Sentirsi esistere
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Sentirsi esistere

Inconscio, coscienza, autocoscienza

Alfredo Paternoster, Massimo Marraffa

  1. 218 pagine
  2. Italian
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Sentirsi esistere

Inconscio, coscienza, autocoscienza

Alfredo Paternoster, Massimo Marraffa

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Lungi dall'essere trasparente a se stesso e pietra angolare della conoscenza della realtà, il soggetto è un fragile edificio, costituito di mattoni neurocognitivi e psicosociali, che si caratterizza innanzitutto per la sua precarietà. Di qui la sua natura essenzialmente difensiva, il suo articolarsi in un insieme di manovre psicologiche che si sforzano di porre argine alla sua originaria fragilità. Con gli attrezzi forniti da una filosofia della mente innervata dalle scienze cognitive, gli autori sviluppano una critica della soggettività autocosciente, in cui l'io da dato primario diviene costruzione e i temi dell'inconscio, dell'autoinganno e dei meccanismi di difesa vengono letti in una luce nuova e più rigorosa.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788858107034

1. La mente inconscia

La scienza ha bisogno di tener le mani su tutta la realtà, anche quando su di essa sta praticando i tagli più radicali.
Paolo Bozzi, Fisica ingenua

1. Mente e scienze cognitive

Se il vostro io non sta troppo bene, andate, avendone i mezzi e l’inclinazione, dallo psicoterapeuta. Se qualcuno vi dice che di professione fa lo psicologo, ciò che pensate, ammesso che non siate degli specialisti, è che faccia lo psicoanalista. Insomma, per il senso comune se esiste una scienza della mente questa è la psicologia (ce lo dice il significato stesso della parola!), e la psicologia è Freud, Jung, Lacan (per limitarci ai nomi più altisonanti) ed epigoni.
Eppure, né l’una né l’altra affermazione sono vere. Da un lato ci sono, come vedremo tra breve, diverse scienze della mente, anche se non è scorretto affermare che la psicologia occupa tra queste una posizione privilegiata; dall’altro, se parliamo, come stiamo parlando, di psicologia scientifica, questa è oggi la psicologia cognitiva, nelle sue diverse branche: la psicologia generale, la psicologia dello sviluppo, la psicologia sociale, e così via. Infatti, più che alla psicoanalisi, l’eredità scientificamente rispettabile di Freud, Jung ecc. appartiene alla psicologia dinamica (o «psicodinamica»), una disciplina, coltivata prevalentemente in ambito accademico, che si propone di analizzare e sviluppare le teorie psicoanalitiche a contatto con le altre correnti della psicologia moderna1. Oggi la psicodinamica si è avvicinata ulteriormente alla «psicologia scientifica», dunque alla psicologia cognitiva, mentre la psicoanalisi, con differenze da indirizzo a indirizzo, resta in larga parte impermeabile alla ricerca scientifica. Il lettore è così avvertito che il percorso che gli proponiamo è tutto interno al territorio della psicologia cognitiva e (più marginalmente) della psicologia dinamica.
Come accennavamo sopra, la psicologia cognitiva è la scienza della mente per eccellenza, anche se oggi, quando si parla di «scienza della mente», ci si riferisce a un ambito di studi più ampio, la scienza cognitiva (o, al plurale, scienze cognitive2): quel complesso di discipline che si propongono di spiegare come facciamo a percepire, ragionare, comprendere il linguaggio, operare scelte razionali, programmare ed eseguire azioni; insomma tutte le capacità che diremmo peculiarmente mentali. Si potrebbe dire che la scienza cognitiva ambisce a indagare a tutto campo la natura umana. In questa ambizione si cela un presupposto cruciale quanto discusso, che la natura umana, e specificamente la mente, sia appunto un fatto naturale, come tale soggetto a leggi inscritte nella biologia della nostra specie. Beninteso, non tutto il comportamento umano dipende dalla biologia, ma la sfida della scienza cognitiva – per vocazione e metodo – consiste proprio nell’allargare, per quanto possibile, l’orizzonte naturalistico, negando che le nostre scelte e azioni vadano integralmente ricondotte a fattori storici e interpretativi e cercando di superare la dicotomia, cara alla tradizione ermeneutica, tra scienze della natura e scienze dello spirito3.
Un tratto caratteristico dello sviluppo della scienza cognitiva è costituito dalla progressiva e significativa crescita di importanza delle neuroscienze. Mentre negli anni sessanta e settanta dello scorso secolo i dati sul cervello svolgevano un ruolo marginale nelle spiegazioni delle capacità mentali, oggi ricoprono un ruolo preponderante. Molti lettori avranno sentito parlare di neuroetica, neuroestetica e persino di neuroteologia, dimostrazione eloquente di una «esplosione» degli studi sul cervello che ha fatto sollevare obiezioni del tutto ragionevoli relativamente a che cosa lo studio del cervello ci può dire sul funzionamento della mente4. Il fatto positivo che vi sia interazione (e, entro certi limiti, integrazione) tra psicologia e neuroscienza non smuove la convinzione di molti studiosi che i due rispettivi oggetti di studio siano ben distinti. Questa è anche l’intuizione del senso comune, per il quale tra mente e cervello vi è una relazione sotto certi aspetti oppositiva. Mentre non abbiamo difficoltà a distinguere tra cervello e persona – nella percezione dell’uomo comune il cervello resta, a dispetto della sua straordinaria importanza, un organo fisico, come il cuore o lo stomaco – abbiamo difficoltà a trovare una collocazione stabile alla mente, che non si può identificare né con la persona né con il suo cervello, pur essendo strettamente legata all’una e all’altro. Beninteso, non è detto che il senso comune sia la stella polare; e qui come in altri casi la scienza ne deve prendere, e di fatto ne ha preso, in una certa misura le distanze. Vedremo come e dove.
Nell’impostazione cartesiana, che in parte informa tuttora il senso comune, la dimensione mentale coincide con la dimensione cosciente. Nulla che non sia nella nostra interiorità, nel «flusso» di coscienza, può essere considerato mentale. Inoltre la dimensione mentale è radicalmente distinta da quella corporea. Il corpo è vincolato da leggi di natura meccanica, è localizzato nello spazio ed è scomponibile in parti; la mente è libera e creativa, non ha una collocazione spaziale ed è un’unità inscindibile. La mente è l’interiorità di una persona e ciò che la caratterizza in prima istanza. Non sorprendentemente, l’idea di mente è il risultato di una sorta di laicizzazione di quella di anima; l’interiorità è concepita cioè come una garanzia metafisica: al pari dell’anima (la componente divina nell’uomo), l’interiorità è l’essenza identitaria dell’individuo, intorno alla quale si impernia la sua vicenda esistenziale.
Ma nelle scienze della mente del Novecento entrambe le assunzioni cartesiane sono state respinte. La distinzione tra mente e corpo è radicalmente negata sul piano ontologico, perché ogni processo mentale dipende dal cervello ed è realizzato dal cervello; e la dimensione mentale non è più ristretta a quella cosciente, in quanto la gran parte dei fenomeni e processi mentali – tenuti per mentali dalle scienze cognitive – non sono coscienti.
Per comprendere appieno questo rovesciamento della posizione cartesiana, con particolare riguardo alla dissociazione tra mente e coscienza, dobbiamo soffermarci su due assunti epistemologici che hanno svolto un ruolo cruciale nella gestazione delle odierne scienze della mente:
1) l’idea (riconducibile a Turing) che i processi mentali abbiano natura computazionale;
2) l’idea (riconducibile a Chomsky) che il comportamento sia mediato da rappresentazioni mentali.
Questi due assunti, unitamente a quello dell’irrilevanza dell’introspezione come metodo sperimentale, implicano la tesi al centro della nostra discussione in questo capitolo: la dissociazione tra mente e coscienza.
1.1. La natura computazionale della mente Per Alan Turing, grande logico e matematico inglese, l’intelligenza poteva essere meccanizzata, ovvero anche le attività che noi giudicheremmo intelligenti e creative, quali ad esempio il ragionamento e la comprensione del linguaggio, sono alla portata di una macchina, di un dispositivo «stupido». L’idea guida è che un determinato compito intelligente può essere meccanicamente portato a termine se il compito viene scomposto in una successione di passi, ciascuno dei quali è ben definito, completamente specificato (privo di ambiguità) e sufficientemente elementare da poter essere svolto senza difficoltà da un «esecutore» qualsiasi. Si pensi ad esempio a una ricetta di cucina. Una persona non particolarmente dotata di talento culinario e creatività è in grado di cucinare una torta più che dignitosa seguendo puntualmente le istruzioni della ricetta. Si tratta, insomma, di specificare il compito intelligente tramite una sequenza di regole o istruzioni elementari. Lo stesso vale per il procedimento di moltiplicazione di due numeri che abbiamo imparato alla scuola elementare: anche in questo caso il procedimento consiste nell’applicazione successiva di regole semplici e ben definite.
Procedimenti di questo tipo si chiamano computazioni (o algoritmi). Più precisamente, il concetto di computazione è la formalizzazione logico-matematica del concetto intuitivo di procedimento. Ma non è necessario, per i nostri scopi, essere molto rigorosi. Basta pensare a una computazione come a un programma per computer, come chiunque abbia un minimo di familiarità con l’informatica si sarà già reso conto. I computer sono capaci di eseguire prestazioni intelligenti perché sono macchine a programma; altrimenti detto, qualunque attività intelligente può essere portata a termine attraverso una appropriata successione di operazioni elementari, il programma «giusto». L’idea è pertanto che i processi mentali sono descrivibili come computazioni, programmi5.
Poiché siamo consapevoli che a molti l’idea sembrerà balzana, qualche precisazione ulteriore è opportuna. Il paradigma di computazione è il calcolo aritmetico; non a caso, storicamente i primi computer erano impiegati per fare calcoli. Oggi, tuttavia, i computer fanno ben altro che calcoli aritmetici; fanno un sacco di cose che proprio non sembrerebbero essere calcoli, nel senso che non sono elaborazioni di dati numerici. Nondimeno, dietro l’impressionante sofisticazione delle prestazioni degli attuali computer non vi sono altro che processi assimilabili a calcoli. Si pensi ad esempio ai giochi dell’attuale generazione o ai programmi di realtà virtuale: per quanto straordinari siano i loro effetti grafici e in generale il livello di raffinatezza dell’interazione con l’utente, essi sono in ultima analisi costituiti da una miriade di computazioni. Parole, immagini e suoni sono infatti codificati in vari tipi di formato che tuttavia vengono, in definitiva, cioè all’atto dell’esecuzione del programma, tradotti in sequenze di bit, 0 e 1. Qualcosa del genere potrebbe valere per la mente: svariati tipi di informazione (visiva, uditiva, linguistica ecc.) possono essere codificati e rappresentati (cfr. infra) «nella nostra testa» in un certo formato adatto alla loro elaborazione. Non abbiamo la minima idea, o abbiamo idee molto vaghe, su quali siano i processi cerebrali che, ad esempio, ci consentono di assegnare un significato a una successione di suoni linguistici o di riconoscere un oggetto posto di fronte a noi, ma il fatto che questi processi siano altamente automatici e pressoché istantanei rende l’ipotesi computazionale quantomeno degna di essere presa in considerazione. Come un programma per computer, un processo mentale elabora informazioni in ingresso producendo altre informazioni in uscita. Beninteso, non si vuole sostenere che il cervello funziona letteralmente come un computer – il che è semplicemente falso –, bensì che i processi che realizzano le nostre capacità cognitive possono, a un certo livello di astrazione, essere proficuamente modellizzati da processi computazionali. Approfondiamo questo punto.
Una computazione, l’abbiamo detto, è assimilabile a un programma per computer. Ora, senza un computer che lo esegue, di un programma non ce ne facciamo niente: esso è un oggetto astratto e inerte, privo di poteri causali. Nondimeno, posto che ogni software richiede un hardware su cui «girare», l’essenza di un processo realizzato da un programma in esecuzione sta tutta nel software, non nell’hardware. Sono le istruzioni costitutive del programma, non le particolari modalità con cui queste vengono eseguite, che determinano il genere di funzione che il programma sta eseguendo. Inoltre il programma è logicamente indipendente dall’hardware, nel senso che esso può, almeno in linea di principio, essere eseguito da hardware diversi6. Analogamente chi si propone di studiare la mente non dovrà preoccuparsi (entro certi limiti, cfr. infra) dei meccanismi cerebrali: la struttura della mente è una cosa, quella del cervello un’altra. In questo senso la relazione tra hardware e software è stata considerata una buona metafora della relazione tra cervello e mente: come il software dipende dall’hardware per la sua efficacia causale, ma da questo è ben distinto, analogamente la mente dipende dal cervello senza coincidere con esso.
Per questa ragione la caratterizzazione dei processi mentali in termini di processi di elaborazione di informazioni ha consentito di affrontare lo studio della mente in un modo empiricamente rigoroso anche quando le conoscenze sul cervello non erano sviluppate come oggi. La mente è un insieme di funzioni realizzate da programmi; quando studiamo le caratteristiche del programma, possiamo prescindere dall’«hardware ...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. 1. La mente inconscia
  3. 2. Corpo e coscienza
  4. 3. La consapevolezza di sé nell’introspezione
  5. 4. L’io e le sue difese
  6. Gli autori
Stili delle citazioni per Sentirsi esistere

APA 6 Citation

Paternoster, A., & Marraffa, M. (2013). Sentirsi esistere ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3517261/sentirsi-esistere-inconscio-coscienza-autocoscienza-pdf (Original work published 2013)

Chicago Citation

Paternoster, Alfredo, and Massimo Marraffa. (2013) 2013. Sentirsi Esistere. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3517261/sentirsi-esistere-inconscio-coscienza-autocoscienza-pdf.

Harvard Citation

Paternoster, A. and Marraffa, M. (2013) Sentirsi esistere. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3517261/sentirsi-esistere-inconscio-coscienza-autocoscienza-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Paternoster, Alfredo, and Massimo Marraffa. Sentirsi Esistere. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2013. Web. 15 Oct. 2022.