Il racconto del mito
Le Sirene costituiscono una delle figure piĂš affascinanti ed enigmatiche, ma anche piĂš inquietanti e pervasive del nostro immaginario. Seduttrici assassine che ci irretiscono con il loro canto per toglierci la vita o guide sapienti che ci accompagnano nel nostro ultimo viaggio? Portatrici di conoscenza o signore dellâoblio? Amore e morte, piacere e paura, fascino della trasgressione e timore dellâannientamento, sfida e senso di colpa convivono da secoli in questo mito, in apparenza semplice e di facile decodificazione, ma in realtĂ complesso e sfuggente. Il tutto in una stratificazione che, di cultura in cultura e di epoca in epoca, dallâantico mondo mediterraneo è arrivata allâodierna societĂ dei consumi e ha visto attribuire alle Sirene alcuni degli aspetti piĂš profondi del sistema culturale, con i suoi sogni, le sue paure e soprattutto le sue regole sociali e i suoi modelli di comportamento.
Nella loro duplice natura di donne-uccello o di donne-pesce, le Sirene sono creature di passaggio che mettono in relazione mondi diversi: vita e morte, cultura e natura, mondo umano e mondo animale, mondo maschile e mondo femminile, mondo terrestre e mondo altro, mobilitĂ e staticitĂ , memoria e oblio, ma anche terra e cielo, terra e mare, mare e cielo. Le Sirene governano queste relazioni, dando un senso e un equilibrio al nostro mondo e alla nostra esistenza. Ciò spiega la rilevanza sociale e culturale e la perdurante presenza di un mito di per sĂŠ in grado di adattarsi alle trasformazioni e di accogliere nuove esigenze. Le Sirene possono essere â alternativamente, contemporaneamente e contraddittoriamente â signore della vita e della morte, del piacere carnale e della sapienza spirituale, della cultura pagana e della cultura cristiana, ed espressioni della fede e del peccato, della trasgressione e del conformismo, del maschilismo e del femminismo.
Le Sirene possono cosĂŹ essere proiezioni di uno sguardo maschile che costruisce la donna come oggetto di desiderio sessuale e al contempo la sanziona e la umilia proprio per la supposta libertĂ sessuale creata da quello stesso sguardo. Immagine stereotipa, insomma, della pericolositĂ della donna che non accetta un ruolo subalterno ed esce dalle regole sociali relative alla sessualitĂ . La Sirena, irresistibile ammaliatrice che attira gli uomini con il suo canto, risponde a una fantasia e a un costrutto culturale che giustifica e deresponsabilizza il comportamento sessuale maschile, riversandone interamente la responsabilitĂ sulla donna. Ecco allora che la Sirena, femme fatale, prima attira e poi uccide, diventando un mostro assassino che bisogna annientare; o, ancora, che la Sirena, a costo di abbandonare il proprio mondo marino e la propria identitĂ , cerca disperatamente di coronare un suo sogno dâamore infantile e borghese sposando un riluttante principe azzurro, ma, che, fallendo in quel tentativo, si riduce a languire e a perire sugli scogli, diventando unâinoffensiva attrazione turistica.
Le Sirene, però, possono essere anche proiezioni di una consapevolezza femminile, costruita a poco a poco nel corso dei secoli, tra gli spazi delle ambigue narrative maschili. Queste Sirene rivendicano con orgoglio e affermano con gioia la propria corporeità e la libertà sessuale di un mondo femminile troppo a lungo sottomesso ed emarginato.
Nella loro duplice natura di donne-uccello o di donne-pesce, le Sirene sono creature di passaggio che mettono in relazione mondi diversi: vita e morte, cultura e natura, mondo umano e mondo animale, mondo maschile e mondo femminile, mondo terrestre e mondo altro, mobilitĂ e staticitĂ , memoria e oblio, ma anche terra e cielo, terra e mare, mare e cielo.
La cultura hollywoodiana, con le sue fantasie, le sue ipocrisie e i suoi conflitti, sembra essere quasi il predestinato punto di arrivo di questi due percorsi paralleli: un immaginifico spazio di negoziazione, dove la Sirena, in un attillato abito da sera o in un provocante costume da bagno, in un poster pubblicitario o su un tappeto rosso, si offre al lubrico sguardo maschile e allâinesorabile macchina mediatica, ma afferma al contempo, con sempre maggior forza, i propri diritti, pronta ad annichilire con un colpo di coda quellâuomo che con il suo sguardo lâha creata, esposta e imprigionata. Dietro allâhashtag #MeToo si celano insomma battaglie e giochi millenari: la nuova isola delle Sirene, dove unâintera società è costretta a ripensare i propri modelli culturali e sessuali.
Il turismo di massa, ultimo esito di un lungo percorso di trasformazione degli antichi riti di passaggio, è lâaltro universo che alimenta il mondo delle Sirene con tutte le sue contraddizioni. Il viaggio iniziatico di Ulisse è ormai pratica seriale. Ogni anno, e piĂš volte lâanno, unâumanitĂ perennemente in viaggio è costretta a misurarsi con lâalteritĂ e a costruirsi narrative che diano un senso a questo pellegrinaggio continuo: la vacanza è lo spazio del possibile e dellâimpossibile, dove la routine del quotidiano è sospesa, negata o infranta, e dove la natura subentra temporaneamente alla cultura. La Sirena incarna questo incontro con lâaltro e prende magari la forma di unâavventura estiva, di un cocktail o di una slot machine di Las Vegas, della sabbia bianca di un resort tropicale o dei mirabolanti spazi di un centro commerciale di Dubai, e sostanzia lâingresso nel mondo magico dellâincanto, della seduzione, del piacere, del consumo. La Sirena è la pericolosa e desiderata creatura che ci segnala la nostra temporanea aggregazione al mondo delle vacanze.
Una cultura iniziatica
La prima testimonianza letteraria del mito delle Sirene è costituita dallâOdissea di Omero, uno dei testi piĂš importanti della cultura greca antica e uno dei testi fondativi della cultura e dellâimmaginario occidentali. LâOdissea, come molti certamente ricordano, narra le peregrinazioni di Odisseo (Ulisse, nella tradizione latina, poi radicatasi in quella italiana) di ritorno dalla guerra di Troia. Le Sirene compaiono nel libro XII, in un momento estremamente delicato di quel viaggio.
Ulisse è in mare da molti anni e, nel suo peregrinare per il Mediterraneo nel tentativo di tornare alla sua casa a Itaca, dove lo attende la sposa Penelope, ha già incontrato genti dai costumi molto diversi e creature molto strane e pericolose: è riuscito a sottrarsi alla rabbia dei CÏconi; ha conosciuto i Mangiatori di Loto; ha affrontato il ciclope Polifemo; ha incontrato Eolo, il signore dei venti; è scampato al massacro da parte dei Lestrigoni; ha trascorso un anno con la maga Circe; infine, per suo ordine, è sceso nel regno dei morti. Proprio al suo ritorno da questa discesa fanno la loro comparsa le Sirene.
Siamo insomma nel cuore piĂš immaginifico del poema, dove tra mostri che divorano gli esseri umani e maghe che li trasformano in animali, si affastellano alcune delle figure piĂš inquietanti dellâimmaginario antico, destinate a sedimentarsi nella cultura occidentale successiva. Prima di parlare delle Sirene, è perciò opportuno contestualizzare il viaggio di Ulisse nel sistema simbolico, mitico e rituale del mondo antico. Ulisse sta tornando a casa dopo anni di guerra. Il suo non è, diversamente da come è spesso rappresentato, un viaggio alla scoperta dellâignoto, bensĂŹ un ritorno verso il mondo che giĂ conosce, con i suoi affetti e, soprattutto, le sue proprietĂ : la casa, la sposa, il figlio, il focolare, i campi coltivati, le stalle, gli armenti e il letto nuziale, che ha costruito lui stesso e che sostanzia i suoi diritti di sposo e di generatore di successori legittimi al suo potere regale su Itaca. Ulisse si deve riaggregare a questo mondo politico, sociale, culturale ed economico che in qualche modo ha abbandonato per esercitare altrove le sue funzioni di capo e di guerriero. Ulisse deve ritornare a essere Ulisse: padre, marito e signore della sua isola.
La rappresentazione narrativa di questo percorso di riaggregazione sociale e di riacquisizione identitaria adotta però il linguaggio visuale e narrativo di un altro tipo di riaggregazione che fa riferimento allâimmaginario iniziatico e simbolico e ai riti di passaggio: Ulisse, anche se giĂ adulto, sposo e sovrano, deve superare â come un giovane che debba diventare adulto â una serie di prove che ne sanciscano agli occhi della comunitĂ lâappropriatezza al ruolo che deve assumere. Il suo nostos, cioè il suo ritorno, è quindi un percorso iniziatico raccontato e rappresentato con le stesse immagini che, nella tradizione orale e nella pratica rituale, scandiscono il percorso dellâiniziando. Lâeroe, per mutare la propria identitĂ sociale, deve prima completare un percorso di conoscenza, che si sostanzia nellâincontro con lâalteritĂ e nellâacquisizione dei saperi a essa legati o, per lo meno, cosĂŹ pensati. Nella pratica rituale questo viaggio può prendere la forma di un allontanamento dallo spazio culturale e sociale della comunitĂ (la famiglia, la casa, il villaggio, il territorio comunitario) con unâaggregazione temporanea a uno spazio âaltroâ, che può concretizzarsi, secondo i casi, in una permanenza in un luogo sacro o in uno spazio naturale, come una grotta o un bosco. Questa fase di marginalitĂ iniziatica può essere piĂš o meno lunga e piĂš o meno elaborata; può quindi avere una durata quasi istantanea, come un tuffo in mare o lâimmersione in un calderone, o durare dei mesi, che nella trasfigurazione mitica e letteraria possono diventare anni di vita nei boschi o tra le montagne o, come nel caso di Ulisse, di viaggi per mare.
Per essere efficace, questa fase di aggregazione temporanea allâalteritĂ deve essere fortemente connotata in senso oppositivo rispetto allo spazio quotidiano, cioè allo spazio culturale della famiglia e della polis. Il mondo altro diventa cosĂŹ uno spazio popolato di mostri e di creature strane, se non pericolose o addirittura letali, caratterizzate da comportamenti altri: donne che si comportano come uomini, individui che non rispettano le leggi fondamentali dellâospitalitĂ e della convivenza e che, magari, a differenza degli uomini legati al mondo della cultura e della civiltĂ , non si nutrono di pane, bevono vino non tagliato con lâacqua o addirittura si cibano di carne umana.
Queste creature sono spesso detentrici di saperi speciali, di cui gli iniziandi devono appropriarsi. Esse li mettono alla prova, sottoponendoli a prove che possono anche risultare mortali. Dâaltra parte, il non superamento della prova iniziatica esclude dalla riaggregazione al mondo culturale di provenienza e impedisce il passaggio alla classe di etĂ successiva o al nuovo ruolo sociale. Quando racconta della morte di un giovane eroe nel corso di unâavventura o di unâimpresa difficile, il mito parla in realtĂ della morte simbolica dellâiniziando che, non superando la prova, si ritrova in uno stato di morte sociale: cosĂŹ la sua permanenza nel mondo altro dello spazio iniziatico da temporanea diventa definitiva. Queste creature, che nel mito mettono alla prova gli eroi, costituiscono una sorta di trasfigurazione narrativa degli adulti iniziatori e degli individui sapienziali che, nella realtĂ dello spazio sociale, sottopongono i giovani alle prove iniziatiche. Lâadulto iniziatore, come la maga o il mostro del mito, sono i signori del futuro sociale dellâiniziando e, come tali, sono anche i signori della vita e della morte del giovane, che quindi deve averne paura. Il mito spesso racconta di prove e di mostri spaventosi. Questa estremizzazione della prova iniziatica e della figura dellâiniziatore risponde a una precisa funzione di costruzione sociale dellâautorevolezza dellâiniziatore e di implementazione culturale del valore cardine del rito di passaggio nel percorso esistenziale dellâindividuo e dellâintera comunitĂ .
Simili riti di passaggio corrispondono a una forma di organizzazione sociale tipica delle cosiddette âsocietĂ sempliciâ (etnologi e antropologi, soprattutto nel corso dellâOttocento e del Novecento, li hanno osservati e studiati specialmente nelle societĂ pre-statuali di tipo tribale). Agli inizi del Novecento, però, con un accostamento allora molto in voga, questo modello è stato applicato anche al mondo greco antico, in cui sono state individuate tracce significative di questi riti in molti miti e in molti scritti letterari, anche con azzardato comparativismo (si pensi a James Frazer e al suo peraltro bellissimo Ramo dâoro). La lettura iniziatica del mondo antico, pur spesso un poâ ingenua e meccanica, ispirata a uno sguardo ancora fortemente romantico, permette dâinterpretare, a volte in modo estremamente convincente, molti racconti, dando sostanza e anche colore a un patrimonio culturale immateriale altrimenti invisibile e difficilmente ricostruibile sulla base del solo patrimonio materiale archeologico.
Lâesistenza di riti di passaggio nella cultura greca antica è testimoniata da diverse fonti. Certo non è possibile ricostruire in modo completo e davvero affidabile tali pratiche, che variavano da cittĂ a cittĂ e che, come ogni altro istituto socioculturale, si sono ampiamente trasformate nel corso dei secoli, anche per il processo di âmodernizzazioneâ (per dirla con un termine volutamente un poâ provocatorio) della cultura e della societĂ greca antica. In realtĂ , si sono andati via via affermando istituti socioculturali e politici (nel senso originario di legati alla polis) sempre piĂš complessi e sempre piĂš strutturati, che comprimevano lo spazio e riducevano la funzione di molti di questi rituali, sempre meno rispondenti a forme di pensiero magico e religioso.
Queste creature, che nel mito mettono alla prova gli eroi, costituiscono una sorta di trasfigurazione narrativa degli adulti iniziatori e degli individui sapienziali che, nella realtĂ dello spazio sociale, sottopongono i giovani alle prove iniziatiche. Lâadulto iniziatore, come la maga o il mostro del mito, sono i signori del futuro sociale dellâiniziando e, come tali, sono anche i signori della vita e della morte del giovane, che quindi deve averne paura.
Un immaginario coloniale
Sarebbe però sbagliato ridurre i viaggi di Ulisse a una mera rappresentazione di rituali di passaggio. Oltre allâovvia funzione di puro intrattenimento (perchĂŠ voler sempre dare un senso rituale e simbolico ai miti e alle opere letterarie dellâantichitĂ ?), vi si può ravvisare una funzione politica, ancorchĂŠ indiretta.
I viaggi di Ulisse, in questo Mediterraneo apparentemente incantato e popolato di mostri, raccontano lâepopea di un popolo che per generazioni e generazioni ha attraversato il mare, di isola in isola, da costa a costa, per sopravvivere e poi per colonizzare e infine, una volta costruito un sistema di narrative civiche coerenti, per âcivilizzareâ il Mediterraneo. La Campania, la Calabria e la Sicilia sono solo alcune delle aree in cui i Micenei prima e i Greci poi, a partire dellâVIII secolo a.C., hanno portato la loro civiltĂ , istituendo avamposti militari ed empori commerciali, fino a fondare vere e proprie cittĂ .
LâOdissea racconta proprio questo lento, difficoltoso e spesso pericoloso processo, fatto di continui incontri con popoli altri, che di volta in volta, per usare delle espressioni moderne, hanno preso la forma dellâaccoglienza, dellâintegrazione, dellâibridazione o dellâacculturazione e anche (non bisogna nasconderlo) della violenza, della conquista, della distruzione e del genocidio culturale (per dirla con unâaltra espressione moderna), intendendo con esso il totale annichilimento della cultura di popolazioni costrette ad accettare i valori, le tradizioni e le pratiche dei conquistatori.
La supposta mostruositĂ e pericolositĂ dellâaltro, proprio come avviene oggi nelle rappresentazioni politiche e mediatiche, dai film western con gli indiani spergiuri e assetati di sangue alle cronache delle violenze perpetrate da profughi e migranti nelle nostre cittĂ , serve a giustificare la militarizzazione, la guerra, la conquista, la distruzione e, nel migliore dei casi, le azioni di difesa identitaria e di acculturazione forzata. Ulisse, suo malgrado, è il colono per eccellenza, lâeroe civilizzatore che, a rischio della vita, esporta e difende un modello culturale e che, per sopravvivere, è spesso costretto a eliminare lâindigeno primitivo, sanitizzando cosĂŹ un territorio che, grazie allâopera civilizzatrice, esce dal mondo altro e selvaggio ed entra in quello della cultura.
Da questo punto di vista lâavventura del Ciclope è esemplare: il greco buono, portatore di doni e di civiltĂ , è costretto a fare violenza allâindigeno cattivo, che esprime una cultura incompatibile con quella greca. La lettura politica si accompagna perfettamente a quella iniziatica. Lâuna e lâaltra raccontano un percorso identitario, individuale e collettivo, di costruzione di uno spazio sociale. In una prospettiva iniziatica, il giovane affronta e sconfigge lâadulto iniziatore, mostrando di aver acquisito conoscenze e capacitĂ e di essere cosĂŹ pronto a diventare lui stesso un adulto; in una prospettiva politica, il greco affronta e sconfigge il nemico, bonificando lo spazio che colonizza e dimostrando la propria superioritĂ .
I miti presenti nellâOdissea, cosĂŹ come in moltissime altre opere letterarie e nelle raccolte mitografiche, danno la misura di questo amplissimo processo di colonizzazione e di costruzione di una âglobalizzazioneâ greca del Mediterraneo. Molti, giĂ in epoca antica, hanno tentato di localizzare gli episodi dellâOdissea: unâoperazione peraltro di scarso senso concreto, poichĂŠ il poema racconta lo spazio mediterraneo...