Visto che non potevo fare il gangster, ho scelto subito di fare il rapper.
Sono cresciuto guardando i film dâazione degli anni Ottanta/Novanta, che erano molto diversi da quello che vede oggi un ragazzino: non erano come gli Avengers, dove câĂš tanto cash per gli effetti speciali ma poi non muore nessuno. Erano espliciti come il rap che mi piaceva, con dei veri e propri massacri, come quando Schwarzenegger in Commando impalava il tipo col tubo del gas.
Da piccolo guardavo anche i cartoni giapponesi piĂč violenti: Ken il guerriero che faceva letteralmente saltare in aria la gente, Lâuomo tigre che era un lago di sangue sul ring, Devilman, lo studente che faceva un patto col diavolo in discoteca e si trasformava in demonio.
I miei modelli erano quelli dei film di gangster. Di certo da grande non volevo fare il dottore. Mi ispiravano quelli che vendevano la droga, che rubavano i motorini, coi vestiti piĂč fighi dellâepoca e il Nokia modello Banana, una chicca della street italiana anni Novanta.
Superato il lutto per la morte di Kurt Cobain, ho capito che il rap era la svolta della vita, ho abbandonato le camicie a scacchi di flanella e ho iniziato a inseguire orologi di lusso e capi firmati. Da lĂŹ a quindici anni mi vedevo a bordo ring, su un palco, in qualche hotel con una modella esotica. E cosĂŹ fu.
La musica rap rispecchiava esattamente il mio immaginario, sembrava che lâavessero fatta apposta per me. Erano i tempi della faida fra East Coast e West Coast, Notorious B.I.G. e Tupac Shakur, che poi sono morti sparati tutti e due. I testi avevano questi racconti espliciti che erano anche molto cinematografici, e per quanto riguarda la forma appresi appieno la loro lezione.
Ho desiderato cosĂŹ tanto fare parte di questo mondo che crescendo, da artista, lâho vissuto veramente. Interpretare da Oscar GuĂ© Pequeno pur rimanendo Cosimo mi ha dato credibilitĂ e mi ha aperto la strada a certe esperienze e sottomondi, dove ho potuto conoscere personaggi da film che hanno reso, fino a adesso, la mia vita incredibile. Ho saputo dipingere i beat e filmare in rima un certo tipo di vicende tanto che le cittĂ mi hanno legittimato a essere uno dei loro migliori portavoce.
Lâhip-hop era la mia vita, crescendo in quel contesto ho fatto una sorta di doppio giuramento: avrei dato la mia fedeltĂ alla musica, ma anche al codice della strada che mi ha formato e mi ha fatto arrivare dove sono. Queste due cose per me vivono insieme. Ho capito subito anche il fatto che non ne sarei mai uscito, come se fosse una cosa da samurai, con i valori della lealtĂ , della fratellanza, del non infamare nĂ© tradire un compagno.
Câera della gente che poi diventava grande e abbandonava queste idee, mentre io crescendo ho continuato a sceglierle.
Tutti sognavamo che la tecnologia contribuisse a cambiare il business della musica, che ormai da anni, tranne le solite eccezioni, era praticamente bloccato. Da quando non ci sono piĂč i cd finalmente lo streaming permette oggi di avere un pubblico meno limitato; giĂ il fatto che gli ascolti streaming vengano considerati come pezzi venduti Ăš giustissimo e sarĂ fondamentale per dare il valore corretto al lavoro di certi artisti. Ma in piĂč lâavvento di Spotify Ăš straordinario, perchĂ© abbatte completamente le frontiere. Spotify Ăš la nuova radio: tu ti fai la tua playlist e decidi cosa ascoltare senza subire lâimposizione di qualcuno che sceglie per te.
Ora puĂČ capitare che trovi dei pezzi italiani in playlist straniere oppure in chart mondiali, perchĂ© le piattaforme di streaming fanno fluire la musica in modo piĂč immediato, e se tu hai un suono allâaltezza di un pubblico mondiale lo puoi raggiungere in maniera incredibilmente piĂč facile rispetto anche solo a pochissimo tempo fa.
Per esempio la serie Gomorra Ăš stata un grande successo in Francia, quindi questo Ăš stato il momento in cui altri artisti italiani hanno fatto dei featuring con rapper francesi. Io lâavevo giĂ fatto nel 2015 con Joke, ma sbagliando i tempi perchĂ© ero troppo in anticipo. (Tra le cose che ho fatto in anticipo: mettermi dei denti dâoro, portare la âpiazzaâ sul palco, indossare e creare bling bling personalizzati, usare lâautotune, vestire Stone Island, Supreme, Kappa, Champion, Gucci, Vuitton, Fendi, citare tutti i marchi nelle rime, swaggare, avere unâetichetta indipendente, creare un brand di streetwear, andare nei gossip con delle fighe famose, sdoganare e istituzionalizzare lo show del rapper nei club commerciali, indossare Rolex veri, mettere questo lifestyle nelle rime, citare cibo e alcol costosi, e la lista continua.)
Naturalmente il fatto che in un Paese diverso il testo non sia comprensibile fa sĂŹ che per il rap sia molto piĂč difficile esportare i brani rispetto ad altri generi musicali, perchĂ© se togli il significato delle parole perdi veramente la cosa piĂč importante, soprattutto per quei rapper che ci tengono a scrivere in un certo modo.
Grazie a piattaforme come Spotify il rap sta definitivamente avendo quello che si merita, anche se a mio avviso ora le certificazioni sono un poâ sbilanciate, ma vedremo cosa succederĂ .
Fino a poco fa in Italia per fare certi numeri dovevi per forza cercare il mainstream con qualcosa che riuscisse a passare in tv o alla radio. Per me questo discorso di piacere a tutti, di dover dipendere dalle radio, non ha senso, e ho lottato tutta la mia carriera per arrivare dove sono adesso. Di base ho finto di non essere in Italia, facendo quello che mi sentivo al cento per cento con la mia musica, coi suoi conseguenti pro e contro.
Raggiungere il vero successo senza aver dovuto leccare il culo di nessuno e fondamentalmente dicendo e facendo pubblicamente quello che mi pareva Ăš una bella sensazione alla fine. Penso al fatto che Ăš buffo aver avuto successo con lâhip-hop in un Paese dove a mio parere questo genere non Ăš mai stato decifrato e apprezzato in pieno.
Quando ero bambino ascoltavo le cassette di mia madre: la musica pop anni Ottanta/Novanta, con i Talking Heads di David Byrne che Ăš ancora uno dei miei preferiti. Ricordo la plastica, il libretto piegato, la mia curiositĂ maniacale. Poi Ăš arrivata lâepoca dei cd, ho messo le cassette in un cartone e sono approdato ai grandi store, dove allâepoca câerano le colonnine per poter ascoltare prima dellâacquisto. Ci passavo giornate intere, sentivo tutto quello che usciva, scroccavo di tutto, potevo anche provare i videogiochi. Il momento in cui mi si Ăš aperto un mondo Ăš stato quando amici di amici ci hanno tramandato un modo per sganciare il meccanismo di sicurezza che chiudeva la confezione e faceva suonare lâallarme allâuscita: cosĂŹ potevamo rubare tutti i cd che volevamo. Rock, metal, gli Iron Maiden, gli AC/DC.
Il problema era riuscire a tornare indenni dalle vasche in centro. LâumanitĂ a Milano era brulicante e pittoresca. Su questa gradinata dove si sedevano tutti al Virgin Megastore câerano i tamarri appostati per rompere il cazzo alla gente, e allâepoca avevi il terrore di beccare qualcuno; ero sempre in paranoia che mi rubassero il cappellino. Ma sarebbe durata poco.
Poi Ăš arrivato il periodo in cui i cd si potevano affittare e lĂŹ per me Ăš stata la vera svolta: posso dire che il noleggio ha contribuito a cambiarmi la vita. Con questo sistema potevo prendere tutta la musica che volevo e ho iniziato ad ascoltare del rock che conteneva il rap, come quello dei Rage Against the Machine: il cantante, Zack de la Rocha, era un rapper a tutti gli effetti anche se era un rivoluzionario, la musica era metal ma il tipo rappava; oppure i Beastie Boys, che erano metĂ punk metĂ rap. Quasi tutti i pomeriggi andavo in un fantastico negozio di noleggio vicino alle Colonne di San Lorenzo: il gestore aveva la barba lunga e gli occhi azzurri, sembrava uno degli ZZ Top.
Quando Ăš arrivato internet, per me Ăš stato tutto in discesa: una scoperta incredibile, uno strumento dalle possibilitĂ infinite per capire, per fare domande e trovare risposte in tempo zero, anche per la musica. Câera un programma che si chiamava Napster e ti permetteva di scaricare un sacco di pezzi: in quegli anni di mezzo dopo la fine del liceo io mi trovavo con Marra, tra un lavoro e una serata di cazzeggio salivamo a casa e ci scaricavamo di tutto. Adesso ovviamente Ăš molto piĂč facile perchĂ© i ragazzini possono trovare qualsiasi cosa sia per ascoltare sia per informarsi, ma ancora non câerano nĂ© YouTube nĂ© Spotify e forse non avevamo neanche iniziato a usare Google, era tutto davvero allâinizio. Allâepoca avevo subito capito che, oltre a vedere i porno, internet mi serviva anche a quello, e cosĂŹ con Napster mi sono ascoltato tutto, pop, reggae, soul, black music, da Bob Marley a Marvin Gaye.
Allâepoca, quando Ăš arrivato Napster ci siamo subito gettati nella ricerca, nella sete di sapere. Era un sogno, perchĂ© per noi la cosa piĂč importante era la musica e, forse proprio perchĂ© abbiamo vissuto il passaggio dal non avere internet ad averlo, ci siamo buttati a capofitto.
Non riesco a capire come mai i ragazzini di adesso non abbiano la curiositĂ anche solo di andare a sentire una cosa diversa, a informarsi anzichĂ© commentare su Instagram a cazzo senza sapere di cosa stanno parlando, alla fine Google Ăš un amico e puĂČ anche aiutare a sapere molte cose, ma a quanto pare oggi Ăš piĂč importante contare i follower. Ora il rap Ăš talmente di moda da trasformarsi in un mucchio di bambini che fanno corna e linguacce nella foto profilo. Il rap italiano Ăš diventato un videomessaggio per Francesca e i suoi diciotto anni.
Io piĂč che altro sono cresciuto con il reggae, perchĂ© in quel periodo in Italia non câerano alternative visto che, prima di fare il salto e diventare famoso, nelle discoteche di un certo tipo non mi facevano entrare. Quindi, non potendo andare in posti come lâHollywood, frequentavo certi cazzo di sotterranei che di hollywoodiano non avevano niente: a Milano câera la Pergola, lâH2O sotto lo Stabilimento dellâacqua potabile⊠lĂŹ sotto avevano ricavato un posto dove andavo sempre ad ascoltare il reggae: ricordo benissimo la porticina per entrare, il fumo, le luci, lâammasso di gente sudata e la musica a palla. Queste musiche, questo tipo di festa, ce lâho nella testa ancora adesso, mi sono rimasti dentro, infatti nellâultimo disco ho messo molti suoni dei Caraibi. Appena ne ho avuto la possibilitĂ ho iniziato a viaggiare parecchio in Sudamerica, sognavo le donne latine e ne ho frequentate di stupende. Nel tempo ho affiancato ai ritmi giamaicani quelli latini, di cui sono fanatico, ben prima che esplodesse in Italia la moda del reggaeton.
Nella testa ho linee di basso profonde, canne tutto il giorno; chi smazzava fumo e coca, chi dipingeva, chi faceva le flessioni e a un certo punto si alzava per mettersi a fare questi cd per poi venderli. Era una sorta di trap house allâitaliana, câera anche un mega masterizzatore, una cosa simile alle fotocopiatrici degli uffici con cui durante il giorno facevamo mixtape a raffica, scaricando i successi del momento. Erano i famosi cd masterizzati che tutti ricordano e che si trovavano ovunque anche allâestero, per esempio ricordo che ancora anni dopo a New York bastava andare un poâ fuori Manhattan e ti fermavano tutti per strada per venderti questi mixtape.
Le tecnologie nel frattempo sono cambiate mille volte, e tra le varie cose che sono passate in questi ventâanni io penso di essere stato uno dei pochi ad aver avuto il minidisc, che era figo perchĂ© era giĂ digitale, con un piccolo floppy. Anche il cd stava diventando vetusto ma i cd masterizzati si sono trovati in giro ancora per un poâ, poi il lettore mp3 ha dato un colpo a questo tipo di supporti e adesso tutto sta completamente sparendo, perchĂ© ascolteremo sempre di piĂč la musica sul cellulare.
Noi abbiamo iniziato il nostro business esattamente nel momento in cui câĂš stata la crisi dellâindustria discografica dovuta a internet nei primi anni Duemila, perĂČ le carte in tavola stanno giĂ cambiando di nuovo con lo streaming.
Nella mia collezione di cd e vinili originali, ho ancora qualche mixtape fatto da noi allâepoca.
Se parli con mia madre, ti dirĂ che la mia post-adolescenza Ăš stata impegnata a imbustare, spedire, sbattermi per vendere magliette, mixtape, oggetti, correre in posta. Penso di essere nato âhustlerâ, termine intraducibile in Italia ma che intende il âtrafficareâ, sbattersi per fare dei soldi. La mia serie di mixtape Fastlife Ăš tuttâora un culto, ho rappato su tutte le basi americane di quegli anni principalmente del mio lifestyle dellâepoca, cambiando un sacco di stili e di flow. E vendendone centinaia di copie a mano. Crescendo ho affinato il mio status di hustler aprendo una gioielleria, entrando in societĂ estranee alla musica e facendo praticamente tutto quello che mi facesse guadagnare ma nello stesso tempo fosse un minimo stiloso.
Ho venduto di tutto
Dischi, collane, magliette, puttane
Per fare star bene mio padre e mia madre
Per prendere un volo intercontinentale
Squalo, da Vero
Uno che giĂ negli anni Novanta aveva il giradischi era Jake, che poi divenne il mio socio nei Club Dogo.
Quelli che arrivavano a essere infettati dal contagio dellâhip-hop partivano tutti da un motivo strano ed erano comunque un poâ dei casi umani: o avevano un fratello o un amico piĂč grande che gli faceva sentire qualcosa, o avevano visto in tv la break dance e da lĂŹ avevano deciso di approfondire e conoscere meglio tutto quello che stava dietro a livello musicale e di ambiente. Quando ci siamo conosciuti, Jake veniva dalla techno e si stava avvicinando al rap, Emi gli gravitava spesso intorno ed Ăš cosĂŹ che lâho ritrovato dopo che avevamo fatto la prima elementare insieme.
Jake in quel periodo aveva i capelli blu elettrico, piumino Walls (lâantagonista zarro dellâAspesi o del Moncler) ed era praticamente lâanello di congiunzione fra tamarro e hip-hop. Un personaggio fantasmagorico che ringrazio Dio o il Diavolo per averlo messo sul mio cammino. Con Emi erano pappa e ciccia, andavano insieme in discoteca, mazzate a go-go, e si sono beccati in pieno la fase delle pastiglie, che io invece non ho mai attraversato. In quel periodo, tra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila, non mi piaceva la musica che si sentiva in discoteca, quindi il discorso delle droghe sintetiche lâho saltato completamente.
Dovevo ancora finire la scuola, mentre loro due erano qualche anno piĂč grandi di me ed erano sempre insieme perchĂ© in discoteca facevano anche dei lavori come pr, nel periodo delle famose truffe di Emi a quei fighetti dei sancarlini; in piĂč Jake faceva il writer. Milano Ăš stata una scuola importante per i graffiti, a molti di questi tipi piacevano anche il rap e la break dance, ma in realtĂ non era un passaggio obbligato che il writer fosse anche interessato allâhip-hop, anzi, tanti erano truzzi e non gliene fregava niente, al massimo ascoltavano il rap che in quel periodo andava piĂč di moda, come gli Articolo 31 e Neffa.
Quando io ero bambino la Pina era praticamente lâunica rapper donna famosa in Italia: collaborava con il gruppo Otierre ed era fidanzata con il loro rapper, Esa. Io la conoscevo bene perchĂ© era la figlia di un carissimo amico di mio padre e veniva ogni tanto a farmi da babysitter.
Andavamo sempre in vacanza in Toscana con la mia famiglia e lei arrivava in paese con tutta questa gente, quindi ogni volt...