Oro blu
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Oro blu

Storie di acqua e cambiamento climatico

Edoardo Borgomeo

  1. 176 páginas
  2. Italian
  3. ePUB (apto para móviles)
  4. Disponible en iOS y Android
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Oro blu

Storie di acqua e cambiamento climatico

Edoardo Borgomeo

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Índice
Citas

Información del libro

Un pianeta più caldo significa ghiacciai che si sciolgono, piogge meno prevedibili, alluvioni più frequenti, deserti che avanzano. Nell'acqua vediamo gli effetti del riscaldamento globale e la probabile causa di guerre future. Oro blu, in nove storie da tutto il mondo, dalla Sicilia al Bangladesh, dall'Olanda al Brasile, ci fa scoprire come l'acqua si intrecci all'economia, alla storia, alla cultura e alla vita di ciascuno di noi.

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Información

Año
2020
ISBN
9788858141700
Categoría
Economics
Categoría
Economic Policy

1.
Con l’acqua alla gola

Namrata sta per partorire il suo quarto figlio. Ha passato tutta la sua vita a Batbunia, un villaggio nel Bangladesh sudoccidentale. Suo marito vive a Khulna, una cinquantina di chilometri più a nord, dove guida un risciò e a volte pensa che forse si dovrebbe spostare fino a Dacca, la capitale, per avere più clienti e guadagnare di più. Namrata lavora a giornata in un allevamento intensivo di gamberetti. Il lavoro è faticoso, sta tutto il giorno immersa nell’acqua salata e sotto il sole; alla sera ha forti giramenti di testa.
Namrata non è troppo preoccupata per il parto, ha già avuto tre figli, anche se questa volta sente che qualcosa non va. Racconta di avere avuto strani sintomi durante la gravidanza: mal di testa, caviglie gonfie e vista sfocata.
Vista dallo spazio, la casa di Namrata appare minuscola come un neo sulla punta delle dita di una grande mano, il delta del Gange-Brahmaputra. È qui in Bangladesh che i tre grandi fiumi dell’Asia meridionale, Gange, Meghna e Brahmaputra, si uniscono, scaricando miliardi di litri d’acqua al giorno nel Golfo del Bengala. In un anno, questi tre fiumi scaricano trecentocinquanta volte i volumi d’acqua scaricati da tutti i fiumi italiani, per creare il più grande delta al mondo per estensione.
L’erosione, cioè la graduale distruzione di rocce e suoli ad opera di pioggia, vento, neve e ghiaccio, piano piano, minerale dopo minerale, dissolve e distrugge le grandi montagne dell’Himalaya, un po’ come fa il tempo con gli uomini. I resti delle montagne himalayane passano per di qua, trasportati da questi fiumi che, prossimi al mare, si diramano in un numero infinito di canali. In questi canali le due acque si incontrano: le acque dolci dei fiumi himalayani si mischiano con le acque salate portate dalle maree che, con la loro azione di flusso e riflusso dal Golfo del Bengala, scavano lo spazio fra le dita di terra dove vive Namrata, creando una vasta distesa di terra e acqua.
Gli idrologi come me si interessano molto alle maree. Sono le pulsazioni del mare, ne fanno alzare e abbassare il livello di molti metri spingendo l’acqua a risalire per chilometri dentro al delta. Creano posti fantastici, come le foreste di mangrovie vicino alla casa di Namrata, oppure, unite all’ingegno dell’uomo, luoghi unici come la laguna di Venezia. I ragazzi di città pensano che l’acqua scorra sempre in una sola direzione. Gli abitanti dei delta invece sanno che l’acqua risale verso le montagne spinta dalle maree.
Per evitare che le maree inondino i campi coltivati con l’acqua salata, la costa del Bangladesh è protetta da migliaia di chilometri di argini, muri che impediscono all’acqua di invadere la terra che l’uomo vuol tenere per sé, per viverci e coltivarla. Gli uomini costruiscono argini sin dall’antichità, quando capirono che vivere vicino all’acqua conviene, per esempio perché rende l’igiene personale più semplice e perché facilita il trasporto delle merci. Tuttavia, questa scelta comporta anche dei rischi, perché i fiumi e l’acqua si muovono e non si lasciano imbrigliare facilmente.
Gli argini del Bangladesh sudoccidentale sono stati costruiti negli anni Sessanta per proteggere le popolazioni e l’agricoltura dalle inondazioni costiere. Oltre a proteggere le persone e i campi, gli argini svolgono anche una funzione di trasporto che forse gli ingegneri idraulici non avevano previsto. In una distesa di terra e acqua, fatta di campi di riso e allevamenti di gamberetti, la sommità degli argini è l’unico posto piano e all’asciutto, dove si spostano merci, persone e animali e dove molti costruiscono la loro casa.
Con il tempo, numerosi argini sono stati danneggiati dalle tempeste e mai riparati. Sono caduti in disuso e spesso non riescono più a svolgere la loro funzione di protezione contro le inondazioni. A poco a poco le alte maree se li stanno mangiando. È la marea affamata, che piano piano erode le strutture costruite dall’uomo, costringendolo a ingegnarsi per non rimanere con l’acqua alla gola.
I colleghi che accompagno sono venuti a studiare la marea affamata e la sua forza distruttiva. Stanno intervistando Namrata per capire gli effetti delle inondazioni sulla produzione agricola e sulla povertà. Namrata parla dell’ultima alluvione: «L’ultima volta si è allagato l’allevamento di gamberetti. Si è allagato anche il mio orto».
Le inondazioni costiere in questa parte del mondo sono collegate ai cicloni tropicali. L’evaporazione dell’acqua nel Golfo del Bengala forma grandi masse di aria calda che, risalendo verso l’alto, iniziano a girare vorticosamente a causa della forza di rotazione della Terra. Così si formano venti molto forti e distruttivi. Il Golfo del Bengala è un imbuto, il cui punto di scarico è il Bangladesh: tutti i cicloni che si formano al suo interno puntano dritti alle coste bengalesi, alla casa di Namrata. Nove cicloni hanno colpito le zone costiere del Bangladesh negli ultimi cinquant’anni. In altre parti del mondo i cicloni vengono chiamati uragani e tifoni, anche se il meccanismo fisico che li genera e i loro impatti devastanti non cambiano.
Il ciclone più mortale di sempre, Bhola, colpì il Bangladesh nel 1970, causando oltre mezzo milione di morti. Nel 2007, il ciclone Sidr ha fatto almeno tremila morti, lasciando un miliardo e mezzo di dollari di devastazioni. I cicloni causano venti forti, piogge e onde di marea che distruggono case, scuole, strade e tutte le altre infrastrutture che rendono possibile la vita di milioni di persone nella costa. I cicloni distruggono gli argini o li sormontano, spingono le acque salate sui campi, causando danni ingenti non solo per la distruzione delle infrastrutture ma anche per l’accumulo di sali nel terreno, rendendolo inadatto all’agricoltura.
Ma non sono solo le maree e i cicloni a portare distruzione. Le inondazioni costiere legate alle maree e ai cicloni sono solo una faccia della forza distruttiva dell’acqua. Il Bangladesh soffre anche per le inondazioni causate dallo straripamento dei fiumi durante il monsone. Ogni anno il monsone inonda dal venti al trentacinque per cento del Bangladesh. Il monsone porta grandi quantità di piogge che gonfiano i fiumi, spingendoli a cercare spazio nella pianura alluvionale. Queste sono le alluvioni benefiche, che portano acqua dolce e limo sui campi, garantendone la fertilità. A volte però, quando le piogge arrivano in anticipo o in quantità eccessiva, si generano inondazioni molto maggiori che interessano il sessanta per cento del paese.
La lingua racchiude questa differenza fra forza benefica e forza distruttiva dell’acqua. Salehin, il professore bengalese con cui lavoro, mi spiega questa differenza: «In Bengali le inondazioni benefiche che normalmente avvengono durante il monsone si chiamano barsha, mentre le inondazioni che avvengono al di fuori di questa stagione, e quindi danneggiano i raccolti, sono chiamate bonna».
Questa separazione fra acque buone e acque cattive dimostra che i rischi e le opportunità legati all’acqua sono profondamente radicati nella cultura e storia del Bangladesh. «Non è un caso che il simbolo elettorale del maggior partito politico del Bangladesh, la lega Awami, sia una barca» aggiunge Salehin.
Le inondazioni sono il disastro naturale più frequente sulla Terra, quello che causa maggiori perdite di vite umane e maggiori danni economici. In Bangladesh, si stima che in media seimila persone muoiano ogni anno a causa delle inondazioni. Tra il 1980 e il 2009, quasi tre miliardi di persone nel mondo sono state colpite da inondazioni, che hanno causato più di mezzo milione di morti. Questo numero nasconde le morti che avvengono successivamente a causa di malattie e malnutrizione oppure che non vengono dichiarate, come avvenne in Myanmar dopo il ciclone Nargis. Quando Nargis colpì il paese nel 2008, la giunta militare che governava il paese minimizzò sulle perdite causate dal ciclone per non danneggiare la sua reputazione e mostrare la sua incapacità nel prestare soccorso alle popolazioni colpite.
Rispetto al passato, le morti causate dalle inondazioni sono in diminuzione, anche nei paesi meno ricchi. Il lavoro fatto per ridurre l’impatto dei disastri e proteggere le persone ha portato dei frutti. Gli impatti economici, però, sono in aumento. Più diventiamo ricchi, nel senso meramente materiale dell’aumento della produzione, più aumentano i danni potenziali delle inondazioni.
Aumentare la protezione e costruire più argini serve, ma non è mai abbastanza. Noi umani siamo sbadati; se il fiume non straripa per alcuni anni, pensiamo che non ci saranno più inondazioni. Perdiamo memoria della forza distruttiva dell’acqua e questo ci rende più vulnerabili, perché le strutture di protezione non cancellano mai del tutto il rischio. Può sempre arrivare un’ondata di piena forte abbastanza da danneggiare o scavalcare gli argini. A volte costruiamo addirittura sul letto del fiume, scordandoci che, come un vulcano, può sempre svegliarsi e trascinare via tutto.
Per molte città costiere gli argini sono come le stampelle per uno zoppo. Senza di loro, le città cadono. Come tutte le cose costruite dagli uomini, gli argini sono imperfetti. L’acqua sfrutta queste imperfezioni, spinge e rompe gli argini, per tornare a occupare la terra che gli uomini le hanno strappato. Come scriveva la scrittrice americana premio Nobel Toni Morrison, «L’acqua ha una memoria perfetta e cerca sempre di tornare dov’era».
Quando questo accade, quando l’acqua torna dov’era, quando le misure di controllo non funzionano e quando gli interventi dei governi non sono all’altezza, la distruzione causata dall’acqua può avere conseguenze disastrose sulle regole della convivenza civile. Dopo l’uragano Katrina, New Orleans si trasformò in un far west d’acqua, una grande città sommersa dove migliaia di persone rimasero per settimane in balia di saccheggi e violenze. Un anno dopo, il governo degli Stati Uniti chiese pubblicamente scusa al paese per il mancato soccorso alle vittime dell’uragano. La commissione della Camera dei rappresentanti creata per indagare i fatti di New Orleans definì la mancanza di soccorsi, in parte causata dalla scarsa coordinazione fra il governo federale e gli enti locali, come un fallimento dello Stato, una rinuncia al dovere solenne di tutelare il benessere dei cittadini. La nazione più potente della Terra vacilla di fronte alla forza distruttiva dell’acqua.
Anche se, fortunatamente, le morti causate dalle inondazioni sono in diminuzione, noi continuiamo ad avere paura dei disastri legati all’acqua. Razionalmente dovremmo avere meno paura, ma di fatto non è così. Perché continuiamo ad avere paura dell’acqua? La nostra percezione dei disastri e il modo in cui sentiamo la forza dell’acqua come una minaccia non dipendono solo da quello che ci dicono gli esperti. Non dipendono solo dal calcolo statistico dei rischi. Posso ripetere per ore a mia madre che la probabilità di morire a causa di un’inondazione è un milione di volte più bassa della probabilità di morire in un incidente stradale, però lei continuerà ad avere paura. Continuerà a non dormire tranquilla nella nostra casetta in montagna, perché quel ruscello vicino casa non la convince.
Studiando mitigazione dei rischi naturali all’università questo non l’avevo capito; non avevo capito che la percezione del rischio dipende da dove viviamo, da cosa abbiamo sperimentato nella nostra vita, da come i nonni ci descrivono le alluvioni delle loro case, dai disastri che vediamo nei film. Anche se oggettivamente la probabilità di morire a causa di un’inondazione è bassissima, questi eventi continuano a farci paura.
Forse la paura dell’acqua cattiva pronta a sommergerci ce l’avremo sempre. In quasi tutte le culture del mondo esistono miti legati alle grandi inondazioni. Il diluvio universale nella Genesi, la storia di Utnapishtim nell’epopea di Gilgamesh e l’inondazione raccontata nel Satapatha Brahmana dei Veda sono solo alcuni esempi di come sin dall’antichità gli uomini abbiano visto con timore la forza dell’acqua.
Oltre a dirci che se ci comportiamo male ci sarà sempre un Dio pronto a usare l’acqua per punirci, il mito dell’inondazione – e la sua diffusione in molte culture – ci dice che le inondazioni sono inevitabili, che l’acqua non si può mai controllare del tutto. Si può però imparare a convivere con il rischio, costruire l’arca di Noè in tempo per prevenire le morti causate dall’acqua. Idrofilia significa convivere con la forza distruttiva dell’acqua. La nostra arca di Noè sono i piani di evacuazione, i sistemi di allerta meteo e le infrastrutture di controllo, come gli argini, che aiutano a ridurre la probabilità che le inondazioni avvengano, ma che non possono mai ridurre il rischio a zero, perché il rischio zero non esiste quando si parla d’acqua.
Namrata sta cercando di costruire la sua arca di Noè insieme agli abitanti del suo villaggio. Nel caldo umido di Batbunia, Namrata racconta di una rete di volontari, che racchiude insegnanti, funzionari del governo e leader religiosi: «Questa rete di volontari avvisa la comunità quando l’onda di marea è più alta del normale e quando è in arrivo un ciclone».
Nel suo villaggio c’è un rifugio contro i cicloni. Una struttura in cemento armato, l’edificio più alto di tutto il villaggio. Normalmente viene usato come scuola, ma si trasforma in rifugio durante un’inondazione. Ricorda Villa Savoye di Le Corbusier, un edificio squadrato poggiato su dei pali. Qui però non sono di fronte a un manifesto architettonico, né all’espressione di un genio, ma di fronte al giubbotto di salvataggio di una comunità. I pilastri mantengono la struttura sollevata dal suolo di vari metri. Quando arriva l’allarme, Namrata, assieme alla sua famiglia e agli altri abitanti del villaggio, sale le scale del rifugio ed entra in un grande stanzone ad aspettare l’arrivo dei soccorsi.
«Da lassù ho visto l’acqua arrivare», racconta Namrata indicando una finestra con la mano. Adesso dalla finestra si affacciano dei bambini curiosi, distratti dalla nostra presenza. Namrata non si sente per niente a suo agio dentro ai rifugi. «Il bagno è comune» racconta «quindi spesso non lo uso, specialmente quando fa buio, per evitare le molestie degli uomini». Le donne soffrono molto di più degli uomini durante e dopo le inondazioni, perché alle difficoltà dovute alla mancanza di servizi sanitari separati, lo stress per trovare da mangiare e la mancanza di lavoro, si aggiungono le molestie.
Anche se c’è ancora molto da fare, la storia di Namrata mostra come le comunità e il governo del Bangladesh siano stati capaci di ridurre i danni materiali e immateriali dei cicloni. È una storia di idrofilia, di responsabilità condivisa per convivere con la forza distruttiva dell’acqua. Salehin sottolinea orgoglioso i risultati del suo paese: «Dopo i terribili danni del ciclone Bhola, abbiamo investito molto sulla preparazione, creando sistemi di allerta ...

Índice

  1. Andare alla fonte
  2. 1. Con l’acqua alla gola
  3. 2. Star fra le due acque
  4. 3. Acqua viva
  5. 4. Tirare acqua al proprio mulino
  6. 5. Acqua che scorre non porta veleno
  7. 6. Pura come l’acqua
  8. 7. In cattive acque
  9. 8. Rivali
  10. 9. Andare contro corrente
  11. Le ultime gocce
  12. Ringraziamenti
  13. Fonti
Estilos de citas para Oro blu

APA 6 Citation

Borgomeo, E. (2020). Oro blu ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3460464/oro-blu-storie-di-acqua-e-cambiamento-climatico-pdf (Original work published 2020)

Chicago Citation

Borgomeo, Edoardo. (2020) 2020. Oro Blu. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3460464/oro-blu-storie-di-acqua-e-cambiamento-climatico-pdf.

Harvard Citation

Borgomeo, E. (2020) Oro blu. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3460464/oro-blu-storie-di-acqua-e-cambiamento-climatico-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Borgomeo, Edoardo. Oro Blu. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2020. Web. 15 Oct. 2022.