Parte seconda
La libertĂ e la legge
9. Coercizione e Stato
Ă uno stato di assoluto vassallaggio quello in cui si rende un servizio incerto e indeterminato, in cui non si puĂČ sapere la sera che servizio si dovrĂ rendere al mattino, quello cioĂš in cui un individuo Ăš legato a tutto quel che gli si ordina.
HENRY BRACTON*
1. Nella nostra precedente discussione abbiamo provvisoriamente definito la libertĂ come mancanza di coercizione. Ma la coercizione Ăš un concetto quasi altrettanto insidioso quanto la libertĂ stessa e quasi per la stessa ragione: non distinguiamo chiaramente tra quanto ci viene fatto dagli altri uomini e lâeffetto che le circostanze fisiche hanno su di noi. La lingua inglese ci fornisce due parole diverse per fare la necessaria distinzione: in inglese possiamo legittimamente dire che le circostanze compel, costringono qualcuno a fare qualcosa; ma per indicare il costringere che derivi dallâattivitĂ umana dobbiamo usare to coerce.
La coercizione ha luogo quando le azioni di un uomo sono poste in essere per servire la volontĂ di un altro uomo, non per uno scopo dellâattore ma per lo scopo dellâaltro. Non che chi subisce la coercizione non abbia alcuna possibilitĂ di scelta; se cosĂŹ fosse, non parleremmo del suo «agire». Se la mia mano Ăš guidata da una forza fisica nel tracciare la mia firma o se il mio dito Ăš spinto sul grilletto di un fucile dalla stessa forza, non sono io che agisco. La violenza che fa del mio corpo lo strumento fisico di un altro Ăš evidentemente un male come la coercizione vera e propria e per la stessa ragione devâesser evitata. Tuttavia, la coercizione implica che abbia ancora una scelta, ma che la mia mente sia ridotta a strumento di qualcun altro: perchĂ© mi si presentano alternative manipolate, in modo che il comportamento a cui si vuole che io mi attenga diventi per me il meno penoso1. BenchĂ© forzato a una scelta, sono ancora io a decidere quale sia in quelle circostanze il male minore2.
Ovviamente, la coercizione non include tutte le influenze che lâuomo puĂČ esercitare sullâazione di altri. Non include nemmeno tutti i casi in cui una persona agisce o minaccia di agire in un modo che (egli sa) nuocerĂ a unâaltra persona e la indurrĂ a mutare intenzioni. Una persona che mi ostruisce la strada e mi costringe a spostarmi, una persona che ha preso in prestito dalla biblioteca il libro che voglio io o anche una persona che, producendo rumori spiacevoli, mi costringe ad allontanarmi, non si puĂČ definire propriamente una persona che mi sottopone a coercizione. La coercizione implica sia la minaccia di infliggere un danno, sia lâintenzione di provocare cosĂŹ un certo comportamento.
Sebbene chi Ăš sottoposto alla coercizione abbia ancora una scelta, le alternative che gli si presentano sono determinate da chi ve lo sottopone, cosĂŹ che il primo sceglierĂ quel che vuole il secondo. Egli non Ăš del tutto privato dellâuso delle sue capacitĂ , ma Ăš privato della possibilitĂ di usare la sua conoscenza per fini propri. Lâuso efficace dellâintelligenza e della conoscenza di una persona nel perseguimento dei propri scopi richiede che questa abbia la possibilitĂ di prevedere alcune condizioni prodotte dal suo contesto e di attenersi a un piano dâazione. La maggior parte dei fini umani possono essere realizzati solo attraverso una catena di azioni collegate, su cui si Ăš deciso come su un tutto coerente, basato sulla premessa che i fatti saranno quali ci si aspetta che siano. Possiamo realizzare qualcosa solo perchĂ© e nella misura in cui possiamo prevedere gli eventi o per lo meno conoscere le probabilitĂ . E, benchĂ© spesso imprevedibili, le circostanze fisiche non ostacoleranno di proposito i nostri scopi. Ma, se i fatti che incidono sui nostri piani sono sotto lâesclusivo controllo di un altro, analogamente sarĂ controllata la nostra azione.
Pertanto, la coercizione Ăš un male: perchĂ© impedisce a una persona di utilizzare completamente le sue facoltĂ mentali e di conseguenza glâimpedisce di dare alla comunitĂ il maggior contributo di cui Ăš capace. Chi Ăš sottoposto alla coercizione cercherĂ pur sempre di fare quanto meglio puĂČ per se stesso, ma lâunico piano dentro cui le sue azioni si possono collocare Ăš quello concepito dalla mente di un altro.
2. I filosofi politici hanno discusso del potere piĂč spesso di quanto non abbiano discusso della coercizione, perchĂ© in genere potere politico significa potere di servirsi della coercizione3. Ma, sebbene i grandi, da John Milton ed Edmund Burke a Lord Acton e Jacob Burckhardt, che hanno presentato il potere come il male per eccellenza4, avessero ragione in quel che volevano dire, Ăš fuorviante parlare di potere semplicemente in quel senso. Male non Ăš il potere come tale â la capacitĂ di realizzare quel che uno vuole â, ma solo il potere di esercitare la coercizione, di forzare altri uomini a servire la propria volontĂ con la minaccia di far loro danno. Non câĂš niente di male nel potere esercitato dal direttore di qualche grande impresa a cui degli uomini si sono volontariamente uniti per fini propri. Fa parte della forza della societĂ civilizzata che, con una simile volontaria combinazione di sforzi sotto una direzione unificata, gli uomini possano aumentare moltissimo il loro potere collettivo.
Non Ăš il potere nel senso di estensione delle nostre capacitĂ a corrompere, ma lâassoggettamento di altre volontĂ umane alle nostre, lâutilizzazione di altri uomini, contro la loro volontĂ , per i nostri scopi. Ă vero che nelle relazioni umane il potere e la coercizione sono molto vicini lâuno allâaltra, che il disporre di grandi poteri da parte di pochi puĂČ mettere questi in grado di esercitare la coercizione su altri, a meno che tali poteri non siano frenati da un potere ancor maggiore; ma la coercizione non Ăš una conseguenza del potere tanto necessaria nĂ© tanto comune come in generale si crede. NĂ© un Henry Ford, nĂ© la commissione per lâenergia atomica, nĂ© il generale dellâesercito della salvezza, nĂ© (almeno fino a tempi recenti) il presidente degli Stati Uniti, hanno poteri che si estendano allâesercizio, per finalitĂ da loro esclusivamente decise, della coercizione sul singolo individuo.
Sarebbe meno fuorviante se a volte i termini «forza» e «violenza» fossero usati al posto di coercizione, poichĂ© la minaccia della forza o della violenza Ăš la piĂč importante forma di coercizione. Ma non sono sinonimi di coercizione, perchĂ© la minaccia della forza fisica non Ăš il solo modo in cui la coercizione puĂČ essere usata. Del pari, lâ«oppressione», che Ăš forse lâopposto della libertĂ , esattamente come lo Ăš la coercizione, dovrebbe riferirsi soltanto a una situazione di continui atti di coercizione.
3. La coercizione dovrebbe essere accuratamente distinta dalle condizioni o dai termini in base a cui i nostri simili si prestano a rendere specifici servizi o benefici. Ă solo in circostanze del tutto eccezionali che lâesclusivo controllo di un servizio o di risorse a noi essenziali conferiscono a un altro il potere di esercitare una vera coercizione. La vita nella societĂ significa necessariamente che per il soddisfacimento di molte delle nostre necessitĂ dipendiamo dai servizi di alcuni nostri simili; in una societĂ libera, questi reciproci servizi sono volontari e ciascuno puĂČ decidere a chi vuole rendere i servizi e a quali condizioni. I benefici e le occasioni che i nostri interlocutori ci offrono, potremo averli solo se soddisferemo le loro condizioni.
Questo Ăš vero tanto per i rapporti sociali quanto per quelli economici. Poniamo che una padrona di casa mâinviti a uno dei suoi ricevimenti solo se mi conformo a certi modelli di comportamento e dâabbigliamento; oppure che il mio vicino mi rivolga la parola solo se osservo modi convenzionali: nĂ© lâuna nĂ© lâaltra cosa Ăš un esempio di coercizione. NĂ© si puĂČ legittimamente definire «coercizione» il fatto che un produttore o un negoziante rifiuti di fornirmi quel che voglio, se non accetto il suo prezzo. Ă certamente cosĂŹ in un mercato competitivo dove, se le condizioni della prima offerta non mi soddisfano, posso rivolgermi a qualcun altro; ma di regola non Ăš meno vero se mi trovo davanti a un monopolista. Per esempio, se desiderassi moltissimo farmi ritrarre da un famoso pittore, che rifiutasse di farlo a un prezzo che non fosse altissimo, sarebbe ovviamente assurdo dire che subisco un potere coercitivo. Lo stesso vale per qualsiasi altra merce o servizio di cui posso fare anche a meno. FinchĂ© i servizi di una data persona non sono cruciali per la mia esistenza o per la conservazione di ciĂČ che per me ha il massimo valore, le condizioni richieste per rendere quei servizi non si possono propriamente definire «coercizione».
Un monopolista potrebbe tuttavia esercitare un vero e proprio potere coercitivo se fosse, diciamo, il proprietario di una sorgente dâacqua in unâoasi. Immaginiamo che altre persone vi vadano a stare, con lâidea che lâacqua possa essere sempre disponibile a prezzo ragionevole e poi scoprano, poniamo perchĂ© unâaltra sorgente si Ăš inaridita, che per sopravvivere non hanno altra scelta che fare quanto esige il proprietario monopolista: sarebbe un caso evidente di coercizione. Si possono immaginare diversi altri casi analoghi di controllo monopolistico di un bene essenziale, da cui la gente sia del tutto dipendente. Ma, solo se Ăš in grado di rifiutare una fornitura indispensabile, il monopolista puĂČ esercitare la coercizione, per quanto spiacevoli possano essere le sue richieste per chi fa assegnamento sui suoi servizi.
Vale la pena notare, in vista di quanto diremo in seguito sugli strumenti idonei a frenare il potere coercitivo dello Stato, che ogniqualvolta un monopolista abbia la possibilitĂ di acquisire poteri coercitivi, il mezzo migliore e piĂč efficace per evitarlo Ăš probabilmente esigere che esso tratti tutti i clienti alla stessa stregua, insistere cioĂš che i suoi prezzi siano gli stessi per tutti e vietargli ogni discriminazione. Ă lo stesso principio mediante cui abbiamo imparato a reprimere il potere coercitivo dello Stato.
Il singolo datore di lavoro non puĂČ di regola esercitare la coercizione, cosĂŹ come non puĂČ esercitarla il fornitore di una particolare merce o servizio. FinchĂ© puĂČ eliminare solo una delle molte possibilitĂ di guadagnarsi la vita, finchĂ© puĂČ solo smettere di pagare gente che non abbia speranza di guadagnare altrettanto altrove, egli non puĂČ esercitare la coercizione, anche se puĂČ causare un danno. Innegabilmente, vi sono casi in cui le condizioni di lavoro creano possibilitĂ di vera coercizione. In periodi di acuta disoccupazione, la minaccia di licenziamento puĂČ servire a imporre prestazioni diverse da quelle pattuite. E, in condizioni come quelle proprie di una cittĂ mineraria, il datore di lavoro puĂČ benissimo esercitare una tirannide del tutto arbitraria e capricciosa su un uomo che gli sia antipatico. Ma tali condizioni, sebbene non impossibili in una societĂ prospera e competitiva, alla peggio sarebbero solo rare eccezioni.
Poteri illimitati di coercizione esisterebbero in caso di monopolio completo dei posti di lavoro, quale si avrebbe in uno Stato pienamente socialista, in cui il governo fosse lâunico datore di lavoro e proprietario di tutti gli strumenti di produzione. Come scoprĂŹ Lev Trockij: «In un paese dove lâunico dator...