Il nipote di Rameau
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Il nipote di Rameau

Denis Diderot

  1. 194 páginas
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Il nipote di Rameau

Denis Diderot

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Scritto nel 1762, ma pubblicato solo nel 1823, dopo essere stato tradotto in tedesco da Goethe nel 1805, Il nipote di Rameau è una delle opere più originali di Diderot. Nel dialogo immaginario tra lo stesso autore e il nipote del celebre musicista Rameau - un parassita avviato dallo zio allo studio della musica, incapace di adattarsi a un mestiere qualsiasi, ma maestro solo nell'arte dell'ipocrisia - emerge la critica e il ritratto deformato della società settecentesca dei salons, dei filosofi e soprattutto del vizio e della noia. Rameau svela i suoi difetti, ma "è colpa dei costumi della nazione, non mia colpa", dice, spostando la responsabilità sui potenti e sull'intera società.

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Información

Editorial
BUR
Año
2013
ISBN
9788858651131

IL NIPOTE DI RAMEAU

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Vertumnis, quotquot sunt, natus iniquis1.
ORAZIO, Satire, II, 7
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Che faccia bello o brutto tempo, è mia abitudine andare, verso le cinque di sera, a passeggio nei giardini del Palazzo reale2: son io colui che si vede sempre solo, pensoso, sulla panca d’Argenson. Mi intrattengo con me stesso di politica, di amore, di cose d’arte o di filosofia; abbandono lo spirito alle più libere divagazioni: lo lascio padrone di seguire la prima idea saggia o folle che si presenti, al modo che si vedono, nel viale di Foy, i nostri giovanotti dissoluti seguire i passi di una cortigiana dall’aria svagata, dal viso ridente, l’occhio vivace, il naso all’insù, lasciar questa per un’altra, attaccandole tutte senza impegnarsi con nessuna. I miei pensieri sono le mie donnine equivoche.
Se il tempo è troppo freddo o troppo piovoso, mi rifugio al caffè della Reggenza3: là dentro mi diverto a veder giocare agli scacchi. Parigi è il posto del mondo, e il caffè della Reggenza è il posto di Parigi ove si gioca meglio agli scacchi; è da Rey che si affrontano il profondo Légal, l’acuto Philidor, il solido Mayot4; che si vedono le mosse più sorprendenti e si ascoltano i discorsi più assurdi; perché se si può essere un uomo di ingegno e un grande giocatore di scacchi come Légal, si può anche essere un grande giocatore di scacchi e uno stupido come Foubert e Mayot.
Un pomeriggio mi trovavo là, tutto intento a guardare, parlando poco ed ascoltando il meno possibile, quando mi si avvicinò uno dei personaggi più bizzarri di questo paese al quale Iddio non ne ha fatti mancare. È un insieme di nobiltà d’animo e di bassezza, di buon senso e di follia: le nozioni di ciò che è onesto e di ciò che è disonesto devono essere assai stranamente mescolate nella sua testa, perché egli mostra senza ostentazione quel tanto di buone qualità che la natura gli ha dato, e le cattive senza pudore. Inoltre, è dotato di una costituzione robusta, di un calore di immaginazione singolare, e di una forza di polmoni poco comune. Se vi capiterà di incontrarlo, vi metterete le dita nelle orecchie, o fuggirete, a meno che la sua originalità non vi trattenga. Dio, che terribili polmoni! Nulla è più dissimile da lui di lui stesso. Talvolta è magro e scavato come un malato all’ultimo grado di consunzione: gli si potrebbero contare i denti attraverso le guance, si direbbe che abbia passato molti giorni senza mangiare, o che esca dalla Trappa 5. Il mese dopo, è grasso e ben pasciuto come se non si fosse mai alzato dalla tavola di un finanziere, o fosse stato rinchiuso in un convento di Bernardini. Oggi con la camicia sporca, i pantaloni strappati, tutto lacero, semiscalzo, se ne va a testa bassa, sfugge, e si sarebbe tentati di chiamarlo per dargli l’elemosina. Domani, incipriato, ben calzato, pettinato, elegante, cammina a testa alta, si fa notare, e lo scambiereste quasi per un galantuomo. Vive alla giornata, triste o lieto secondo le circostanze. II suo primo pensiero, quando si alza al mattino, è di sapere dove andrà a pranzare; dopo pranzo si domanda dove farà la cena. Anche la notte ha il suo problema: egli allora raggiunge a piedi una piccola soffitta dove abita, a meno che la padrona, stanca di aspettare il fitto, non si sia fatta restituire la chiave; oppure si caccia in una taverna dei sobborghi e là aspetta il giorno davanti a un pezzo di pane e a un boccale di birra. Quando non ha nemmeno sei soldi in tasca, il che talvolta gli accade, ricorre a qualche vetturino suo amico, o al cocchiere di un gran signore, che gli dà un letto sulla paglia, accanto ai cavalli: al mattino ha ancora parte del suo materasso nei capelli. Se la stagione è mite, passeggia tutta la notte su e giù per il Corso o per i Campi Elisi6. Ricompare col giorno in città, vestito dalla vigilia per l’indomani, e talora dall’indomani per il resto della settimana. Io non ho stima di siffatti originali; altri entrano con loro in rapporti di familiarità e perfino di amicizia; ma quanto a me, fermano la mia attenzione una volta all’anno, quando li incontro, perché il loro carattere si stacca da quello degli altri, ed essi rompono la noiosa uniformità che la nostra educazione, le nostre convenzioni sociali, le nostre abitudini hanno introdotto. Se ne capita uno in qualche compagnia, è come un granello di lievito che fermenta e che restituisce a ciascuno una parte della sua individualità naturale 7. Scuote, agita, fa approvare o biasimare, fa uscire la verità, fa conoscere le persone perbene, smaschera i furfanti: allora l’uomo di buon senso ascolta e giudica la gente.
Conoscevo costui da gran tempo. Frequentava una casa della quale il suo talento gli aveva aperto la porta. Vi era una figlia unica, e al padre e alla madre egli giurava che l’avrebbe sposata. Essi alzavano le spalle, gli ridevano sul naso, gli dicevano che era matto, eppure io vidi il giorno in cui la cosa avvenne davvero. Mi chiedeva in prestito qualche scudo, e io glielo davo. Si era introdotto, non so come, in alcune case di gente perbene, ove aveva il suo posto a tavola, ma a condizione che non parlasse senza prima averne il permesso. Taceva, dunque, e mangiava rabbiosamente; era magnifico a vedersi in questi frangenti. Se gli veniva desiderio di rompere il patto, e apriva la bocca, alla prima parola tutti gli invitati esclamavano: «Rameau!». Allora la collera scintillava nei suoi occhi ed egli si rimetteva a mangiare più rabbiosamente. Eravate curiosi di conoscere il nome dell’uomo, e ora lo conoscete. È il nipote di quel celebre musicista8 che ci ha liberati dal canto di chiesa del Lulli che noi salmodiavamo da più di cento anni, che nei suoi scritti ha esposto tante visioni inintelligibili e verità apocalittiche sulla teoria della musica, di cui né lui né nessuno ha mai capito nulla, e del quale ancora restano un certo numero di opere che contengono armonie, spunti di canto, idee scucite, fracasso, voli, trionfi, lance, glorie, sussurri, vittorie da restar senza fiato, arie di danza che rimarranno eterne. Egli ha sepolto il maestro fiorentino ma poi a sua volta sarà sepolto dai virtuosi italiani, cosa che presagiva, e che lo rendeva malinconico, nervoso, triste, insocievole; perché nessuno ha tanto cattivo umore, neppure una bella donna che si sveglia con un foruncolo sul naso, quanto un autore che minaccia di sopravvivere alla sua fama, testimoni Marivaux e Crébillon figlio9.

(Mi si avvicina...). Ah! ah! eccovi, signor filosofo! Che fate qui, in questo mucchio di fannulloni? Anche voi perdete il tempo a far muovere pezzetti di legno? (Così si dice con disprezzo del gioco della dama o degli scacchi.)
IO No; ma quando non ho nulla di meglio da fare, mi diverto a guardare un attimo quelli che li sanno far muovere bene.
LUI In questo caso, vi divertite di rado: ad eccezione di Légal e di Philidor, gli altri non se ne intendono affatto.
IO E il signor di Bissy, allora10?
LUI Questi è, come giocatore di scacchi, quel che la signorina Clairon è come attrice: ambedue sanno di quei giochi tutto ciò che se ne può imparare.
IO Siete difficile, e vedo che non fate grazia che agli uomini sublimi.
LUI Sì, quando si tratta del gioco degli scacchi, della dama, di poesia, di eloquenza, di musica. A che serve la mediocrità, in cose di questo genere?
IO A poco, ne convengo. Ma sta di fatto che un buon numero di gente vi si deve applicare perché venga fuori l’uomo di genio: il quale è uno, nella moltitudine11. Ma lasciamo da parte questo discorso. È un’eternità che non vi vedo. Non penso affatto a voi, quando non vi vedo; ma mi fa sempre piacere rivedervi. Che avete fatto?
LUI Quello che voi, io e tutti gli altri fanno: del bene, del male, e nulla. E poi ho avuto fame, e ho mangiato quando se n’è presentata l’occasione; dopo aver mangiato, ho avuto sete, e talvolta ho bevuto. Intanto mi cresceva la barba, e quando era diventata lunga la facevo radere.
IO Avete fatto male. È la sola cosa che vi manca per essere saggio.
LUI È vero. Ho la fronte spaziosa e solcata, l’occhio ardente, il naso pronunziato, le gote larghe, le sopracciglia nere e folte, la bocca ben tagliata, il labbro sporgente e il volto quadro12. Se questo vasto mento fosse coperto da una lunga barba, sapete che ciò figurerebbe assai bene in bronzo o in marmo13?
IO Accanto a un Cesare, a un Marco Aurelio, a un Socrate?
LUI No. Mi troverei meglio tra Diogene e Frine14: sono sfrontato come il primo e frequento volentieri le altre.
IO State sempre bene?
LUI Di solito, sì, ma quest’oggi non troppo.
IO Come? vi vedo un ventre da Sileno e un viso...
LUI Un viso che si scambierebbe per il suo opposto. Il fatto è che il malumore che fa dimagrire il mio caro zio ingrassa apparentemente il suo caro nipote.
IO A proposito dello zio, lo vedete talvolta?
LUI Sì, passare per strada.
IO Non vi fa del bene, forse?
LUI Se ne fa a qualcuno, è senza accorgersene. È un filosofo, nel suo genere15: non pensa che a sé, e il resto dell’universo non esiste, per lui. Sua figlia e sua moglie possono morire quando vorranno: purché le campane della parrocchia che suoneranno per loro continuino a risuonare la dodicesima e la diciassettesima16, sarà tutto bene. È una fortuna, per lui, ed è ciò che io apprezzo soprattutto, nelle persone di genio: non son buoni che a una cosa; oltre quella, nulla. Non sanno ciò che significhi essere cittadini, padri, madri, fratelli, parenti, amici. Sia detto tra di noi, occorre somigliar loro punto per punto, ma non desiderare che il seme se ne diffonda: occorrono uomini; ma uomini di genio, no, in fede mia, non ne occorrono affatto. Sono essi che mutano la faccia del mondo; e nelle più piccole cose la stupidità è così comune e possente che non la si può riformare senza gran fracasso. Una parte di quel che essi hanno ideato si realizza, un’altra resta come stava; donde due evangeli e un abito da Arlecchino. La saggezza del monaco di Rabelais17 è la vera saggezza fatta per la tranquillità sua e per quella degli altri: fare il proprio dovere alla meno peggio, dire sempre bene del signor priore, e lasciar andare il mondo a sua fantasia. Va bene, poiché la maggioranza ne è contenta. Se io conoscessi la storia, vi dimostrerei che il male quaggiù è venuto sempre per colpa di qualche uomo di genio; ma io non conosco la storia, perché non so nulla di nulla: il diavolo mi porti se ho mai imparato nulla e se, per non aver mai imparato nulla, me ne trovo peggio. Un giorno ero alla tavola di un ministro del re di Francia18, uomo pieno di spirito; ebbene, egli ci dimostrò, chiaro come uno e uno fanno due, che nulla era più utile ai popoli della menzogna, nulla più nocivo della verità. Non ricordo bene come lo dimostrasse, ma ne risultava con evidenza che le persone di genio sono odiose, e che se un bambino, nascendo, portasse sulla fronte i segni di questo dono pericoloso della natura, lo si dovrebbe soffocare o gettare in un canile19.
IO Eppure questi personaggi, così nemici del genio, pretendono tutti di averne.
LUI Credo che lo pensino dentro di sé, ma non che oserebbero confessarlo.
IO Per modestia, di certo. Voi, dunque, avete concepito un terribile odio contro il genio?
LUI Un odio irreducibile.
IO Eppure ricordo un tempo in cui eravate disperato di essere soltanto un uomo comune. Non sarete mai felice, se il pro e il contro vi dispiacciono in egual misura: bisognerebbe scegliere un partito e attenervisi. Pur convenendo con voi che i genii siano di solito singolari, e che, come dice il proverbio, non vi siano uomini grandi senza un granello di follia, non perciò ci ricrederemo: sempre si disprezzeranno i secoli che non hanno prodotto genii, sempre questi faranno la gloria dei popoli cui appartennero, presto o tardi si erigeranno loro statue, saranno considerati benefattori dell’umanità. E, senza offendere il sublime ministro che mi avete citato, giudico che, se la menzogna può essere utile per un momento, alla lunga è necessariamente nociva, mentre la verità, al contrario, anche se talvolta nuoce sul momento, col tempo risulterà certo utile20. Donde sarei tentato di concludere che l’uomo di genio il quale denuncia un errore generale, o accredita una grande verità, è sempre un essere degno della nostra venerazione. Può capitare che egli sia vittima del pregiudizio e delle leggi; ma vi sono due specie di leggi, le prime di una equità ed universalità assolute, le altre bizzarre, che devono la loro sanzione solo all’accecamento o alla necessità delle circostanze. Queste ultime coprono di un’ignominia solo passeggera il colpevole che le infrange; ignominia che il tempo riverserà invece sui giudici e sulle nazioni, perché vi resti in eterno. Chi è oggi disonorato: Socrate o il magistrato che gli fece bere la cicuta?
LUI Che bel vantaggio! Questo ha forse impedito che lo condannassero? che lo mettessero a morte? che fosse un cittadino turbolento? Per disprezzo di una cattiva legge non ha incoraggiato i pazzi al disprezzo delle buone? Non è stato un individuo troppo audace e bizzarro? Or ora non eravate lontano da una dichiarazione poco favorevole agli uomini di genio.
IO Ascoltate, mio caro. Una società non dovrebbe avere cattive leggi; e se possedesse solo leggi buone non si troverebbe mai nell’occasione di perseguitare un uomo di genio. Non ho affatto detto che il genio sia indissolubilmente legato alla malvagità, o che la malvagità lo sia al genio: uno sciocco sarà più spesso disposto al male che non un uomo d’ingegno. Ma quand’anche un uomo di genio fosse duro, difficile, spinoso, insopportabile, quand’anche fosse un malvagio, quale conclusione ne trarreste21?
LUI Che è buono da annegare.
IO Piano, mio caro. Certo, non intendo prendere come esempio vostro zio, che è un uomo duro, brutale, è privo di umanità, è avaro, è un cattivo padre, un cattivo sposo...

Índice

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. INTRODUZIONE
  4. IL NIPOTE DI RAMEAU
  5. NOTE
Estilos de citas para Il nipote di Rameau

APA 6 Citation

Diderot, D. (2013). Il nipote di Rameau ([edition unavailable]). RIZZOLI LIBRI. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3304834/il-nipote-di-rameau-pdf (Original work published 2013)

Chicago Citation

Diderot, Denis. (2013) 2013. Il Nipote Di Rameau. [Edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. https://www.perlego.com/book/3304834/il-nipote-di-rameau-pdf.

Harvard Citation

Diderot, D. (2013) Il nipote di Rameau. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI. Available at: https://www.perlego.com/book/3304834/il-nipote-di-rameau-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Diderot, Denis. Il Nipote Di Rameau. [edition unavailable]. RIZZOLI LIBRI, 2013. Web. 15 Oct. 2022.