Il racconto del mito
La nascita
Come molte altre divinitĂ olimpiche, Hermes nacque da unâinfedeltĂ coniugale di Zeus, il re degli dĂši. In questo caso la fanciulla prescelta per soddisfare il suo amore fu Maia, una ninfa figlia del titano Atlante (colui che sulle possenti spalle reggeva il peso del cielo). Strano nome per una giovane attraente, dato che Maia Ăš in greco una donna anziana, una levatrice o addirittura una ânonninaâ, come epiteto affettuoso e familiare; cosĂŹ Ulisse chiama Euriclea nel canto XIX dellâOdissea, quando lâanziana nutrice lo lava e riconosce la sua identitĂ dalla cicatrice di una ferita alla gamba che lâeroe aveva ricevuto da ragazzo durante una battuta di caccia; identitĂ che per il momento era necessario tenere celata, in modo che egli fosse riconosciuto solo in un secondo tempo da Penelope e potesse compiere con maggiore sicurezza la sua vendetta. Nelle Fenicie di Euripide, lâultimo grande poeta tragico greco, Zeus chiede un oracolo alla Notte chiamandola proprio «Maia». Nella mitologia greca Ăš anche una delle sette Pleiadi, tutte figlie di Atlante, che reggeva la volta celeste, trasformate in colombe (peleiades) e poi in costellazione per sfuggire allâinseguimento del cacciatore Orione, che voleva possederle.
In realtĂ sembra quindi che Maia fosse in origine legata al cielo e allâoscuritĂ . Infatti a lei Zeus si univa durante la notte in una grotta appartata del monte Cillene, in Arcadia, la regione forse piĂč selvaggia e boscosa della Grecia ma anche quella piĂč tipicamente pastorale non solo nella realtĂ storico-sociale (e da questo punto di vista il riferimento a Hermes Ăš immediato), ma pure in una lunghissima tradizione letteraria destinata a giungere almeno fino allâEuropa del Settecento. La speranza di Zeus era evidentemente che la gelosa consorte Hera di nulla si accorgesse. Non era del resto un fatto insolito: il sovrano e padre degli dĂši amava unirsi spesso alle Ninfe figlie dei Titani, sicchĂ© la nascita di Hermes non ebbe nulla di eccezionale: anche altre due divinitĂ maggiori quali Apollo e Artemide nacquero da unâaltra ninfa, LetĂČ, figlia del titano Ceo. Ma eccezionale fu il comportamento del neonato Hermes. Il poeta anonimo, autore di un lungo Inno a Hermes che gli antichi non esitarono ad attribuire a Omero stesso, mentre noi non sappiamo ascrivergli nessuna sicura paternitĂ e siamo alquanto incerti sulla sua datazione, descrive la straordinaria precocitĂ del divino infante, che si rivela immediatamente ingegnoso e astuto: «Nato allâaurora, a mezzogiorno suonava la lira, / e dopo il tramonto rubĂČ le vacche di Apollo arciere / nel giorno in cui lo generĂČ Maia veneranda, il quarto del mese». La madre Maia lo avvolse nelle fasce, come ogni altro bimbo; ma egli, a dispetto di ogni verosimiglianza (il mito non bada a simili minuzie, non Ăš mai realistico e calato nel tempo degli esseri umani), si comporta giĂ come se fosse cresciuto, e in un momento di distrazione della madre balza fuori dalla culla ed esce dalla grotta, protettiva certo ma anche castrante, per andare in cerca di avventure â e in questo il poeta si mostra profondamente psicologo; quale giovane vorrebbe rimanere sempre bambino alle dipendenze della propria madre? Del resto, a parte considerazioni psicoanalitiche forse un poco salottiere, il tema della precocitĂ divina non Ăš esclusivo di Hermes: basti ricordare lâimpresa di Eracle, che in culla strozza i serpenti mandati da Hera a ucciderlo; o ad Atena, che balza fuori armata dalla fronte di Zeus; e gli esempi potrebbero essere anche altri. Ă un modo a cui il mito ricorre largamente per distinguere con chiarezza inequivocabile la natura divina da quella umana.
Il poeta anonimo, autore di un lungo Inno a Hermes che gli antichi non esitarono ad attribuire a Omero stesso, mentre noi non sappiamo ascrivergli nessuna sicura paternitĂ e siamo alquanto incerti sulla sua datazione, descrive la straordinaria precocitĂ del divino infante, che si rivela immediatamente ingegnoso e astuto: «Nato allâaurora, a mezzogiorno suonava la lira, / e dopo il tramonto rubĂČ le vacche di Apollo arciere / nel giorno in cui lo generĂČ Maia veneranda, il quarto del mese».
Lâinvenzione della lira e della siringa
Appena fuori dalla soglia della grotta, Hermes, intenzionato a rubare le vacche di Apollo perchĂ© affamato di carne (ma soprattutto, come verrĂ chiarito poco dopo, per fondare il rito sacrificale), sâimbatte in una tartaruga. Ă un autentico colpo di fortuna (e per i Greci la tartaruga era appunto considerata un portafortuna), che ben si addice alla sua natura di divinitĂ imprevedibile: non a caso i Greci chiamavano hermaion appunto unâoccasione fortunata che si presenta senza essere cercata. Ben lieto di un presagio che gli appare favorevole, ritorna nella grotta portando con sĂ© lâanimale e rapidamente lo squarta. Poi, nel guscio svuotato fissa due asticelle, a cui tende sette corde fatte di budello di pecora, creando quello strumento che i Greci stessi chiamavano lira, o cetra, uno strumento destinato a produrre meravigliose sonoritĂ : «Ecco giĂ un segno molto fausto per me: non lo dispregio. / Salve, amica della mensa, dallâamabile aspetto, che accompagni la danza; / tu appari benvenuta: donde vieni, o bel giocattolo? / Tu indossi un guscio variegato, tartaruga che vivi sui monti; / ebbene, io ti prenderĂČ e ti porterĂČ a casa; in qualche modo mi sarai utile, / e non ti trascurerĂČ: anzi tu gioverai a me prima che a ogni altro. / Ă meglio stare in casa: câĂš pericolo fuori. / Tu certo sarai per me una difesa contro il sortilegio funesto, / da viva; e se poi tu morissi, allora sapresti cantare a meraviglia». Infatti su quello strumento il giovanissimo Hermes, che evidentemente giĂ conosceva, o forse aveva inventato, il plettro con cui pizzicare le corde (ma su questo lâInno nulla dice), si mise a cantare gli amori di Zeus e della madre Maia, rendendosi in tal modo il primo cantore di se stesso; singolare performance, dato che egli canta solo per se stesso, non alla presenza di uno o piĂč uditori. Ma una seconda, piĂč consueta, seguirĂ , come vedremo. Veramente, gli antichi attribuivano lâinvenzione della lira a sette corde al poeta e cantore Terpandro, vissuto nel VII secolo a.C. e attivo in ambiente spartano; ed Ăš questo un elemento che permette di datare, come termine post quem la composizione dellâInno. Secondo altri mitografi, tale strumento sarebbe stato inventato da cantori mitici, fra i quali il celeberrimo Orfeo. Ma il dio Ăš nella mitologia inventore anche di uno strumento a fiato, la siringa (syrinx), ossia uno strumento a fiato composto di molte canne in numero dispari (fino a nove) di lunghezza diseguale, che diverrĂ lo strumento pastorale per eccellenza: Hermes lo regalerĂ al figlio Pan e diverrĂ dunque noto anche come âflauto di Panâ. In questo caso il poeta dellâInno sembra compiacersi di mescolare elementi culturali diversi: sappiamo infatti che lo strumento a corda e lo strumento a fiato furono in qualche modo considerati rivali, o almeno alternativi, nellâestetica musicale dei Greci antichi; piĂč nobile la lira, consacrata ad Apollo, molto meno la siringa e lâaulĂČs, comunemente chiamato flauto ma in realtĂ piĂč simile alla meccanica e alla sonoritĂ del moderno oboe. A tale proposito Ăš significativo un esempio molto noto: Atena, la dea vergine uscita dal capo del padre Zeus, un giorno, mentre lo suonava, si specchiĂČ in un corso dâacqua, ma, vedendo il suo volto deformato dal rigonfiamento delle guance, adirata lo gettĂČ via e maledisse chi lâavesse suonato dopo di lei. Il flauto fu perĂČ raccolto dal sileno Marsia, che sfidĂČ Apollo a una gara musicale. Facile indovinare lâesito: Apollo con la sua lira lo sconfisse e lo scorticĂČ vivo⊠Strumenti diversi che si legarono anche a generi letterari diversi: la lira alla poesia epica e, appunto, lirica sia monodica che corale (pensiamo a poeti come Saffo, Alceo, Pindaro); lâaulĂČs soprattutto allâelegia e al giambo, illustrati da Archiloco, Mimnermo, Teognide e numerosi altri. Notissimo il passo del canto IX dellâIliade, in cui Achille, seduto nella sua tenda, canta, accompagnandosi con la lira, «le gesta degli eroi». Non dobbiamo meravigliarci che il piĂč valoroso di tutti gli eroi si dedicasse a tale attivitĂ , perchĂ© il professionismo virtuosistico in ambito musicale si affermĂČ solo a partire dalla fine del V secolo, sebbene i poemi omerici stessi testimonino lâesistenza di veri e propri cantori di corte, quali, nellâOdissea (ma nessuno nellâIliade) Femio e Demodoco. Di fatto, lâInno attribuisce a Hermes, come si Ăš detto, lâinvenzione di entrambi gli strumenti, anche se poi nella mitologia greca protettore della musica Ăš soprattutto Apollo, non a caso definito Musagete, ossia âguida delle Museâ. In ogni caso, sarĂ proprio con il suono della syrinx che Hermes riuscirĂ ad addormentare e a uccidere a colpi di pietra Argo, un mostro dai molti occhi, che sorvegliava Ino, amata da Zeus e trasformata in una bianca giovenca; impresa che farĂ guadagnare a Hermes uno dei suoi epiteti piĂč costanti, Argheifonte, ossia appunto âuccisore di Argoâ.
Gli antichi attribuivano lâinvenzione della lira a sette corde al poeta e cantore Terpandro, vissuto nel VII secolo a.C. e attivo in ambiente spartano; ed Ăš questo un elemento che permette di datare, come termine post quem la composizione dellâInno. Secondo altri mitografi, tale strumento sarebbe stato inventato da cantori mitici, fra i quali il celeberrimo Orfeo.
Il furto delle vacche di Apollo
Ma Hermes, immediatamente dopo avere inventato la lira («E mentre cantava, giĂ nella sua mente meditava altre imprese») mette subito in atto un secondo progetto: depone la lira nella culla, esce di nuovo dalla grotta â egli Ăš un dio mobilissimo per eccellenza, e per questo raffigurato sempre, nelle rappresentazioni vascolari e scultoree, come un adolescente â e con un viaggio rapidissimo al calar del sole giunge in Pieria, nellâattuale Macedonia meridionale, decisamente lontana dallâArcadia, la terra dove sul monte Elicona avevano sede le Muse. Non per caso proprio lĂŹ Apollo, che delle Muse era la guida, conservava le sue greggi, una splendida mandria di vacche: non dimentichiamoci che il mito riflette spesso una societĂ molto arcaica, e quella greca fu del resto sempre in prevalenza agricolo-pastorale; dunque le greggi erano per gli dĂši, come per i sovrani, un bene essenziale, una vera e propria fonte di ricchezza. Non Ăš casuale nemmeno il fatto che Autolico, il nonno di Ulisse, lâeroe scaltrissimo per eccellenza, fosse figlio di Hermes e pure lui si dedicasse a varie forme di furto, fra le quali appunto lâabigeato, addirittura ai danni di Sisifo, cosĂŹ astuto a sua volta da tentare di ingannare la Morte. Hermes era ben deciso a rubarle, e cosĂŹ fece, fabbricando per se stesso sandali vegetali, fasciando gli zoccoli degli animali con arbusti che impedissero di lasciare tracce e facendoli procedere alla rovescia, mettendosi in coda anzichĂ© alla testa del gregge. Tutto ciĂČ avviene di notte, perchĂ© Hermes, come Apollo osserverĂ , Ăš «compagno della notte nera», propizia alle sue imprese di molto dubbia trasparenza. Ma dove le portĂČ? Non alla sua grotta sul monte Cillene, come sarebbe stato logico, bensĂŹ piuttosto lontano, presso le rive del fiume Alfeo, che scorreva in prossimitĂ di Pilo, nel Peloponneso nord-occidentale. Altra incongruenza, di cui lâautore dellâInno non si cura: egli e il suo pubblico sapevano benissimo che quel territorio era particolarmente pianeggiante, fertile e propizio al pascolo. Non solo: esso era teatro di altre vicende analoghe di abigeato, e dunque il luogo piĂč adatto a nascondere le vacche rubate ad Apollo.
Comunque allâalba, dopo il suo furto audace, Hermes Ăš giĂ di ritorno alla grotta che lo aveva visto nascere e si rimette nella culla, rannicchiandosi sotto le coperte nella speranza di essere passato inosservato. Ma la madre Maia lo rimprovera, proprio come una madre qualsiasi rimprovererebbe un figlio ragazzino tornato a casa troppo tardi la notte, ed Ăš singolare e attraente nellâInno pseudomerico tale mescolanza di incolmabile distanza mitica e di realistica quotidianitĂ comica.
«Che fai, furbacchiotto? E da dove arrivi qua in piena notte, svergognato? Io sono proprio convinta, in veritĂ , che ben presto, coi fianchi stretti in legami inestricabili, fra le mani del figlio di Latona ripasserai per quella porta, invece di briganteggiare senza freno, dâora in poi, per le vallate. Torna lĂ donde sei venuto! Grande tormento ti ha generato tuo padre per gli uomini mortali e per gli dĂši immortali».
A lei Hermes rispondeva con amabili parole:
«Mamma, perchĂ© cerchi di spaventarmi, come se fossi un bambino ancora infante, che nel suo animo ha poca esperienza di mariolerie, timido, che teme i rabbuffi della madre? Io invece mi darĂČ alla piĂč lucrosa delle arti provvedendo a me e a te per sempre; nĂ©, soli fra gli dĂši immortali, tollereremo di restare qui, come tu vorresti. Ă meglio vivere per sempre in compagnia degli immortali, ricco, prospero, e ben nutrito, che starsene a casa in questa spelonca fumosa; e, quanto al prestigio, io otterrĂČ gli stessi diritti di cui gode Apollo. Se poi mio padre non me li darĂ , in veritĂ io, per mio conto, mi adoprerĂČ per diventare il re dei ladri: ne sono capace».
Anzi, egli si dichiara addirittura in grado di saccheggiare il santuario delfico, ricco di oggetti preziosi. In veritĂ , queste parole sono importanti, perchĂ© esprimono una delle caratteristiche fondamentali della figura divina di Hermes: egli fu sempre, infatti, venerato come divinitĂ protettrice dei ladri e, con facile quanto sarcastico passaggio, dei commercianti. Circolava la leggenda che egli avesse rubato perfino il tridente a Poseidone, a Efesto la tenaglia da fabbro, ad Apollo non solo le vacche ma anche lâarco, ad Achille il cadavere di Ettore, alla sua stessa madre i vestiti⊠Evidenti esagerazioni comiche di una fama che comunque a Hermes sempre rimase legata. Resta lâincongruenza logica del fatto che il dio, appena nato, disponesse di minugia per le corde della lira prima di avere rubato le vacche di Apollo; ma il poeta omerico non badava a simili considerazioni: saranno i mitografi posteriori, come lo Pseudo Apollodoro, ormai in etĂ imperiale romana, a tentare di mettere le cose a posto rovesciando la sequenza dei due momenti.
Ma sua madre non fa cenno a unâaltra impresa fondamentale di Hermes fanciullo: lâistituzione del sacrificio agli dĂši dellâOlimpo. Non contento di essersi impadronito della mandria di Apollo, con una sorta di accendino vegetale, ossia sfregando lâun con lâaltro due legnetti, fece sprigionare il fuoco, d...