1. La mente inconscia
La scienza ha bisogno di tener le mani su tutta la realtĂ , anche quando su di essa sta praticando i tagli piĂš radicali.
Paolo Bozzi, Fisica ingenua
1. Mente e scienze cognitive
Se il vostro io non sta troppo bene, andate, avendone i mezzi e lâinclinazione, dallo psicoterapeuta. Se qualcuno vi dice che di professione fa lo psicologo, ciò che pensate, ammesso che non siate degli specialisti, è che faccia lo psicoanalista. Insomma, per il senso comune se esiste una scienza della mente questa è la psicologia (ce lo dice il significato stesso della parola!), e la psicologia è Freud, Jung, Lacan (per limitarci ai nomi piĂš altisonanti) ed epigoni.
Eppure, nĂŠ lâuna nĂŠ lâaltra affermazione sono vere. Da un lato ci sono, come vedremo tra breve, diverse scienze della mente, anche se non è scorretto affermare che la psicologia occupa tra queste una posizione privilegiata; dallâaltro, se parliamo, come stiamo parlando, di psicologia scientifica, questa è oggi la psicologia cognitiva, nelle sue diverse branche: la psicologia generale, la psicologia dello sviluppo, la psicologia sociale, e cosĂŹ via. Infatti, piĂš che alla psicoanalisi, lâereditĂ scientificamente rispettabile di Freud, Jung ecc. appartiene alla psicologia dinamica (o ÂŤpsicodinamicaÂť), una disciplina, coltivata prevalentemente in ambito accademico, che si propone di analizzare e sviluppare le teorie psicoanalitiche a contatto con le altre correnti della psicologia moderna1. Oggi la psicodinamica si è avvicinata ulteriormente alla ÂŤpsicologia scientificaÂť, dunque alla psicologia cognitiva, mentre la psicoanalisi, con differenze da indirizzo a indirizzo, resta in larga parte impermeabile alla ricerca scientifica. Il lettore è cosĂŹ avvertito che il percorso che gli proponiamo è tutto interno al territorio della psicologia cognitiva e (piĂš marginalmente) della psicologia dinamica.
Come accennavamo sopra, la psicologia cognitiva è la scienza della mente per eccellenza, anche se oggi, quando si parla di ÂŤscienza della menteÂť, ci si riferisce a un ambito di studi piĂš ampio, la scienza cognitiva (o, al plurale, scienze cognitive2): quel complesso di discipline che si propongono di spiegare come facciamo a percepire, ragionare, comprendere il linguaggio, operare scelte razionali, programmare ed eseguire azioni; insomma tutte le capacitĂ che diremmo peculiarmente mentali. Si potrebbe dire che la scienza cognitiva ambisce a indagare a tutto campo la natura umana. In questa ambizione si cela un presupposto cruciale quanto discusso, che la natura umana, e specificamente la mente, sia appunto un fatto naturale, come tale soggetto a leggi inscritte nella biologia della nostra specie. Beninteso, non tutto il comportamento umano dipende dalla biologia, ma la sfida della scienza cognitiva â per vocazione e metodo â consiste proprio nellâallargare, per quanto possibile, lâorizzonte naturalistico, negando che le nostre scelte e azioni vadano integralmente ricondotte a fattori storici e interpretativi e cercando di superare la dicotomia, cara alla tradizione ermeneutica, tra scienze della natura e scienze dello spirito3.
Un tratto caratteristico dello sviluppo della scienza cognitiva è costituito dalla progressiva e significativa crescita di importanza delle neuroscienze. Mentre negli anni sessanta e settanta dello scorso secolo i dati sul cervello svolgevano un ruolo marginale nelle spiegazioni delle capacitĂ mentali, oggi ricoprono un ruolo preponderante. Molti lettori avranno sentito parlare di neuroetica, neuroestetica e persino di neuroteologia, dimostrazione eloquente di una ÂŤesplosioneÂť degli studi sul cervello che ha fatto sollevare obiezioni del tutto ragionevoli relativamente a che cosa lo studio del cervello ci può dire sul funzionamento della mente4. Il fatto positivo che vi sia interazione (e, entro certi limiti, integrazione) tra psicologia e neuroscienza non smuove la convinzione di molti studiosi che i due rispettivi oggetti di studio siano ben distinti. Questa è anche lâintuizione del senso comune, per il quale tra mente e cervello vi è una relazione sotto certi aspetti oppositiva. Mentre non abbiamo difficoltĂ a distinguere tra cervello e persona â nella percezione dellâuomo comune il cervello resta, a dispetto della sua straordinaria importanza, un organo fisico, come il cuore o lo stomaco â abbiamo difficoltĂ a trovare una collocazione stabile alla mente, che non si può identificare nĂŠ con la persona nĂŠ con il suo cervello, pur essendo strettamente legata allâuna e allâaltro. Beninteso, non è detto che il senso comune sia la stella polare; e qui come in altri casi la scienza ne deve prendere, e di fatto ne ha preso, in una certa misura le distanze. Vedremo come e dove.
Nellâimpostazione cartesiana, che in parte informa tuttora il senso comune, la dimensione mentale coincide con la dimensione cosciente. Nulla che non sia nella nostra interioritĂ , nel ÂŤflussoÂť di coscienza, può essere considerato mentale. Inoltre la dimensione mentale è radicalmente distinta da quella corporea. Il corpo è vincolato da leggi di natura meccanica, è localizzato nello spazio ed è scomponibile in parti; la mente è libera e creativa, non ha una collocazione spaziale ed è unâunitĂ inscindibile. La mente è lâinterioritĂ di una persona e ciò che la caratterizza in prima istanza. Non sorprendentemente, lâidea di mente è il risultato di una sorta di laicizzazione di quella di anima; lâinteriorità è concepita cioè come una garanzia metafisica: al pari dellâanima (la componente divina nellâuomo), lâinteriorità è lâessenza identitaria dellâindividuo, intorno alla quale si impernia la sua vicenda esistenziale.
Ma nelle scienze della mente del Novecento entrambe le assunzioni cartesiane sono state respinte. La distinzione tra mente e corpo è radicalmente negata sul piano ontologico, perchĂŠ ogni processo mentale dipende dal cervello ed è realizzato dal cervello; e la dimensione mentale non è piĂš ristretta a quella cosciente, in quanto la gran parte dei fenomeni e processi mentali â tenuti per mentali dalle scienze cognitive â non sono coscienti.
Per comprendere appieno questo rovesciamento della posizione cartesiana, con particolare riguardo alla dissociazione tra mente e coscienza, dobbiamo soffermarci su due assunti epistemologici che hanno svolto un ruolo cruciale nella gestazione delle odierne scienze della mente:
1) lâidea (riconducibile a Turing) che i processi mentali abbiano natura computazionale;
2) lâidea (riconducibile a Chomsky) che il comportamento sia mediato da rappresentazioni mentali.
Questi due assunti, unitamente a quello dellâirrilevanza dellâintrospezione come metodo sperimentale, implicano la tesi al centro della nostra discussione in questo capitolo: la dissociazione tra mente e coscienza.
1.1. La natura computazionale della mente Per Alan Turing, grande logico e matematico inglese, lâintelligenza poteva essere meccanizzata, ovvero anche le attivitĂ che noi giudicheremmo intelligenti e creative, quali ad esempio il ragionamento e la comprensione del linguaggio, sono alla portata di una macchina, di un dispositivo ÂŤstupidoÂť. Lâidea guida è che un determinato compito intelligente può essere meccanicamente portato a termine se il compito viene scomposto in una successione di passi, ciascuno dei quali è ben definito, completamente specificato (privo di ambiguitĂ ) e sufficientemente elementare da poter essere svolto senza difficoltĂ da un ÂŤesecutoreÂť qualsiasi. Si pensi ad esempio a una ricetta di cucina. Una persona non particolarmente dotata di talento culinario e creatività è in grado di cucinare una torta piĂš che dignitosa seguendo puntualmente le istruzioni della ricetta. Si tratta, insomma, di specificare il compito intelligente tramite una sequenza di regole o istruzioni elementari. Lo stesso vale per il procedimento di moltiplicazione di due numeri che abbiamo imparato alla scuola elementare: anche in questo caso il procedimento consiste nellâapplicazione successiva di regole semplici e ben definite.
Procedimenti di questo tipo si chiamano computazioni (o algoritmi). PiĂš precisamente, il concetto di computazione è la formalizzazione logico-matematica del concetto intuitivo di procedimento. Ma non è necessario, per i nostri scopi, essere molto rigorosi. Basta pensare a una computazione come a un programma per computer, come chiunque abbia un minimo di familiaritĂ con lâinformatica si sarĂ giĂ reso conto. I computer sono capaci di eseguire prestazioni intelligenti perchĂŠ sono macchine a programma; altrimenti detto, qualunque attivitĂ intelligente può essere portata a termine attraverso una appropriata successione di operazioni elementari, il programma ÂŤgiustoÂť. Lâidea è pertanto che i processi mentali sono descrivibili come computazioni, programmi5.
PoichĂŠ siamo consapevoli che a molti lâidea sembrerĂ balzana, qualche precisazione ulteriore è opportuna. Il paradigma di computazione è il calcolo aritmetico; non a caso, storicamente i primi computer erano impiegati per fare calcoli. Oggi, tuttavia, i computer fanno ben altro che calcoli aritmetici; fanno un sacco di cose che proprio non sembrerebbero essere calcoli, nel senso che non sono elaborazioni di dati numerici. Nondimeno, dietro lâimpressionante sofisticazione delle prestazioni degli attuali computer non vi sono altro che processi assimilabili a calcoli. Si pensi ad esempio ai giochi dellâattuale generazione o ai programmi di realtĂ virtuale: per quanto straordinari siano i loro effetti grafici e in generale il livello di raffinatezza dellâinterazione con lâutente, essi sono in ultima analisi costituiti da una miriade di computazioni. Parole, immagini e suoni sono infatti codificati in vari tipi di formato che tuttavia vengono, in definitiva, cioè allâatto dellâesecuzione del programma, tradotti in sequenze di bit, 0 e 1. Qualcosa del genere potrebbe valere per la mente: svariati tipi di informazione (visiva, uditiva, linguistica ecc.) possono essere codificati e rappresentati (cfr. infra) ÂŤnella nostra testaÂť in un certo formato adatto alla loro elaborazione. Non abbiamo la minima idea, o abbiamo idee molto vaghe, su quali siano i processi cerebrali che, ad esempio, ci consentono di assegnare un significato a una successione di suoni linguistici o di riconoscere un oggetto posto di fronte a noi, ma il fatto che questi processi siano altamente automatici e pressochĂŠ istantanei rende lâipotesi computazionale quantomeno degna di essere presa in considerazione. Come un programma per computer, un processo mentale elabora informazioni in ingresso producendo altre informazioni in uscita. Beninteso, non si vuole sostenere che il cervello funziona letteralmente come un computer â il che è semplicemente falso â, bensĂŹ che i processi che realizzano le nostre capacitĂ cognitive possono, a un certo livello di astrazione, essere proficuamente modellizzati da processi computazionali. Approfondiamo questo punto.
Una computazione, lâabbiamo detto, è assimilabile a un programma per computer. Ora, senza un computer che lo esegue, di un programma non ce ne facciamo niente: esso è un oggetto astratto e inerte, privo di poteri causali. Nondimeno, posto che ogni software richiede un hardware su cui ÂŤgirareÂť, lâessenza di un processo realizzato da un programma in esecuzione sta tutta nel software, non nellâhardware. Sono le istruzioni costitutive del programma, non le particolari modalitĂ con cui queste vengono eseguite, che determinano il genere di funzione che il programma sta eseguendo. Inoltre il programma è logicamente indipendente dallâhardware, nel senso che esso può, almeno in linea di principio, essere eseguito da hardware diversi6. Analogamente chi si propone di studiare la mente non dovrĂ preoccuparsi (entro certi limiti, cfr. infra) dei meccanismi cerebrali: la struttura della mente è una cosa, quella del cervello unâaltra. In questo senso la relazione tra hardware e software è stata considerata una buona metafora della relazione tra cervello e mente: come il software dipende dallâhardware per la sua efficacia causale, ma da questo è ben distinto, analogamente la mente dipende dal cervello senza coincidere con esso.
Per questa ragione la caratterizzazione dei processi mentali in termini di processi di elaborazione di informazioni ha consentito di affrontare lo studio della mente in un modo empiricamente rigoroso anche quando le conoscenze sul cervello non erano sviluppate come oggi. La mente è un insieme di funzioni realizzate da programmi; quando studiamo le caratteristiche del programma, possiamo prescindere dallâÂŤhardware ...