Guérriero
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Guérriero

Gué Pequeno

  1. 288 páginas
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Gué Pequeno

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«Da bambino volevo essere il personaggio di un film, e sono riuscito a diventarlo. Ma Gué si nasce e non si diventa. Ho visto un miliardo di reati, ho scritto testi con l'odore acre dei pacchi di droga nel cervello. È più forte che mangiarsi una scodella di wasabi. Fin da adolescente ho avuto il piede in due scarpe, mi guardavo intorno a 360 gradi, cosa che mi ha reso subito ambizioso. Camminavo coi delinquenti e coi borghesi allo stesso tempo. Non ero sicuro di me, ero magro, il mio difetto fisico all'occhio era anche più accentuato di adesso, ero timido e sentivo di non piacere alle donne. Ma mi ero ripromesso due cose: che avrei spaccato col mio stile e avrei fatto i soldi. La gente non sa se Gué è un tamarro o uno che è in grado di parlare e, siccome la gente è banale, neanche i più grandi addetti ai lavori, gli stimati professionisti, capiscono. Questo c'ha i tatuaggi, però parla bene, come fa a fare questa rima? È un poeta o un delinquente? Un educato o un malandrino? Amo fare incazzare la gente e disorientarla. Mi fa piacere dispiacere.»
Dentro Guérriero Cosimo Fini, in arte Gué Pequeno, ha messo tutto se stesso: la sua storia, la sua musica e soprattutto la sua anima. Tra periferie e suite a cinque stelle, tra poesia e slang di strada, tra droghe e ossigeno: un flusso di incoscienza potente, sincero e senza filtri.

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Información

Editorial
RIZZOLI
Año
2018
ISBN
9788858693339
1

COMING OF AGE

«Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster. Per me fare il gangster è sempre stato meglio che fare il presidente degli Stati Uniti.»
Goodfellas

HAGAKURE

Visto che non potevo fare il gangster, ho scelto subito di fare il rapper.
Sono cresciuto guardando i film d’azione degli anni Ottanta/Novanta, che erano molto diversi da quello che vede oggi un ragazzino: non erano come gli Avengers, dove c’è tanto cash per gli effetti speciali ma poi non muore nessuno. Erano espliciti come il rap che mi piaceva, con dei veri e propri massacri, come quando Schwarzenegger in Commando impalava il tipo col tubo del gas.
Da piccolo guardavo anche i cartoni giapponesi più violenti: Ken il guerriero che faceva letteralmente saltare in aria la gente, L’uomo tigre che era un lago di sangue sul ring, Devilman, lo studente che faceva un patto col diavolo in discoteca e si trasformava in demonio.
I miei modelli erano quelli dei film di gangster. Di certo da grande non volevo fare il dottore. Mi ispiravano quelli che vendevano la droga, che rubavano i motorini, coi vestiti più fighi dell’epoca e il Nokia modello Banana, una chicca della street italiana anni Novanta.
Superato il lutto per la morte di Kurt Cobain, ho capito che il rap era la svolta della vita, ho abbandonato le camicie a scacchi di flanella e ho iniziato a inseguire orologi di lusso e capi firmati. Da lì a quindici anni mi vedevo a bordo ring, su un palco, in qualche hotel con una modella esotica. E così fu.
La musica rap rispecchiava esattamente il mio immaginario, sembrava che l’avessero fatta apposta per me. Erano i tempi della faida fra East Coast e West Coast, Notorious B.I.G. e Tupac Shakur, che poi sono morti sparati tutti e due. I testi avevano questi racconti espliciti che erano anche molto cinematografici, e per quanto riguarda la forma appresi appieno la loro lezione.
Ho desiderato così tanto fare parte di questo mondo che crescendo, da artista, l’ho vissuto veramente. Interpretare da Oscar Gué Pequeno pur rimanendo Cosimo mi ha dato credibilità e mi ha aperto la strada a certe esperienze e sottomondi, dove ho potuto conoscere personaggi da film che hanno reso, fino a adesso, la mia vita incredibile. Ho saputo dipingere i beat e filmare in rima un certo tipo di vicende tanto che le città mi hanno legittimato a essere uno dei loro migliori portavoce.
L’hip-hop era la mia vita, crescendo in quel contesto ho fatto una sorta di doppio giuramento: avrei dato la mia fedeltà alla musica, ma anche al codice della strada che mi ha formato e mi ha fatto arrivare dove sono. Queste due cose per me vivono insieme. Ho capito subito anche il fatto che non ne sarei mai uscito, come se fosse una cosa da samurai, con i valori della lealtà, della fratellanza, del non infamare né tradire un compagno.
C’era della gente che poi diventava grande e abbandonava queste idee, mentre io crescendo ho continuato a sceglierle.
Tutti sognavamo che la tecnologia contribuisse a cambiare il business della musica, che ormai da anni, tranne le solite eccezioni, era praticamente bloccato. Da quando non ci sono più i cd finalmente lo streaming permette oggi di avere un pubblico meno limitato; già il fatto che gli ascolti streaming vengano considerati come pezzi venduti è giustissimo e sarà fondamentale per dare il valore corretto al lavoro di certi artisti. Ma in più l’avvento di Spotify è straordinario, perché abbatte completamente le frontiere. Spotify è la nuova radio: tu ti fai la tua playlist e decidi cosa ascoltare senza subire l’imposizione di qualcuno che sceglie per te.
Ora può capitare che trovi dei pezzi italiani in playlist straniere oppure in chart mondiali, perché le piattaforme di streaming fanno fluire la musica in modo più immediato, e se tu hai un suono all’altezza di un pubblico mondiale lo puoi raggiungere in maniera incredibilmente più facile rispetto anche solo a pochissimo tempo fa.
Per esempio la serie Gomorra è stata un grande successo in Francia, quindi questo è stato il momento in cui altri artisti italiani hanno fatto dei featuring con rapper francesi. Io l’avevo già fatto nel 2015 con Joke, ma sbagliando i tempi perché ero troppo in anticipo. (Tra le cose che ho fatto in anticipo: mettermi dei denti d’oro, portare la “piazza” sul palco, indossare e creare bling bling personalizzati, usare l’autotune, vestire Stone Island, Supreme, Kappa, Champion, Gucci, Vuitton, Fendi, citare tutti i marchi nelle rime, swaggare, avere un’etichetta indipendente, creare un brand di streetwear, andare nei gossip con delle fighe famose, sdoganare e istituzionalizzare lo show del rapper nei club commerciali, indossare Rolex veri, mettere questo lifestyle nelle rime, citare cibo e alcol costosi, e la lista continua.)
Naturalmente il fatto che in un Paese diverso il testo non sia comprensibile fa sì che per il rap sia molto più difficile esportare i brani rispetto ad altri generi musicali, perché se togli il significato delle parole perdi veramente la cosa più importante, soprattutto per quei rapper che ci tengono a scrivere in un certo modo.
Grazie a piattaforme come Spotify il rap sta definitivamente avendo quello che si merita, anche se a mio avviso ora le certificazioni sono un po’ sbilanciate, ma vedremo cosa succederà.
Fino a poco fa in Italia per fare certi numeri dovevi per forza cercare il mainstream con qualcosa che riuscisse a passare in tv o alla radio. Per me questo discorso di piacere a tutti, di dover dipendere dalle radio, non ha senso, e ho lottato tutta la mia carriera per arrivare dove sono adesso. Di base ho finto di non essere in Italia, facendo quello che mi sentivo al cento per cento con la mia musica, coi suoi conseguenti pro e contro.
Raggiungere il vero successo senza aver dovuto leccare il culo di nessuno e fondamentalmente dicendo e facendo pubblicamente quello che mi pareva è una bella sensazione alla fine. Penso al fatto che è buffo aver avuto successo con l’hip-hop in un Paese dove a mio parere questo genere non è mai stato decifrato e apprezzato in pieno.

MIXTAPE

Quando ero bambino ascoltavo le cassette di mia madre: la musica pop anni Ottanta/Novanta, con i Talking Heads di David Byrne che è ancora uno dei miei preferiti. Ricordo la plastica, il libretto piegato, la mia curiosità maniacale. Poi è arrivata l’epoca dei cd, ho messo le cassette in un cartone e sono approdato ai grandi store, dove all’epoca c’erano le colonnine per poter ascoltare prima dell’acquisto. Ci passavo giornate intere, sentivo tutto quello che usciva, scroccavo di tutto, potevo anche provare i videogiochi. Il momento in cui mi si è aperto un mondo è stato quando amici di amici ci hanno tramandato un modo per sganciare il meccanismo di sicurezza che chiudeva la confezione e faceva suonare l’allarme all’uscita: così potevamo rubare tutti i cd che volevamo. Rock, metal, gli Iron Maiden, gli AC/DC.
Il problema era riuscire a tornare indenni dalle vasche in centro. L’umanità a Milano era brulicante e pittoresca. Su questa gradinata dove si sedevano tutti al Virgin Megastore c’erano i tamarri appostati per rompere il cazzo alla gente, e all’epoca avevi il terrore di beccare qualcuno; ero sempre in paranoia che mi rubassero il cappellino. Ma sarebbe durata poco.
Poi è arrivato il periodo in cui i cd si potevano affittare e lì per me è stata la vera svolta: posso dire che il noleggio ha contribuito a cambiarmi la vita. Con questo sistema potevo prendere tutta la musica che volevo e ho iniziato ad ascoltare del rock che conteneva il rap, come quello dei Rage Against the Machine: il cantante, Zack de la Rocha, era un rapper a tutti gli effetti anche se era un rivoluzionario, la musica era metal ma il tipo rappava; oppure i Beastie Boys, che erano metà punk metà rap. Quasi tutti i pomeriggi andavo in un fantastico negozio di noleggio vicino alle Colonne di San Lorenzo: il gestore aveva la barba lunga e gli occhi azzurri, sembrava uno degli ZZ Top.
Quando è arrivato internet, per me è stato tutto in discesa: una scoperta incredibile, uno strumento dalle possibilità infinite per capire, per fare domande e trovare risposte in tempo zero, anche per la musica. C’era un programma che si chiamava Napster e ti permetteva di scaricare un sacco di pezzi: in quegli anni di mezzo dopo la fine del liceo io mi trovavo con Marra, tra un lavoro e una serata di cazzeggio salivamo a casa e ci scaricavamo di tutto. Adesso ovviamente è molto più facile perché i ragazzini possono trovare qualsiasi cosa sia per ascoltare sia per informarsi, ma ancora non c’erano né YouTube né Spotify e forse non avevamo neanche iniziato a usare Google, era tutto davvero all’inizio. All’epoca avevo subito capito che, oltre a vedere i porno, internet mi serviva anche a quello, e così con Napster mi sono ascoltato tutto, pop, reggae, soul, black music, da Bob Marley a Marvin Gaye.
All’epoca, quando è arrivato Napster ci siamo subito gettati nella ricerca, nella sete di sapere. Era un sogno, perché per noi la cosa più importante era la musica e, forse proprio perché abbiamo vissuto il passaggio dal non avere internet ad averlo, ci siamo buttati a capofitto.
Non riesco a capire come mai i ragazzini di adesso non abbiano la curiosità anche solo di andare a sentire una cosa diversa, a informarsi anziché commentare su Instagram a cazzo senza sapere di cosa stanno parlando, alla fine Google è un amico e può anche aiutare a sapere molte cose, ma a quanto pare oggi è più importante contare i follower. Ora il rap è talmente di moda da trasformarsi in un mucchio di bambini che fanno corna e linguacce nella foto profilo. Il rap italiano è diventato un videomessaggio per Francesca e i suoi diciotto anni.
Io più che altro sono cresciuto con il reggae, perché in quel periodo in Italia non c’erano alternative visto che, prima di fare il salto e diventare famoso, nelle discoteche di un certo tipo non mi facevano entrare. Quindi, non potendo andare in posti come l’Hollywood, frequentavo certi cazzo di sotterranei che di hollywoodiano non avevano niente: a Milano c’era la Pergola, l’H2O sotto lo Stabilimento dell’acqua potabile… lì sotto avevano ricavato un posto dove andavo sempre ad ascoltare il reggae: ricordo benissimo la porticina per entrare, il fumo, le luci, l’ammasso di gente sudata e la musica a palla. Queste musiche, questo tipo di festa, ce l’ho nella testa ancora adesso, mi sono rimasti dentro, infatti nell’ultimo disco ho messo molti suoni dei Caraibi. Appena ne ho avuto la possibilità ho iniziato a viaggiare parecchio in Sudamerica, sognavo le donne latine e ne ho frequentate di stupende. Nel tempo ho affiancato ai ritmi giamaicani quelli latini, di cui sono fanatico, ben prima che esplodesse in Italia la moda del reggaeton.
Nella testa ho linee di basso profonde, canne tutto il giorno; chi smazzava fumo e coca, chi dipingeva, chi faceva le flessioni e a un certo punto si alzava per mettersi a fare questi cd per poi venderli. Era una sorta di trap house all’italiana, c’era anche un mega masterizzatore, una cosa simile alle fotocopiatrici degli uffici con cui durante il giorno facevamo mixtape a raffica, scaricando i successi del momento. Erano i famosi cd masterizzati che tutti ricordano e che si trovavano ovunque anche all’estero, per esempio ricordo che ancora anni dopo a New York bastava andare un po’ fuori Manhattan e ti fermavano tutti per strada per venderti questi mixtape.
Le tecnologie nel frattempo sono cambiate mille volte, e tra le varie cose che sono passate in questi vent’anni io penso di essere stato uno dei pochi ad aver avuto il minidisc, che era figo perché era già digitale, con un piccolo floppy. Anche il cd stava diventando vetusto ma i cd masterizzati si sono trovati in giro ancora per un po’, poi il lettore mp3 ha dato un colpo a questo tipo di supporti e adesso tutto sta completamente sparendo, perché ascolteremo sempre di più la musica sul cellulare.
Noi abbiamo iniziato il nostro business esattamente nel momento in cui c’è stata la crisi dell’industria discografica dovuta a internet nei primi anni Duemila, però le carte in tavola stanno già cambiando di nuovo con lo streaming.
Nella mia collezione di cd e vinili originali, ho ancora qualche mixtape fatto da noi all’epoca.
Se parli con mia madre, ti dirà che la mia post-adolescenza è stata impegnata a imbustare, spedire, sbattermi per vendere magliette, mixtape, oggetti, correre in posta. Penso di essere nato “hustler”, termine intraducibile in Italia ma che intende il “trafficare”, sbattersi per fare dei soldi. La mia serie di mixtape Fastlife è tutt’ora un culto, ho rappato su tutte le basi americane di quegli anni principalmente del mio lifestyle dell’epoca, cambiando un sacco di stili e di flow. E vendendone centinaia di copie a mano. Crescendo ho affinato il mio status di hustler aprendo una gioielleria, entrando in società estranee alla musica e facendo praticamente tutto quello che mi facesse guadagnare ma nello stesso tempo fosse un minimo stiloso.
Ho venduto di tutto
Dischi, collane, magliette, puttane
Per fare star bene mio padre e mia madre
Per prendere un volo intercontinentale
Squalo, da Vero

CONTAGIO

Uno che già negli anni Novanta aveva il giradischi era Jake, che poi divenne il mio socio nei Club Dogo.
Quelli che arrivavano a essere infettati dal contagio dell’hip-hop partivano tutti da un motivo strano ed erano comunque un po’ dei casi umani: o avevano un fratello o un amico più grande che gli faceva sentire qualcosa, o avevano visto in tv la break dance e da lì avevano deciso di approfondire e conoscere meglio tutto quello che stava dietro a livello musicale e di ambiente. Quando ci siamo conosciuti, Jake veniva dalla techno e si stava avvicinando al rap, Emi gli gravitava spesso intorno ed è così che l’ho ritrovato dopo che avevamo fatto la prima elementare insieme.
Jake in quel periodo aveva i capelli blu elettrico, piumino Walls (l’antagonista zarro dell’Aspesi o del Moncler) ed era praticamente l’anello di congiunzione fra tamarro e hip-hop. Un personaggio fantasmagorico che ringrazio Dio o il Diavolo per averlo messo sul mio cammino. Con Emi erano pappa e ciccia, andavano insieme in discoteca, mazzate a go-go, e si sono beccati in pieno la fase delle pastiglie, che io invece non ho mai attraversato. In quel periodo, tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, non mi piaceva la musica che si sentiva in discoteca, quindi il discorso delle droghe sintetiche l’ho saltato completamente.
Dovevo ancora finire la scuola, mentre loro due erano qualche anno più grandi di me ed erano sempre insieme perché in discoteca facevano anche dei lavori come pr, nel periodo delle famose truffe di Emi a quei fighetti dei sancarlini; in più Jake faceva il writer. Milano è stata una scuola importante per i graffiti, a molti di questi tipi piacevano anche il rap e la break dance, ma in realtà non era un passaggio obbligato che il writer fosse anche interessato all’hip-hop, anzi, tanti erano truzzi e non gliene fregava niente, al massimo ascoltavano il rap che in quel periodo andava più di moda, come gli Articolo 31 e Neffa.

IN UN SECONDO

Quando io ero bambino la Pina era praticamente l’unica rapper donna famosa in Italia: collaborava con il gruppo Otierre ed era fidanzata con il loro rapper, Esa. Io la conoscevo bene perché era la figlia di un carissimo amico di mio padre e veniva ogni tanto a farmi da babysitter.
Andavamo sempre in vacanza in Toscana con la mia famiglia e lei arrivava in paese con tutta questa gente, quindi ogni volt...

Índice

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Guérriero: Storie di sofisticata ignoranza
  4. 1. Coming of age
  5. 2. I guerrieri della notte
  6. 3. Affari di famiglia
  7. 4. Vero
  8. 5. Primo round
  9. 6. Business is business
  10. 7. Inferno
  11. 8. Radici
  12. 9. Around the world
  13. 10. Visioni
  14. Copyright
Estilos de citas para Guérriero

APA 6 Citation

Pequeno, G. (2018). Guérriero ([edition unavailable]). RIZZOLI LIBRI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3303431/gurriero-pdf (Original work published 2018)

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Pequeno, Gué. (2018) 2018. Guérriero. [Edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. https://www.perlego.com/book/3303431/gurriero-pdf.

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Pequeno, G. (2018) Guérriero. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. Available at: https://www.perlego.com/book/3303431/gurriero-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Pequeno, Gué. Guérriero. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI, 2018. Web. 15 Oct. 2022.