonfiato le nubi di vento e di pioggia e poi il cielo si è del tutto oscurato, finchĂŠ dense di umiditĂ le nuvole sono scoppiate con lampi e fulmini e un torrente impetuoso dâacqua si è riversato dallâalto. Se sia stato un evento improvviso o se gli dèi avessero preparato il loro piano non è possibile saperlo. Ma il temporale ha condotto Teseo da Ecale: in viaggio verso Maratona, preso alla sprovvista, ha cercato anche lui sicuro riparo nellâunico luogo che gli è apparso allâorizzonte, la capanna di Ecale. Che felicitĂ per la donna accogliere in casa con gli onori che sono concessi a una dimora campestre un giovane che tanto nellâaspetto le ricorda i suoi figli! Se fossero vivi, se un brutto malfattore, figlio di Poseidone, il brigante Cercione, non li avesse sfidati a combattere con lui, come era solito fare con tutti i malcapitati sulla via da Eleusi a Megara, e poi vinti e uccisi, non differirebbero molto dallâeroe. Che felicitĂ intrattenersi con lui raccontandogli la sua vita! PerchĂŠ, si sa, le labbra dei vecchi sono sempre vaganti e desiderose di raccontare il passato, per ricordarselo quando si allontana, ora che la vita è fatta solo di questo e non si ha piĂš presente, mentre la mente ormai lenta si offusca. Finalmente Teseo allâalba ha recuperato le forze ed è partito, pronto alla sua impresa. SarĂ stata lâemozione, la gioia e la tristezza insieme del ricordo, ma Ecale la mattina non si è piĂš svegliata. Gli antichi sanno che il dono piĂš dolce da parte degli dèi è quello di non nascere mai, oppure di addormentarsi nel fiore degli anni in un sonno perpetuo e tranquillo senza piĂš sofferenze come Cleobi e Bitone o Endimione perchĂŠ la Luna, la sua amante, lo trovi sempre bello e felice. Forse anche morire nel sonno e continuare cosĂŹ a sognare con la serenitĂ nel cuore è stato per Ecale il dono concesso dagli dèi, per chi, nonostante tutto, ha conservato, nel dolore, dolcezza e pietĂ . ChissĂ . Ma Teseo della sua morte improvvisa non sa ancora nulla. Che Ecale è morta lo sanno solo quelle impiccione delle cornacchie a cui la donna non mancava di gettare le briciole di unâumile cena, perchĂŠ non morissero affamate da quando lâira di Atena aveva colpito questo uccello, un tempo suo compagno inseparabile. Da allora le cornacchie non poterono piĂš sorvolare lâAcropoli di Atene, la dea glielâaveva vietato; dovevano sparire dalla sua vista. Non possono perciò piĂš neanche sbocconcellare i resti dei sacrifici dagli altari dei templi che numerosi sorgevano sullâAcropoli; se ne vanno gridando ÂŤkrah, krahÂť e la loro indigenza, perchĂŠ ogni Greco riconosce nella loro voce un significato di senso compiuto: esse gridano ÂŤho bisognoÂť, ÂŤkrah, krahÂť che in greco è in stretta connessione col verbo chraomai, avere bisogno appunto. CosĂŹ adesso le cornacchie si accompagnano ai KoronistaĂŹ (âQuelli che portano in giro le cornacchieâ), mendicanti che vanno di porta in porta nelle cittĂ a chiedere lâelemosina, e con il loro grido di indigenza li preannunciano.
Ma perchĂŠ Atena ha punito con tale violenza questâuccello un tempo suo amico? E ha voluto invece innalzare come inseparabile compagna al suo fianco la civetta cui brillano gli occhi al calare delle tenebre, mentre di giorno, accecata, danzerebbe incerta e stordita, un volatile che è spesso oggetto di scherno per i fanciulli, quando crudeli nei loro giochi la catturano e la liberano alla luce del sole? CosĂŹ si diverte a contrapporre la civetta alla cornacchia, lâintelligenza alla povertĂ , il poeta ellenistico. Tanto ora ama la sua civetta Atena da assumerne anche un ricordo nel suo stesso appellativo, Glaucopide Atena, âdallo sguardo di civettaâ, dagli occhi lucenti del colore del mare che vedono come quelli della civetta piĂš lontano di tutti nellâoscuritĂ , esattamente come la dea dallâintelligenza abile e scaltra anche nelle difficoltĂ sa vedere lontano, ed è previdente. Il motivo lo conosce bene la vecchia cornacchia, che lâira della dea porta impressa vivida nella memoria insieme al ricordo di quei giorni in cui il suo destino si compĂŹ. E cosĂŹ lo racconta alla sua compagna. Che questa storia, dunque, le sia dâammonimento e la giovane maldestra non corra in volo precipitosa ad annunciare a Teseo la cattiva notizia della morte di Ecale. I messaggeri di sciagure non hanno mai avuto da nessuno una favorevole accoglienza: anche il corvo presto lo saprĂ . Per il candido piumaggio lâuccello potrebbe ancora gareggiare con il biancore del latte o della spuma del mare, ma un giorno incapperĂ pure lui nellâira di un dio; sgradito ad Apollo, per avergli rivelato il tradimento della ninfa Coronide con un semplice uomo, a monito della sua disgrazia, diventerĂ per volere del dio nero come la pece, e tutti, quale funesto nunzio di disgrazie, lo scanseranno con orrore. Era molto giovane allora la vecchia cornacchia, quando ben otto generazioni prima accade tutto â questo volatile ha infatti una vita molto lunga, la sua estensione copre e abbraccia molte stirpi di uomini in successione â, dai tempi di Egeo e di Teseo indietro a quelli di Cecrope svariate ne corrono infatti, è tutta la storia piĂš antica dellâAttica. Erano i primordi del mondo, gli dèi contendevano per la supremazia sulle terre e Poseidone, da maschio arrogante, anziano fratello di Zeus, scese a contesa piĂš volte con le dee, con Hera per Argo, e con la giovane nipote Atena, prediletta dal padre, per il possesso dellâAttica. Atena, dea vergine, non è certo tenera come un fresco virgulto, non si fa intimorire dalle pretese di un dio ed è pronta a lottare per ciò che ritiene suo di diritto. Gareggiavano dunque per chi potesse meglio beneficare la regione e acquistarne il potere. Un dio senza chi lo veneri non è nulla, meglio se ha culto in una cittĂ destinata a diventare famosa e potente, perchĂŠ maggiore sarĂ il suo prestigio. Ecco che un lago salato miracolosamente fa emergere sullâAcropoli della cittĂ Poseidone, proprio laddove ancora oggi, a quanto ci racconta Pausania, nellâEretteo si conserva un pozzo di acqua salmastra; pozzi simili si trovano sulle rocche di molte cittĂ antiche della Grecia, ma questo è particolare perchĂŠ, oltre al fatto che accanto è visibile lâimpronta del tridente, si ode il rumore delle onde marine quando soffia il vento da sud. Invece Atena non pensa a dare spettacolo, fa nascere la sacra pianta dellâulivo, che santa protegga la cittĂ e se bruciata rinasca ogni volta piĂš forte di prima, nel giro di un sol giorno, perchĂŠ le sue radici sono resistenti e non muoiono mai, come si narra che sia accaduto appunto dopo lâinvasione e lâincendio dellâAcropoli da parte dei Persiani; esso sarĂ venerato come il sacello centrale del suo tempio. Un dono sĂŹ questo che può veramente competere con la vite creata da Dioniso e con la spiga di Demetra. Lâulivo dĂ un frutto che si mangia e si beve, con la sua spremitura in Grecia si unge lâatleta e si purifica il morto, mentre i suoi rami accompagnano il feretro. Ramoscelli dâulivo si portano ai vincitori delle gare che si svolgono in occasione del...