Una sola chiesa
eBook - ePub

Una sola chiesa

Benedetto XVI, Papa Francesco

Compartir libro
  1. 272 páginas
  2. Italian
  3. ePUB (apto para móviles)
  4. Disponible en iOS y Android
eBook - ePub

Una sola chiesa

Benedetto XVI, Papa Francesco

Detalles del libro
Vista previa del libro
Índice
Citas

Información del libro

"Novità nella continuità": la formula usata da Benedetto XVI per definire l'apporto del Concilio Vaticano II alla vita della Chiesa può essere estesa all'azione di ciascun Pontefice rispetto a quella dei suoi predecessori. Nel caso di Papa Francesco, novità e continuità hanno un tratto unico: la presenza di un Papa emerito accanto al suo successore. In questi anni, i fedeli hanno potuto notare non solo le peculiarità degli stili teologici e pastorali nell'interpretare lo stesso Magistero, ma anche una profonda comunanza d'affetto tra i due Pontefici. Di tale intima vicinanza è segno durevole questo libro, che presenta fianco a fianco le voci a confronto di Benedetto XVI e Papa Francesco su temi cruciali per tutti gli uomini e le donne del nostro tempo. "Dio non è assurdo, semmai è mistero." "La preghiera non è una bacchetta magica." "Pregare significa sentire che il senso del mondo è fuori del mondo." "Dio ha una debolezza: la debolezza per gli umili." "Non è automatico che chi frequenta la casa di Dio e conosce la sua misericordia sappia amare il prossimo." "Sono i santi coloro che cambiano il mondo in meglio, lo trasformano in modo duraturo." Come scrive il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin nella sua presentazione, questo libro "è un 'abbecedario del cristianesimo' per riorientarsi sulla fede, la Chiesa, la famiglia, la preghiera, la verità e la giustizia, la misericordia e l'amore. La consonanza spirituale dei due Pontefici e la diversità del loro stile comunicativo moltiplicano le prospettive e arricchiscono l'esperienza dei lettori: non solo i fedeli ma tutte le persone che, in un'epoca di crisi e incertezza, riconoscono nella Chiesa una voce in grado di parlare ai bisogni e alle aspirazioni dell'uomo".

Preguntas frecuentes

¿Cómo cancelo mi suscripción?
Simplemente, dirígete a la sección ajustes de la cuenta y haz clic en «Cancelar suscripción». Así de sencillo. Después de cancelar tu suscripción, esta permanecerá activa el tiempo restante que hayas pagado. Obtén más información aquí.
¿Cómo descargo los libros?
Por el momento, todos nuestros libros ePub adaptables a dispositivos móviles se pueden descargar a través de la aplicación. La mayor parte de nuestros PDF también se puede descargar y ya estamos trabajando para que el resto también sea descargable. Obtén más información aquí.
¿En qué se diferencian los planes de precios?
Ambos planes te permiten acceder por completo a la biblioteca y a todas las funciones de Perlego. Las únicas diferencias son el precio y el período de suscripción: con el plan anual ahorrarás en torno a un 30 % en comparación con 12 meses de un plan mensual.
¿Qué es Perlego?
Somos un servicio de suscripción de libros de texto en línea que te permite acceder a toda una biblioteca en línea por menos de lo que cuesta un libro al mes. Con más de un millón de libros sobre más de 1000 categorías, ¡tenemos todo lo que necesitas! Obtén más información aquí.
¿Perlego ofrece la función de texto a voz?
Busca el símbolo de lectura en voz alta en tu próximo libro para ver si puedes escucharlo. La herramienta de lectura en voz alta lee el texto en voz alta por ti, resaltando el texto a medida que se lee. Puedes pausarla, acelerarla y ralentizarla. Obtén más información aquí.
¿Es Una sola chiesa un PDF/ePUB en línea?
Sí, puedes acceder a Una sola chiesa de Benedetto XVI, Papa Francesco en formato PDF o ePUB, así como a otros libros populares de Teología y religión y Oración. Tenemos más de un millón de libros disponibles en nuestro catálogo para que explores.

Información

Editorial
RIZZOLI
Año
2020
ISBN
9788831801478
Categoría
Oración

VERITÀ E GIUSTIZIA, MISERICORDIA E AMORE

Carità, verità, potere

Benedetto XVI trova il fondamento della dottrina sociale della Chiesa nell’espressione di san Paolo «agendo secondo carità nella verità», e vede l’attenzione alla vita dell’uomo come centro di ogni vero progresso, mentre rifiuta «una visione prometeica dell’essere umano, che lo ritenga assoluto artefice del proprio destino». Papa Francesco racconta l’episodio biblico della vigna di Nabot, desiderata fino al delitto dal re Acab e dalla regina Gezabele: «E questa non è una storia di altri tempi, è anche storia d’oggi», è la storia «della povera gente che lavora in nero e con il salario minimo per arricchire i potenti. È la storia dei politici corrotti che vogliono più e più e più!».
BENEDETTO XVI

Caritas in veritate

La mia Enciclica Caritas in veritate si ispira per la sua visione fondamentale a un passo della lettera di san Paolo agli Efesini, dove l’apostolo parla dell’agire secondo verità nella carità: «Agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a Lui, che è il capo, Cristo» (4,15). La carità nella verità è quindi la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera. Per questo, attorno al principio «caritas in veritate» ruota l’intera dottrina sociale della Chiesa. Solo con la carità, illuminata dalla ragione e dalla fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di valenza umana e umanizzante. La carità nella verità «è principio intorno a cui ruota la dottrina sociale della Chiesa, un principio che prende forma operativa in criteri orientativi» (n. 6). L’Enciclica richiama subito nell’introduzione due criteri fondamentali: la giustizia e il bene comune. La giustizia è parte integrante di quell’amore «coi fatti e nella verità» (1Gv 3,18) a cui esorta l’apostolo Giovanni (cfr Caritas in veritate, 6). E «amare qualcuno è volere il suo bene e adoperarsi efficacemente per esso. Accanto al bene individuale, c’è un bene legato al vivere sociale delle persone. […] Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera» per il bene comune. Due sono quindi i criteri operativi, la giustizia e il bene comune; grazie a quest’ultimo, la carità acquista una dimensione sociale. Ogni cristiano – dice l’Enciclica – è chiamato a questa carità, e aggiunge: «È questa la via istituzionale […] della carità» (cfr ibid., 7).
Come altri documenti del magistero, anche questa Enciclica riprende, continua e approfondisce l’analisi e la riflessione della Chiesa su tematiche sociali di vitale interesse per l’umanità del nostro secolo. In modo speciale, si riallaccia a quanto scrisse Paolo VI, oltre quarant’anni or sono, nella Populorum progressio, pietra miliare dell’insegnamento sociale della Chiesa, nella quale il grande Pontefice traccia alcune linee decisive, e sempre attuali, per lo sviluppo integrale dell’uomo e del mondo moderno. La situazione mondiale, come ampiamente dimostra la cronaca degli ultimi mesi, continua a presentare non piccoli problemi e lo «scandalo» di disuguaglianze clamorose, che permangono nonostante gli impegni presi nel passato. Da una parte, si registrano segni di gravi squilibri sociali ed economici; dall’altra, si invocano da più parti riforme non più procrastinabili per colmare il divario nello sviluppo dei popoli. Il fenomeno della globalizzazione può, a tal fine, costituire una reale opportunità, ma per questo è importante che si ponga mano a un profondo rinnovamento morale e culturale e a un responsabile discernimento circa le scelte da compiere per il bene comune. Un futuro migliore per tutti è possibile, se lo si fonderà sulla riscoperta dei fondamentali valori etici. Occorre cioè una nuova progettualità economica che ridisegni lo sviluppo in maniera globale, basandosi sul fondamento etico della responsabilità davanti a Dio e all’essere umano come creatura di Dio.
L’Enciclica certo non mira a offrire soluzioni tecniche alle vaste problematiche sociali del mondo odierno – non è questa la competenza del magistero della Chiesa (cfr ibid., 9). Essa ricorda però i grandi principi che si rivelano indispensabili per costruire lo sviluppo umano dei prossimi anni. Tra questi, in primo luogo, l’attenzione alla vita dell’uomo, considerata come centro di ogni vero progresso; il rispetto del diritto alla libertà religiosa, sempre collegato strettamente con lo sviluppo dell’uomo; il rigetto di una visione prometeica dell’essere umano, che lo ritenga assoluto artefice del proprio destino. Un’illimitata fiducia nelle potenzialità della tecnologia si rivelerebbe alla fine illusoria. Occorrono uomini retti tanto nella politica quanto nell’economia, che siano sinceramente attenti al bene comune. In particolare, guardando alle emergenze mondiali, è urgente richiamare l’attenzione della pubblica opinione sul dramma della fame e della sicurezza alimentare, che investe una parte considerevole dell’umanità. Un dramma di tali dimensioni interpella la nostra coscienza: è necessario affrontarlo con decisione, eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri. Sono certo che questa via solidaristica allo sviluppo dei Paesi più poveri aiuterà certamente a elaborare un progetto di soluzione della crisi globale in atto. Indubbiamente va attentamente rivalutato il ruolo e il potere politico degli Stati, in un’epoca in cui esistono di fatto limitazioni alla loro sovranità a causa del nuovo contesto economico-commerciale e finanziario internazionale. E d’altro canto, non deve mancare la responsabile partecipazione dei cittadini alla politica nazionale e internazionale, grazie pure a un rinnovato impegno delle associazioni dei lavoratori chiamate a instaurare nuove sinergie a livello locale e internazionale. Un ruolo di primo piano giocano, anche in questo campo, i mezzi di comunicazione sociale per il potenziamento del dialogo tra culture e tradizioni diverse.
Volendo dunque programmare uno sviluppo non viziato dalle disfunzioni e distorsioni oggi ampiamente presenti, si impone da parte di tutti una seria riflessione sul senso stesso dell’economia e sulle sue finalità. Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo domanda la crisi culturale e morale dell’uomo che emerge con evidenza in ogni parte del globo. L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; ha bisogno di recuperare l’importante contributo del principio di gratuità e della «logica del dono» nell’economia di mercato, dove la regola non può essere il solo profitto. Ma questo è possibile unicamente grazie all’impegno di tutti, economisti e politici, produttori e consumatori e presuppone una formazione delle coscienze che dia forza ai criteri morali nell’elaborazione dei progetti politici ed economici. Giustamente, da più parti si fa appello al fatto che i diritti presuppongono corrispondenti doveri, senza i quali i diritti rischiano di trasformarsi in arbitrio. Occorre, si va sempre più ripetendo, un diverso stile di vita da parte dell’umanità intera, in cui i doveri di ciascuno verso l’ambiente si colleghino a quelli verso la persona considerata in se stessa e in relazione agli altri. L’umanità è una sola famiglia e il dialogo fecondo tra fede e ragione non può che arricchirla, rendendo più efficace l’opera della carità nel sociale, e costituendo la cornice appropriata per incentivare la collaborazione tra credenti e non credenti, nella condivisa prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace nel mondo. Come criteri-guida per questa fraterna interazione, nell’Enciclica indico i principi di sussidiarietà e di solidarietà, in stretta connessione tra loro. Ho infine segnalato, dinanzi alle problematiche tanto vaste e profonde del mondo di oggi, la necessità di un’autorità politica mondiale regolata dal diritto, che si attenga ai menzionati principi di sussidiarietà e solidarietà e sia fermamente orientata alla realizzazione del bene comune, nel rispetto delle grandi tradizioni morali e religiose dell’umanità.
Il Vangelo ci ricorda che non di solo pane vive l’uomo: non con beni materiali soltanto si può soddisfare la sete profonda del suo cuore. L’orizzonte dell’uomo è indubbiamente più alto e più vasto; per questo ogni programma di sviluppo deve tener presente, accanto a quella materiale, la crescita spirituale della persona umana, che è dotata appunto di anima e di corpo. È questo lo sviluppo integrale, a cui costantemente la dottrina sociale della Chiesa fa riferimento, sviluppo che ha il suo criterio orientatore nella forza propulsiva della «carità nella verità».
PAPA FRANCESCO

La ricchezza e il potere come strumenti di corruzione e morte

In diversi passi della Sacra Scrittura si parla dei potenti, dei re, degli uomini che stanno «in alto», e anche della loro arroganza e dei loro soprusi. La ricchezza e il potere sono realtà che possono essere buone e utili al bene comune, se messe al servizio dei poveri e di tutti, con giustizia e carità. Ma quando, come troppo spesso avviene, vengono vissute come privilegio, con egoismo e prepotenza, si trasformano in strumenti di corruzione e morte. È quanto accade nell’episodio della vigna di Nabot, descritto nel Primo libro dei Re al capitolo 21.
In questo testo si racconta che il re d’Israele, Acab, vuole comprare la vigna di un uomo di nome Nabot, perché questa vigna confina con il palazzo reale. La proposta sembra legittima, persino generosa, ma in Israele le proprietà terriere erano considerate quasi inalienabili. Infatti il Libro del Levitico prescrive: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25,23). La terra è sacra, perché è un dono del Signore, che come tale va custodito e conservato, in quanto segno della benedizione divina che passa di generazione in generazione e garanzia di dignità per tutti. Si comprende allora la risposta negativa di Nabot al re: «Mi guardi il Signore dal cederti l’eredità dei miei padri» (1Re 21,3).
Il re Acab reagisce a questo rifiuto con amarezza e sdegno. Si sente offeso – lui è il re, il potente –, sminuito nella sua autorità di sovrano, e frustrato nella possibilità di soddisfare il suo desiderio di possesso. Vedendolo così abbattuto, sua moglie Gezabele, una regina pagana che aveva incrementato i culti idolatrici e faceva uccidere i profeti del Signore (cfr 1Re 18,4) – non era brutta, era cattiva! –, decide di intervenire. Le parole con cui si rivolge al re sono molto significative. Sentite la cattiveria che è dietro questa donna: «Tu eserciti così la potestà regale su Israele? Alzati, mangia e il tuo cuore gioisca. Te la farò avere io la vigna di Nabot di Izreèl» (1Re 21,7). Ella pone l’accento sul prestigio e sul potere del re, che, secondo il suo modo di vedere, viene messo in discussione dal rifiuto di Nabot. Un potere che lei invece considera assoluto, e per il quale ogni desiderio del re potente diventa un ordine. Il grande sant’Ambrogio ha scritto un piccolo libro su questo episodio. Si chiama Nabot. Ci farà bene leggerlo. È molto bello, è molto concreto.
Gesù, ricordando queste cose, ci dice: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,25-27). Se si perde la dimensione del servizio, il potere si trasforma in arroganza e diventa dominio e sopraffazione. È proprio ciò che accade nell’episodio della vigna di Nabot. Gezabele, la regina, in modo spregiudicato, decide di eliminare Nabot e mette in opera il suo piano. Si serve delle apparenze menzognere di una legalità perversa: spedisce, a nome del re, delle lettere agli anziani e ai notabili della città ordinando che dei falsi testimoni accusino pubblicamente Nabot di avere maledetto Dio e il re, un crimine da punire con la morte. Così, morto Nabot, il re può impadronirsi della sua vigna. E questa non è una storia di altri tempi, è anche storia d’oggi, dei potenti che per avere più soldi sfruttano i poveri, sfruttano la gente. È la storia della tratta delle persone, del lavoro schiavo, della povera gente che lavora in nero e con il salario minimo per arricchire i potenti. È la storia dei politici corrotti che vogliono più e più e più! Per questo dicevo che ci farà bene leggere quel libro di sant’Ambrogio su Nabot, perché è un libro di attualità.
Ecco dove porta l’esercizio di un’autorità senza rispetto per la vita, senza giustizia, senza misericordia. Ed ecco a cosa porta la sete di potere: diventa cupidigia che vuole possedere tutto. Un testo del profeta Isaia è particolarmente illuminante al riguardo. In esso, il Signore mette in guardia contro l’avidità i ricchi latifondisti che vogliono possedere sempre più case e terreni. E dice il profeta Isaia (Is 5,8):
Guai a voi, che aggiungete casa a casa
e unite campo a campo,
finché non vi sia più spazio,
e così restate soli
ad abitare nel paese.
E il profeta Isaia non era comunista! Dio, però, è più grande della malvagità e dei giochi sporchi fatti dagli esseri umani. Nella sua misericordia invia il profeta Elia per aiutare Acab a convertirsi. Adesso voltiamo pagina, e come segue la storia? Dio vede questo crimine e bussa anche al cuore di Acab e il re, messo davanti al suo peccato, capisce, si umilia e chiede perdono. Che bello sarebbe se i potenti sfruttatori di oggi facessero lo stesso! Il Signore accetta il suo pentimento; tuttavia, un innocente è stato ucciso, e la colpa commessa avrà inevitabili conseguenze. Il male compiuto infatti lascia le sue tracce dolorose, e la storia degli uomini ne porta le ferite.
La misericordia mostra anche in questo caso la via maestra che deve essere perseguita. La misericordia può guarire le ferite e può cambiare la storia. Apri il tuo cuore alla misericordia! La misericordia divina è più forte del peccato degli uomini. È più forte, questo è l’esempio di Acab! Noi ne conosciamo il potere, quando ricordiamo la venuta dell’Innocente Figlio di Dio che si è fatto uomo per distruggere il male con il suo perdono. Gesù Cristo è il vero re, ma il suo potere è completamente diverso. Il suo trono è la croce. Lui non è un re che uccide, ma al contrario dà la vita. Il suo andare verso tutti, soprattutto i più deboli, sconfigge la solitudine e il destino di morte a cui conduce il peccato. Gesù Cristo con la sua vicinanza e tenerezza porta i peccatori nello spazio della grazia e del perdono. E questa è la misericordia di Dio.

La memoria della bontà di Dio

Analizzando il «grande Hallel», il Salmo della misericordia, Benedetto XVI insiste sulla «memoria della bontà del Signore», che si è rivelata anche nella storia dell’ultimo secolo: «Dopo il periodo oscuro della persecuzione nazista e comunista, Dio ci ha liberati, ha mostrato che è buono, che ha forza, che la sua misericordia vale per sempre». Papa Francesco, che alla misericordia divina ha voluto dedicare un Giubileo straordinario, mostra che la nostra speranza si fonda sulla certezza della bontà di un Dio dispensatore di perdono, il «Dio delle novità e delle sorprese» che asciugherà ogni lacrima dai nostri occhi.
BENEDETTO XVI

«Perché il suo amore è per sempre»

Vorrei meditare con voi un Salmo che riassume tutta la storia della salvezza di cui l’Antico Testamento ci dà testimonianza. Si tratta di un grande inno di lode che celebra il Signore nelle molteplici, ripetute manifestazioni della sua bontà lungo la storia degli uomini; è il Salmo 136 – o 135 secondo la tradizione greco-latina.
Solenne preghiera di rendimento di grazie, conosciuto come il «Grande Hallel», questo Salmo è tradizionalmente cantato alla fine della cena pasquale ebraica ed è stato probabilmente pregato anche da Gesù nell’ultima Pasqua celebrata con i discepoli; a esso sembra infatti alludere l’annotazione degli Evangelisti: «Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi» (cfr Mt 26,30; Mc 14,26). L’orizzonte della lode illumina così la difficile strada del Golgota. Tutto il Salmo 136 si snoda in forma litanica, scandito dalla ripetizione antifonale «perché il suo amore è per sempre». Lungo il componimento, vengono enumerati i molti prodigi di Dio nella storia degli uomini e i suoi continui interventi in favore del suo popolo; e a ogni proclamazione dell’azione salvifica del Signore risponde l’antifona con la motivazione fondamentale della lode: l’amore eterno di Dio, un amore che, secondo il termine ebraico utilizzato, implica fedeltà, misericordia, bontà, grazia, tenerezza. È questo il motivo unificante di tutto il Salmo, ripetuto in forma sempre uguale, mentre cambiano le sue manifestazioni puntuali e paradigmatiche: la creazione, la liberazione dell’esodo, il dono della terra, l’aiuto provvidente e costante del Signore nei confronti del suo popolo e di ogni creatura.
Dopo un triplice invito al rendimento di grazie al Dio sovrano (vv. 1-3), si celebra il Signore come Colui che compie «grandi meraviglie» (v. 4), la prima delle quali è la creazione: il cielo, la terra, gli astri (vv. 5-9). Il mondo creato non è un semplice scenario su cui si inserisce l’agire salvifico di Dio, ma è l’inizio stesso di quell’agire meraviglioso. Con la creazione, il Signore si manifesta in tutta la sua bontà e bellezza, si compromette con la vita, rivelando una volontà di bene da cui scaturisce ogni altro agire di salvezza. E nel nostro Salmo, riecheggiando il primo capitolo della Genesi, il mondo creato è sintetizzato nei suoi elementi principali, insistendo in particolare sugli astri, il sole, la luna, le stelle, creature magnifiche che governano il giorno e la notte. Non si parla qui della creazione dell’essere umano, ma egli è sempre presente; il sole e la luna sono per lui – per l’uomo – per scandire il tempo dell’uomo, mettendolo in relazione con il Creatore soprattutto attraverso l’indicazione dei tempi liturgici.
Ed è proprio la festa di Pasqua che viene evocata subito dopo, quando, passando al manifestarsi di Dio nella storia, si inizia con il grande evento della liberazione dalla schiavitù egiziana, dell’esodo, tracciato nei suoi elementi più significativi: la liberazione dall’Egitto con la piaga dei primogeniti egiziani, l’uscita dall’Egitto, il passaggio del Mar Rosso, il cammino nel deserto fino all’entrata nella terra promessa (vv. 10-20). Siamo nel momento originario della storia di Israele. Dio è intervenuto potentemente per portare il suo popolo alla libertà; attraverso Mosè, suo inviato, si è imposto al faraone rivelandosi in tutta la sua grandezza e, infine, ha piegato la resistenza degli Egiziani con il terribile flagello della morte dei primogeniti. Così Israele può lasciare il Paese della schiavitù, con l’oro dei suoi oppressori (cfr Es 12,35-36), «a mano alzata» (Es 14,8), nel segno esultante della vittoria. Anche al Mar Rosso il Signore agisce con misericordiosa potenza. Davanti a un Israele spaventato alla vista degli Egiziani che lo inseguono, tanto da rimpiangere di aver lasciato l’Egitto (cfr Es 14,10-12), D...

Índice