Il racconto del mito
Viaggio alla ricerca del âcomplesso di Giasoneâ
Forse non ce ne rendiamo conto, ma il nostro mondo è pieno di Giasoni del tipo descritto da Euripide nella Medea; anzi, questo personaggio sembra cosĂŹ frequente tra di noi e cosĂŹ ben definito che si può parlare di un âcomplesso di Giasoneâ: lo si incontra in ogni campo, ogni volta che qualcuno si ritiene superiore ed eccessivamente autocentrato, che non accetta di venire a patti con gli altri e con la realtĂ , tanto meno di essere sorpassato dagli eventi, o di essere inattuale, per cui continua a vivere e a comportarsi come se il suo tempo non fosse mai finito, e il mondo girasse sempre intorno a lui, disponibile a soddisfare le sue visioni e i suoi desideri. Ne parleremo nel corso del libro, in particolare in riferimento alle relazioni uomo-donna. Ora, andiamo allâorigine della nostra storia per cercare la veritĂ sullâeroe, e iniziamo con alcune riflessioni introduttive.
Siamo abituati a leggere la mitologia greca in modo scolastico, per riassunto, senza risalire alle fonti. Sarebbe come se si leggesse solo un dizionario di letteratura con la sintesi dei libri piĂš famosi, senza minimamente conoscere qualcosa di Omero, di Dante, o di Kafka, solo per fare alcuni nomi. I dizionari sono sicuramente un prezioso strumento di consultazione, ma non potranno mai permettere nĂŠ di gustare lo stile narrativo di quegli autori, nĂŠ di capire e magari entrare piĂš a fondo nelle loro storie. Per la mitologia greca questa considerazione va ancora oltre, perchĂŠ di un personaggio sovente si fa un riassunto mettendo assieme, secondo gusti personali, le storie narrate da piĂš autori. Ă vero che a volte non si può fare diversamente, perchĂŠ in questo ambito spesso i racconti sullo stesso soggetto sono infiniti e non di rado ci sono giunti per frammenti; però, cosĂŹ facendo, si finisce per appiattirli, e si rischia di tramandare degli stereotipati narrativi. Proprio come è avvenuto per Giasone e gli Argonauti. Per fare un esempio, su cui torneremo ampiamente, si prenda la loro avventura sullâisola di Lemno, abitata da sole donne; è di moda parlare di queste ultime come di donne puzzolenti e assassine, e come tali esse sono ormai famose, ma solo perchĂŠ alcuni autori secondari piuttosto recenti ne hanno parlato in tal senso, solleticando lâimmaginario. Se si approfondiscono le notizie, risulta che gli autori piĂš antichi e piĂš famosi ne hanno parlato in modo molto diverso, e che addirittura qualcuno non menziona nemmeno quegli aspetti che poi hanno colpito la fantasia (maschile), ma di questi autori non si tiene quasi piĂš conto. Ă chiaro che una selezione delle notizie grava su ogni ricerca, anche ora, ma qui cercherò di attenermi ad alcune fonti antiche per fare emergere dei particolari della storia argonautica che normalmente non vengono considerati. Per esempio, per restare alle donne di Lemno, riferirò di questa avventura come è stata descritta in dettaglio da Apollonio, uno degli autori antichi piĂš importanti, il quale ne parla come se si trattasse di unâesperienza erotica di gruppo su unâisola del sesso. Stranamente, però, nessuno ha mai parlato cosĂŹ di questa tappa del viaggio.
Il viaggio di Giasone e gli Argonauti alla conquista del Vello dâoro era un ciclo epico tra i piĂš celebri dellâantichitĂ , la cui origine è collocata ai tempi della guerra di Troia, cioè nel XIII secolo a.C.; era comunque famoso giĂ prima di Omero, il quale verosimilmente attinse a quei racconti giullareschi rivolti a Oriente, lungo le terre che confinano con il Mar Nero, per comporre la sua Odissea e immaginare il viaggio di Ulisse (Odisseo) dalla parte opposta, attraverso il Mar Mediterraneo. Rispetto a Ulisse, però, Giasone resta un mito piĂš in ombra, probabilmente perchĂŠ non ebbe la fortuna di essere celebrato da un grande poeta come Omero.
Per coerenza di metodo, allora, racconterò di Giasone riferendomi separatamente ai primi tre autori che ne hanno scritto in modo ampio, e vedremo che questo è il modo piĂš divertente, ma anche piĂš serio, nonchĂŠ piĂš utile di raccontare la storia del nostro piccolo grande eroe. Il piĂš antico dei tre autori è Pindaro, che nel 462 a.C. scrisse unâode, la Pitica IV, di circa trecento versi; il secondo è Euripide, che nel 431 a.C. portò in scena la Medea, una tragedia ancora oggi frequentemente rappresentata a teatro per la sua folle attualitĂ (Medea uccide i due figli per vendetta contro il tradimento di Giasone); il terzo è Apollonio Rodio, che nel III secolo a.C. scrisse Le Argonautiche, un bellissimo poema di seimila versi, suddiviso in quattro libri, lâunica opera antica che racconti in dettaglio il mito di Giasone. Inizierò anchâio, come fanno tutti, da questâultimo autore, perchĂŠ è a lui che ci si riferisce normalmente per parlare di Giasone; però, mentre in genere dal suo poema si prendono solo alcune parti, per fare quelle sintesi un poâ scolastiche di cui ho detto allâinizio, qui ne parlerò piĂš in dettaglio. Raccontata separatamente attraverso gli autori, vedremo che la storia di questo personaggio mitologico diviene attualissima, non solo per le fantasie di viaggi esotici e di avventure che ancora essa suscita, ma anche perchĂŠ ci parla della metamorfosi dellâeroe classico: dal suo crepuscolo in Euripide, alla sua rinascita in Apollonio, nelle vesti di un nuovo personaggio, disposto ad affrontare altre e ben diverse sfide eroiche; per esempio, eliminare la guerra e la violenza, dedicarsi maggiormente alle cose semplici e naturali, amarsi e risolvere pacificamente i conflitti della vita quotidiana. A questi âeroismi della normalitĂ â oggi potremmo aggiungere altre sfide eroiche, che interessano noi moderni: le sfide che coinvolgono tutti per la pace e per la salvaguardia dellâambiente e delle risorse, e quelle che coinvolgono in particolare i ricercatori di genetica e di astrofisica, eccezionali moderni Argonauti, che nei loro laboratori viaggiano verso lâinfinitamente vicino, la genetica molecolare, e verso lâinfinitamente lontano, gli spazi interstellari, e che speriamo possano orientarsi presto verso un inedito, ma fra poco imprescindibile, Vello dâoro: la capacitĂ di creare una goccia dâacqua da un granello di sabbia.
Il nuovo eroe di Apollonio, a dire il vero, non ha ancora preso molto piede, ma è rimasto piuttosto un auspicio, dato che il mondo continua a essere invaso da personaggi euripidei, decaduti e senza qualitĂ , ma che si illudono di essere ancora grandi, superiori; a volte, essi vivono del tutto fuori dalla storia, in una specie di infantilismo narcisistico-onnipotente, vittime di quello che ho chiamato âcomplesso di Giasoneâ, pensando di poter continuare a fare e a disfare a loro piacimento.
Pindaro nella sua Pitica IV ci presenta un Giasone epico, tutto luce, splendente di giovanile bellezza, virtuoso, ammirato, sicuro di sĂŠ ma non arrogante, anzi schietto e quasi ingenuo, protetto in amore dai favori della dolce Afrodite, un ventenne nel pieno della sua esuberanza. Euripide, invece, nella Medea parla di un Giasone tragico, tutto tenebra, un poâ arrogante e sciocco, una specie di piccolo borghese qualunquista, come diremmo oggi, pieno di sĂŠ e tronfio del suo passato, ma senza consistenza; in lui non vi è piĂš nulla di eroico, o da ammirare. Apollonio, infine, a distanza di cinque secoli da Omero, e due da Pindaro e da Euripide, illumina la normalitĂ in chiaroscuro; recupera le caratteristiche pindariche, ma orienta il carattere dellâeroe nel senso di unâindole melanconica.
Il viaggio di Giasone e gli Argonauti alla conquista del Vello dâoro era un ciclo epico tra i piĂš celebri dellâantichitĂ , la cui origine è collocata ai tempi della guerra di Troia, cioè nel XIII secolo a.C.; era comunque famoso giĂ prima di Omero, il quale verosimilmente attinse a quei racconti giullareschi rivolti a Oriente, lungo le terre che confinano con il Mar Nero, per comporre la sua Odissea e immaginare il viaggio di Ulisse (Odisseo) dalla parte opposta, attraverso il Mar Mediterraneo. Rispetto a Ulisse, però, Giasone resta un mito piĂš in ombra, probabilmente perchĂŠ non ebbe la fortuna di essere celebrato da un grande poeta come Omero.
Prima di iniziare a raccontare il mito, accenno ancora al senso della metamorfosi dellâeroe, che sarĂ il filo rosso della nostra lettura. Pindaro nella sua Pitica IV in pochi versi ci presenta un Giasone epico, tutto luce, splendente di giovanile bellezza, virtuoso, ammirato, sicuro di sĂŠ ma non arrogante, anzi schietto e quasi ingenuo, protetto in amore dai favori della dolce Afrodite; insomma, un ventenne nel pieno della sua esuberanza. Euripide, invece, nella Medea parla di un Giasone tragico, tutto tenebra, un poâ arrogante e sciocco, una specie di piccolo borghese qualunquista, come diremmo oggi, pieno di sĂŠ e tronfio del suo passato, ma senza consistenza; in lui non vi è piĂš nulla di eroico, o da ammirare. Apollonio, infine, a distanza di cinque secoli da Omero, e due da Pindaro e da Euripide, illumina la normalitĂ in chiaroscuro; recupera le caratteristiche pindariche, ma orienta il carattere dellâeroe nel senso di unâindole melanconica: egli è un poâ introverso e triste, dal pianto facile e dal facile scoraggiamento, tendente al depressivo e allâabbattimento, ma aperto alla solidarietĂ di gruppo, capace anche di gesti di coraggio, se non proprio eroici, per quanto egli fosse portato piĂš per lâamore e per la pace, che per i conflitti e per la guerra. In questi casi, lâeroe di Apollonio è pieno di dubbi, non proprio fermo nelle sue decisioni, tanto che a momenti può apparire anche un poâ vile. In un certo senso, il contrario dellâeroe classico, quasi un antieroe; il contrario di un Achille o di un Teseo, per intenderci, che determinano la storia. Egli è piuttosto trascinato dagli eventi, che a momenti appaiono piĂš grandi di lui, tanto che il poeta si diverte a raccontarceli anche in forma dissacrante. Per fare un paragone estemporaneo, bisognerebbe pensare alle Argonautiche come a una versione in parte tragicomica dellâeroe antico, un poâ come se si leggesse la Divina Commedia in una versione serio-faceta scritta da Dario Fo cinquecento anni dopo Dante. Per entrare nellâatmosfera antieroica, antibellica e un poâ scanzonata del poema, ho sintetizzato alcune sue parti e ne ho sottolineate altre, sufficienti per far risaltare la grandezza e lâattualitĂ sconvolgente dellâautore, che ha anticipato di piĂš di duemila anni lâuomo moderno e la locuzione sessantottina ÂŤFate lâamore, non fate la guerraÂť. Per questo il suo Giasone ci piace particolarmente.
Come una fiaba
Câera una volta un re⌠il nostro mito potrebbe addirittura iniziare cosĂŹ, perchĂŠ la storia che narra è quella che piĂš rassomiglia a una fiaba.
Câera una volta un re cattivo di nome Pelia. Egli aveva spodestato dal trono di Iolco, in Tessaglia, nel nord della Grecia, il fratellastro Esone, e mancava di rispetto alla dea Hera, la tremenda sposa di Zeus, la piĂš permalosa e vendicativa degli dèi che a quei tempi abitavano sullâOlimpo, perchĂŠ durante i sacrifici egli si dimenticava regolarmente di lei. CosĂŹ la dea aveva deciso di punirlo. Un giorno Pelia ricevette due avvertimenti dallâoracolo, in questo caso per niente oscuri, come sovente sono gli oracoli: egli avrebbe trovato la morte per via di un Eolide, cioè un discendente di Eolo; che si guardasse bene dallâuomo che sarebbe giunto da lui calzando un solo sandalo. Passarono molti anni e un giorno giunse a Iolco un bellissimo giovane che poco prima aveva perso un sandalo attraversando il fiume Anauro, impacciato nei movimenti perchĂŠ si era caricato sulle spalle una vecchia che gli aveva chiesto di aiutarla ad andare al di lĂ del fiume per entrare nel regno di Pelia. In realtĂ quella vecchia era la dea Hera, che proteggeva il bel giovane e voleva aiutarlo a riavere il trono che gli spettava per discendenza diretta, ma nello stesso tempo si serviva di lui perchĂŠ tramava una punizione esemplare contro lâusurpatore infedele. Giasone era il nome del giovane, ed era figlio di Esone, il re spodestato, il quale apparteneva alla discendenza di Eolo. Come si vede, il destino, che tacitamente è sempre al lavoro, quel giorno si mise in moto per realizzare la predizione oracolare.
Alla vista del monosĂĄndalos, un soprannome â una specie di nickname, come si dice oggi â che allora affibbiarono allo straniero dallâunico calzare, Pelia andò in crisi, ricordandosi dellâoracolo, ma fece finta di niente e con ostentata indifferenza chiese al bel giovane cosa avrebbe fatto se avesse saputo che la morte gli sarebbe venuta da un monosĂĄndalos. Influenzato dalla dea Hera, che gli suggerĂŹ cosa dire, Giasone rispose che gli avrebbe chiesto di andare a prendere il Vello dâoro nella Colchide e di riportalo in Grecia. Pelia non se lo fece ripetere e invitò il giovane a farlo, ma glielo chiese con lâinganno, perchĂŠ quel viaggio era pericolosissimo e mai nessun umano aveva tentato quellâimpresa, giĂš oltre lâEllesponto, oltre quelli che noi oggi chiamiamo i Dardanelli, giĂš fino in fondo al Mar Nero, nel Caucaso, nella regione della Colchide. Insomma, un viaggio verso la fine del mondo. In cuor suo lâusurpatore sperava che Giasone non tornasse piĂš, anche perchĂŠ nel frattempo aveva saputo il nome del giovane e la sua discendenza, quindi aveva la certezza che il suo regno era in pericolo. In un sol giorno, allâimprovviso, Pelia si vide cosĂŹ palesare entrambi gli oracoli, cioè che egli avrebbe trovato la morte per via di un discendente di Eolo, e che quellâEolide era Giasone, il giovane monosĂĄndalos che gli si era presentato per rivendicare il regno.
Il canovaccio iniziale del mito è questo per tutti gli autori; di qui in avanti lâintreccio cambia a seconda di chi lo narra. Prima di entrare nello specifico del racconto di Apollonio, conviene accennare agli antefatti della storia, per comprendere, innanzi tutto, cosa intendevano allora per Vello dâoro, il famoso trofeo che gli Argonauti dovevano andare a recuperare. Anche per capire meglio il viluppo narrativo che gli antichi avevano creato tra mito e realtĂ , come è frequente nelle storie che la letteratura mitologica ci racconta. Nel viaggio argonautico lâintreccio è tra un mondo immaginario, ricco di avventure fantastiche, e una realtĂ , ricca di esplorazioni, colonizzazioni, conquiste, predominio e controllo dei mari, scambi commerciali, con i rovesci di ricchezze e di potere che essi comportavano. Come, per esempio, è il caso dellâIliade, che racconta in maniera fantastica un evento da ritenere storico, cioè la famosa guerra di Troia, avvenuta in unâepoca di poco posteriore al nostro mito.
Gli antefatti
Si narra che Atamante, figlio di Eolo, padre di Esone e nonno di Giasone, aveva sposato in prime nozze Nefele, da cui ebbe il figlio Frisso e la figlia Elle. Ripudiata la prima moglie, sposò Ino, figlia di Cadmo, la quale, gelosa dei due figliastri, escogitò un trucco per eliminarli; era quasi riuscita a farli immolare, ma la madre Nefele li sottrasse al sacrificio inviando un ariete dal Vello dâoro, ricevuto in dono da Hermes, che si caricò in groppa i due giovani e li portò nella Colchide. Frisso vi arrivò sano e salvo e fu accolto dal re Eeta che gli diede in sposa la figlia Calciope, sorella di Medea; in cambio, Frisso sacrificò lâariete a Zeus e offrĂŹ il Vello dâoro a Eeta, che lo dedicò ad Ares, lo inchiodò a una quercia del bosco consacrato al dio, e lo mise sotto la custodia di un drago enorme che non dormiva mai. La povera Elle, invece, non arrivò alla meta, ma cadde in quel braccio di mare che prese da lei il nome Ellesponto (pontos in greco vuol dire mare, quindi âil mare di Elleâ, gli odierni Dardanelli).
Conviene sapere qualcosa anche sullâinfanzia e sullâadolescenza di Giasone fino ai ventâanni, cioè fino al momento del suo arrivo da Pelia. Il padre dellâeroe, per timore che il fratellastro usurpatore uccidesse quel suo figliolo, lo mise in salvo mandandolo sul monte Pelio, vicino a Iolco, e lo affidò alle cure del centauro Chirone, il piĂš famoso, il piĂš sapiente e virtuoso di tutti i centauri, che lĂŹ viveva. Queste creature ibride, per metĂ uomini e per metĂ bestie, erano famose per la loro sessualitĂ sfrenata, ma ogni regola ha la sua eccezione, anche nel mito greco. Sta di fatto che Chirone era nato da Crono e da Filira, sotto forma di cavalla, ciò spiega la sua doppia natura, di uomo e di cavallo. Egli viveva in una grotta del monte Pelio, e, oltre a Giasone, allevò Achille e Asclepio (lâEsculapio romano), figlio di Apollo, divenuto dio della medicina; sĂŹ, perchĂŠ Chirone non era solo saggio, ma era anche un grande medico, che praticava giĂ la chirurgia, ed era esperto di musica, di caccia e delle buone regole della convivenza umana. Giasone, quindi, ricevette la migliore educazione possibile, come dimostrò subito, appena giunto davanti a Pelia: tranquillo e bene educato, forse troppo, va aggiunto, tanto da sembrare addirittura un poâ ingenuo e credulone. Bene educato, va bene, ma che non avesse minimamente sospettato lâimbroglio dello zio è alquanto eccessivo. Lui però era fatto cosĂŹ: si fidava delle persone, parlava con calma, evitava il conflitto, cercava sempre la mediazione ed era oltremodo conciliante: praticamente un terapeuta, di nome e di fatto. In piĂš, in quella circostanza, va detto che egli era influenzato da Hera a non essere sospettoso.
Nel ritratto che di lui ci dĂ Pindaro, ma vale anche per Apollonio, in base a quanto narrato, viene esplicitato che Giasone era integerrimo anche, o in particolare proprio, rispetto alla morale sessuale. Il poeta nella sua ode sottolinea questo aspetto (teniamo però presente che nel suo caso tutto era rivolto al suo committente), perchĂŠ scrive che, quando giunse davanti a Pelia, Giasone con orgoglio disse allo zio di essere cresciuto bene educato da Chirone e dalle sue caste figlie, e aggiunse che nei venti anni trascorsi presso di loro non aveva mai detto una parola disdicevole e non aveva mai fatto con le ragazze unâazione di cui vergognarsi. Insomma, Giasone era il figlio e poi lâuomo ideale, perfetto, educato secondo il modello piĂš classico dellâeroe kalòs kai agathĎs, eccellente in tutto, âbello e virtuosoâ, anche sul piano dei costumi sessuali. Per dire della perfetta educazione ricevuta, e forse anche della sua bontĂ naturale, egli rivelò allo zio che anche il suo nome era opera del centauro Chirone; fu lui pertanto a mettergli il nome Giasone, un nome parlante, che in greco è IĂĄson, collegato con il verbo iĂĄomai, che vuol dire âcurare, cercare di sanare, di porre rimedioâ. Il suo maestro, quindi è come se avesse intuito e avesse voluto sottolineare una dote naturale del giovane indicandolo come âGiasone il terapeutaâ: una dote naturale riflessiva, meditativa, o almeno non impulsiva, pacifica, tendente a sanare i conflitti, piuttosto introversa, con venature melanconiche, come stiamo per vedere.
Il mito di Giasone, come normalmente ânonâ viene raccontato, seguendo âLe Argonauticheâ di Apollonio Rodio
Giasone, da bravo giovane, si impegnò quindi con Pelia a partire per la Colchid...