Fedra
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Fedra

L'insana passione

Mario Lentano,Gabriele Dadati, AA.VV., Mario Lentano

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Fedra

L'insana passione

Mario Lentano,Gabriele Dadati, AA.VV., Mario Lentano

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Información del libro

Fedra nasce a Creta, l'isola che aveva ospitato l'infanzia di Zeus e rappresenta una sorta di ombelico dell'universo mitico dei Greci. Suo padre è Minosse, re saggio e spietato, sua madre Pasifae, che Afrodite fece innamorare di un bellissimo toro per punirla di aver trascurato il suo culto, sua sorella Arianna, anche lei vittima di una passione folle e infelice per il giovane Teseo, dal quale sarà abbandonata su un'isola deserta. Fra tutte le eroine del mito greco, Fedra è quella che più dolorosamente sperimenta su di sé la potenza sconvolgente e incontenibile di Eros: prima si invaghisce perdutamente del figliastro Ippolito, poi, di fronte al suo rifiuto, decide di togliersi la vita. La storia di Fedra diventa così non solo un intreccio perfetto per la tragedia, ma anche la sede privilegiata per una riflessione sull'amore, sulle sue manifestazioni, e soprattutto sul suo rapporto sempre tendenzialmente conflittuale con le regole stabilite dalle società umane.

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Información

Editorial
Pelago
Año
2021
ISBN
9791280714589
Categoría
History

Il racconto del mito

Si rifà alla Fedra di Euripide quest’opera del 1880 di Alexandre Cabanel donata dall’autore stesso al Musée Fabre di Montpellier, sua città natale.
Si rifà alla Fedra di Euripide quest’opera del 1880 di Alexandre Cabanel donata dall’autore stesso al Musée Fabre di Montpellier, sua città natale.

Prologo

Il vecchio indovino Tiresia è scomparso da un pezzo, inghiottito nuovamente dall’oscurità; e da poco si è allontanata anche l’anziana madre, la buona Anticlea, non prima di aver esortato suo figlio a fuggire da quel mondo di ombre evanescenti e a guadagnare al più presto la luce. L’invito è stato perentorio; ma lui, Odisseo, non sarebbe la persona che è se non fosse preso dall’insaziabile curiosità di conoscere quello che a nessun uomo è stato dato sinora di vedere da vivo. Prudentemente ha estratto la spada e la tiene accanto a sé, pronto a usarla, perché le anime dei morti non si affollino tutte insieme intorno al sangue, il sangue caldo degli animali sacrificati che restituisce loro per un attimo una parvenza di vita. La bella Persefone, la dea che governa quel mondo di tenebra, sembra del resto assecondare il desiderio del visitatore e lascia affiorare dal fondo degli abissi le eroine del mito, le mogli e le figlie di uomini illustri, ciascuna avida di presentarsi all’eroe che si è spinto sin laggiù a cercarle, ciascuna pronta a dichiarare il nome e la stirpe, che in quel tempo remoto sono per ogni individuo i contrassegni dell’identità.
Le figure che sfilano davanti all’uomo sono troppe per ricordarle tutte: la bella Tirò, a cui si diceva si fosse unito il dio Poseidone alla foce di un fiume, protetto da un’onda, e ne ebbe due figli; poi Antiope, che si vantava di aver dormito accanto al re degli dèi e da lui aveva generato i fondatori di Tebe dalle sette porte, Anfione e Zeto; e ancora Alcmena, che da Zeus concepì Eracle, e la bella Epicasta, che si unì inconsapevole al figlio Edipo e che i poeti delle età successive chiameranno Giocasta... La teoria delle eroine sembra non finire mai, una specie di enciclopedia del mito al femminile e insieme la drammatica conferma che il disfacimento non risparmia neppure la bellezza, persino quella di chi ha diviso il letto con gli immortali. Per quasi tutte Omero, il poeta che narra questa storia meravigliosa, ha una parola, ne ricorda brevemente la vicenda, la genealogia, la discendenza; altre sono ridotte invece a puri nomi, menzionati senza una didascalia che ne richiami la parabola biografica: così a un certo momento Odisseo scorge tra le ombre
Fedra e Procri e la bella Arianna
la figlia del tremendo Minosse, che un tempo Teseo
portò via da Creta, diretto al colle della sacra Atene.
Il poeta si diffonde su Arianna, la bella figlia di Minosse, la ragazza che si innamorò perdutamente dello straniero venuto da Atene e lo aiutò a uscire dal Labirinto di Creta con il suo celebre filo; e a lei associa il ricordo di Fedra, che di Arianna era sorella, anche lei cretese, anche lei figlia di Minosse; in mezzo tra le due, Procri, nata dal re di Atene Eretteo e protagonista a sua volta di una cupa vicenda di amore e morte. Per Fedra non c’è una sola parola di spiegazione: forse il poeta presume che il personaggio e il suo mito fossero già noti al pubblico, e certamente altri cantori prima di lui ne avevano celebrato la storia. Ma di queste più antiche espressioni si è persa ogni traccia; e la pagina dell’Odissea dalla quale abbiamo tratto i versi precedenti è la prima in assoluto in cui il nome di Fedra viene udito nella storia della nostra cultura.
Quando precisamente questo sia accaduto è difficile dirlo: l’Odissea dovette raggiungere la forma nella quale la conosciamo pressappoco nell’VIII secolo a.C., quando la scrittura tornò a diffondersi nel mondo greco, ma il catalogo delle eroine è stato spesso sospettato di essere un’aggiunta più recente, che ampliava l’originario nucleo omerico. In ogni caso, è difficile andare oltre il VI secolo a.C., all’incirca duemilaseicento anni fa. Iniziava allora la storia di un amore che da quel momento non ha mai smesso di essere raccontato – come dimostra, se non altro, il libro che avete in mano in questo momento.

Creta e la stirpe del Sole

Chi è Fedra e cosa sappiamo di lei? Molto. Che è nata a Creta, anzitutto: un’isola che ha un ruolo speciale nel mito greco, ne costituisce una sorta di ombelico, se non altro perché proprio a Creta è stato allevato in gran segreto il futuro signore degli dèi, Zeus, quando sua madre Rea volle nasconderlo a Crono, che divorava tutti i suoi figli appena venivano al mondo, sin dal giorno in cui un oracolo gli aveva predetto che uno di essi lo avrebbe detronizzato. Il dio era cresciuto in una caverna del monte Ida, allattato da una capra, mentre un gruppo di strane figure, i Coribanti, sorta di sacerdoti danzanti, produceva con i propri strumenti musicali un frastuono assordante, così da coprire i vagiti del bambino ed evitare che arrivassero alle orecchie di suo padre.
Molto tempo dopo, quando era ormai il sovrano dell’universo, Zeus tornò nuovamente nell’isola, questa volta nella sua veste di impenitente seduttore di donne mortali: si era invaghito della bellissima Europa, la figlia di Agenore, mentre coglieva fiori nella terra che che si sarebbe chiamata un giorno Fenicia, e per unirsi a lei aveva assunto la forma di un toro meraviglioso; quando l’incauta fanciulla era saltata in groppa all’animale, in apparenza mansueto e inoffensivo, Zeus si era però lanciato in una corsa mozzafiato attraverso il mare che aveva avuto termine solo sulla spiaggia di Creta. Qui il dio e la donna si erano uniti d’amore e di letto; e poiché gli amplessi degli dèi non sono mai sterili, da quella unione erano nati tre figli, secondo alcune varianti del mito, o forse uno solo, Minosse. Quanto a Europa, non tornò mai più nella terra dalla quale veniva, la Fenicia; per volere di Zeus sposò invece Asterio, il signore di Creta, e insieme a lui crebbe i figli avuti dal dio. Fra questi fu proprio Minosse a ereditare il governo dell’isola; fu un sovrano potente, il vero creatore dell’egemonia navale cretese, che rese la sua flotta padrona di quel lembo del Mediterraneo, costruttore di meravigliosi palazzi le cui tracce si ammirano ancora sull’isola greca, un uomo senza scrupoli ma anche un re giusto, artefice del più antico codice di leggi scritte: è forse per questo che già Omero faceva di lui uno dei giudici infernali, impegnato a esaminare le anime sulla soglia dell’oltretomba e a deciderne il destino ultraterreno, secondo una tradizione che dal mondo antico giunge fino alla Commedia dantesca. E poiché un sovrano deve garantire anzitutto la propria successione, Minosse sposò Pasifae, anche lei prole divina, la figlia del dio Sole, dalla quale ebbe quattro figli maschi e quattro femmine: la più giovane tra queste ebbe nome Fedra. È qui però che iniziano le difficoltà.
La stirpe del Sole era infatti una discendenza maledetta; e lo era sin da quando, molto tempo prima, il dio della luce, che dalla sua posizione privilegiata vede tutto quanto si compie sulla terra e nel cielo, aveva rivelato a Efesto l’amore adulterino della moglie Afrodite con Ares signore della guerra. Il marito tradito, che era anche il dio della metallurgia, fabbro degli dèi e artefice di opere mirabili, era allora sopraggiunto in silenzio e aveva legato al letto i due amanti nudi con catene invisibili e nodi impossibili da sciogliere, quindi li aveva esposti allo sguardo di tutti gli dèi. Risero gli immortali di fronte alla scena che si mostrava ai loro occhi, ma Afrodite avvampò di un’ira incontenibile e pronunciò la sua maledizione: tutti i discendenti del Sole avrebbero concepito amori infamanti, segnando così la propria rovina. Fu per questo che Pasifae concepì una passione divorante per un bellissimo toro degli armenti reali: ecco che per la seconda volta questo animale, così intimamente legato alla cultura cretese, entra nella storia che stiamo raccontando, e non sarà l’ultima. A realizzare il desiderio della regina fu l’ateniese Dedalo, giunto esule a Creta, il mirabile artigiano, architetto e scultore del quale si diceva che forgiasse statue capaci di vita e di movimento: fu lui a costruire per Pasifae una struttura di legno dalla forma di vacca, e che con una pelle di vacca venne poi ricoperta. Accucciata al suo interno, la moglie di Minosse poté unirsi al toro in un amplesso dal quale nacque, segno visibile di quella passione insana, il mostruoso Minotauro.
Ma questa, come sempre accade, non era l’unica storia che si raccontava sugli amori di Pasifae: il mito antico è fatto così, non presenta mai una sola versione dei fatti, ma una serie di varianti, di nessuna delle quali si può dire che sia più “vera” delle altre; e questo si deve al fatto che per secoli quei racconti si sono trasmessi in forma orale, passando di bocca in bocca, e anche al fatto che in Grecia non esistette mai nulla di simile a una istituzione investita del compito di definire una versione “ufficiale” e canonica delle storie sugli dèi, declassando tutte le altre al ruolo di varianti apocrife. Non mancava perciò chi attribuisse l’innamoramento di Pasifae non già alla maledizione che incombeva su di lei in quanto figlia del Sole, ma al grave affronto di cui si era macchiato suo marito Minosse, rifiutando di sacrificare a Poseidone un toro che pure gli aveva promesso in voto. Altri affermavano invece che Pasifae avesse trascurato per molti anni di rendere culto ad Afrodite – e gli dèi antichi sono estremamente gelosi del loro onore, sono figli di una cultura nella quale il privilegio si riconosce anzitutto dalla capacità di ispirare deferenza da parte di quelli che ne sono esclusi, e per questo non tollerano che i mortali trascurino l’omaggio cui sono tenuti nei loro confronti. Proprio quest’ultima variante del mito è anzi per noi particolarmente interessante, perché ci accadrà ancora di incontrare Afrodite impegnata a vendicare il disprezzo di un uomo per la sua potenza.
Il frutto mostruoso della colpa, un corpo di uomo ma con volto e coda di toro, sarà poi rinchiuso nel Labirinto, un’altra realizzazione di Dedalo: un intrico di corridoi, pareti cieche, angoli morti, dal quale è impossibile uscire, forse trasfigurazione mitica dei palazzi minoici con la loro fitta rete di stanze, locali, magazzini, celle, disimpegni. Molto tempo dopo, un poeta ateniese del quale dovremo a lungo occuparci nelle prossime pagine, il drammaturgo Euripide, che visse nel V secolo a.C., racconterà che quando il parto della regina fu noto a Minosse, il re la fece rinchiudere insieme a un’ancella nello stesso Labirinto che imprigionava il Minotauro; la tragedia in cui veniva narrato questo segmento della storia, i Cretesi, non è giunta fino a noi, ma possiamo leggerne un bellissimo frammento, nel quale Pasifae rinfaccia al marito di pagare per una colpa che è in realtà del solo Minosse. Euripide era un formidabile indagatore dell’animo femminile, forse il più lucido che le letterature antiche abbiano conosciuto; ma questo lo vedremo meglio più avanti. Per il momento, ricordiamo che a uccidere il Minotauro sarà un giovane straniero venuto da Atene per essere offerto in pasto al mostro, Teseo, grazie all’amore di un’altra figlia di Pasifae e Minosse, Arianna: fa così il suo ingresso nel nostro racconto il secondo dei suoi protagonisti.
Anche quello di Arianna è un amore irregolare: in nome della passione per Teseo, la bella cretese lascia morire colui che è pur sempre suo fratello e tradisce suo padre e sua madre seguendo lo straniero sulle navi che fanno ritorno ad Atene, come ricordava già Omero nella pagina che ha aperto la nostra storia. Molti anni dopo Fedra rievocherà quel momento e le piacerà immaginare che già allora, poco più che bambina, fosse stata affascinata al pari della sorella dalla bellezza del giovane eroe venuto da lontano, che si accingeva a mettersi in mare insieme ad Arianna, dai suoi muscoli possenti, dai capelli tenuti stretti in un nastro, le guance lisce dove appena s’intravedeva il primo fiore della barba. Del resto, una variante del mito faceva senz’altro di Fedra una gemella di Arianna, in qualche misura predestinandola a essere un doppio della sorella e spiegando per questa via la successiva relazione con Teseo. Ma irregolare l’amore di Arianna è anche per altre ragioni: è la figlia di Minosse che prende l’iniziativa di accostare Teseo, è lei a proporgli il suo aiuto in cambio del giuramento che il giovane la sposerà e la condurrà con sé ad Atene. Un’audacia inaccettabile in una cultura che vede il matrimonio alla stregua di un accordo fra i due padri coinvolti nella transazione e nella quale la donna viene scambiata per creare alleanze tra gruppi familiari o cementare solidarietà politiche; una cultura nella quale in nessun caso una giovane vergine può giocare un ruolo attivo nelle proprie scelte matrimoniali e sessuali o addirittura assumerne l’iniziativa. E anche di questo dato dovremo presto ricordarci a proposito di Fedra.
Il mito antico è fatto così, non presenta mai una sola versione dei fatti, ma una serie di varianti, di nessuna delle quali si può dire che sia più “vera” delle altre; e questo si deve al fatto che per secoli quei racconti si sono trasmessi in forma orale, passando di bocca in bocca, e anche al fatto che in Grecia non esistette mai nulla di simile a una istituzione investita del compito di definire una versione “ufficiale” e canonica delle storie sugli dèi, declassando tutte le altre al ruolo di varianti apocrife.
La storia dei due fuggiaschi ebbe poi una fine tragica: nella versione raccontata da Omero, Arianna muore trafitta dalle frecce di Artemide, per ragioni che non riusciamo più a ricostruire; la versione più diffusa del mito narra invece che Teseo abbandonò l’amante cretese dormiente su un’isola lungo la rotta per Atene e ritornò incolume in patria solo per apprendere che suo padre Egeo, l’anziano re della città, si era gettato a capofitto dall’alto dell’acropoli, nel mare che da lui prenderà nome, persuaso che il figlio fosse uscito soccombente dallo scontro con il Minotauro. Quella degli dèi è una parola potente, ora anche Teseo ha dovuto apprenderlo a sue spese; e la maledizione di Afrodite sulla discendenza del Sole continua a prolungare nel tempo i suoi effetti.

Teseo e Fedra

Teseo ha da sempre un rapporto complesso con il mondo femminile e la sfera dell’eros. Si diceva che fosse stato lui a rapire Elena, la più bella delle donne mortali – quella per la quale un giorno Europa e Asia si scontreranno in una guerra decennale –, quando era ancora poco più che una bambina e Teseo già un uomo fatto. Di altri rapimenti e stupri sappiamo dalla biografia antica dell’eroe: storie che i poeti antichi raccontavano con un qualche imbarazzo, o tacevano senz’altro, specie dopo che Teseo era diventato nel mito ateniese una sorta di eroe fondatore. Anche dopo l’avventura con Arianna gli vengono attribuite altre relazioni, invariabilmente infelici.
Quando è ormai re della sua città, Teseo partecipa insieme con l’eroe greco per eccellenza, Eracle, alla campagna contro le Amazzoni, il popolo di donne guerriere che aveva creato un impero laggiù in Oriente, nelle steppe della Russia o lungo la costa meridionale del Mar Nero. Quello delle Amazzoni, nel mito greco, è un vero e proprio mondo alla rovescia: una società esclusivamente femminile, nella quale le donne si dedicano alle attività normalmente riservate agli uomini, dalla caccia alla guerra; secondo una delle numerose etimologie elaborate da poeti e mitografi, il loro nome nasceva dall’abitudine di recidere o cauterizzare un seno (in greco mazós) perché non fosse loro d’impaccio nell’atto di tendere l’arco. Ma anche un’altra etimologia immaginata dei Greci risulta estremamente interessante: le Amazzoni sarebbero le donne “senza focaccia” (mâza), coloro cioè che non coltivano il grano e non si nutrono di pane, perché vivono solo della loro attività di cacciatrici. Per i Greci, infatti, la dieta alimentare è un fortissimo marcatore di identità: e il pane, cibo “culturale” per eccellenza, perché frutto di una manipolazione umana che presuppone la coltivazione organizzat...

Índice

  1. Collana
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Giulio Guidorizzi
  6. Il racconto del mito di Mario Lentano
  7. Genealogia
  8. Variazioni sul mito di Gabriele Dadati
  9. Antologia
  10. Per saperne di più
  11. Piano dell’opera
Estilos de citas para Fedra

APA 6 Citation

Lentano, M., & Dadati, G. (2021). Fedra ([edition unavailable]). Pelago. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3165643/fedra-linsana-passione-pdf (Original work published 2021)

Chicago Citation

Lentano, Mario, and Gabriele Dadati. (2021) 2021. Fedra. [Edition unavailable]. Pelago. https://www.perlego.com/book/3165643/fedra-linsana-passione-pdf.

Harvard Citation

Lentano, M. and Dadati, G. (2021) Fedra. [edition unavailable]. Pelago. Available at: https://www.perlego.com/book/3165643/fedra-linsana-passione-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Lentano, Mario, and Gabriele Dadati. Fedra. [edition unavailable]. Pelago, 2021. Web. 15 Oct. 2022.