Ferma sul ciglio di una strada piena di gente, allungai lo sguardo verso i campi ondulati e le fattorie abbandonate della Valle di Tula e intravidi per la prima volta la Faglia dâOmbra. Il mio reggimento si trovava a due settimane di marcia dallâaccampamento militare di Poliznaya e nel cielo splendeva un caldo sole autunnale, ma io rabbrividii nel mio cappotto mentre osservavo la foschia che si stendeva come una macchia di sporco sullâorizzonte.
Una spalla pesante mi urtĂČ da dietro. Barcollai e per poco non finii a faccia in giĂč nel fango.
«Ehi!» gridĂČ il soldato. «Stai attenta!»
«PerchĂ© non stai attento tu a dove metti quei tuoi piedi grassi?» ribattei piccata, e provai un poâ di soddisfazione di fronte allâespressione sbalordita che gli si disegnĂČ sul viso largo. Nessuno, e men che meno gli uomini grossi armati di grossi fucili, si aspetta di ricevere una risposta insolente da un essere tutto pelle e ossa come me. Rimangono sempre un poâ disorientati quando succede.
Il soldato superĂČ rapidamente la sorpresa e mi lanciĂČ unâocchiataccia mentre si sistemava lo zaino sulla schiena, poi scomparve nella carovana di cavalli, uomini, carri e carretti che scorreva sopra la cresta della collina e nella valle sottostante.
Affrettai il passo, scrutando sopra le teste della folla. Avevo perso di vista da ore la bandiera gialla del carro dei topografi, e sapevo di essere rimasta indietro.
Mentre camminavo, mi godevo i profumi verdi e dorati del bosco autunnale e la brezza leggera alle mie spalle. Eravamo sulla Vy, lâampia strada che una volta portava da Os Alta fino alle ricche cittĂ portuali della costa occidentale di Ravka. Ma questo era prima della Faglia dâOmbra.
In mezzo alla fiumana di gente, qualcuno stava cantando. âCantando? Quale idiota si mette a cantare quando sta per entrare nella Faglia?â Lanciai unâaltra occhiata alla macchia sopra lâorizzonte e dovetti reprimere un altro brivido. Avevo visto la Faglia dâOmbra su numerose mappe, uno squarcio nero che aveva separato Ravka dalla sua unica fascia costiera privandola dello sbocco sul mare. A volte era rappresentata come una chiazza, a volte come una nube tetra e informe. Poi câerano le mappe che la riproducevano come un lago lungo e stretto e la identificavano con il suo nome alternativo, âNonmareâ, pensato per rasserenare soldati e mercanti e per incoraggiare gli attraversamenti.
Sbottai in un mezzo grugnito. Forse poteva ingannare qualche grasso commerciante, ma era di poco conforto per me.
Distolsi lâattenzione dalla sinistra foschia che stazionava in lontananza e la spostai sulle fattorie in rovina della Tula. In passato, la valle ospitava alcune delle piĂč ricche tenute di Ravka. Gli agricoltori vi coltivavano la terra e le pecore brucavano nei campi verdi. Poi, da un giorno allâaltro, nel paesaggio apparve uno squarcio nero, una striscia di oscuritĂ quasi impenetrabile e brulicante di esseri spaventosi che cresceva ogni anno di piĂč. Dove fossero finiti gli agricoltori, le loro greggi, i loro raccolti, le loro case e famiglie, non lo sapeva nessuno.
âSmettilaâ ordinai a me stessa. âStai solo peggiorando le cose. La gente attraversa la Faglia da anni... di solito a prezzo di enormi perdite, ma comunque lâattraversa.â Inspirai profondamente per calmarmi.
«Vietato svenire in mezzo alla strada» disse una voce al mio orecchio mentre un braccio pesante mi cadeva sulle spalle e me le stringeva. Sollevai gli occhi sul volto familiare di Mal che, un sorriso nei suoi occhi azzurri, si allineĂČ al mio passo. «Su» disse. «Un piede davanti allâaltro. Sai come funziona.»
«Stai interferendo nel mio piano.»
«Ah, davvero?»
«SÏ. Svenire, essere calpestata, ferite gravi dappertutto.»
«Sembra un piano brillante.»
«Ah, ma se sarĂČ cosĂŹ malconcia non sarĂČ in grado di attraversare la Faglia.»
Mal annuĂŹ lentamente. «Capisco. Posso buttarti sotto un carro, se puĂČ aiutare.»
«Ci penserĂČ» mormorai, ma mi sentii ugualmente di umore migliore. Nonostante tutti i miei sforzi, Mal aveva ancora questo effetto su di me. E non ero lâunica. Una bionda molto carina ci passĂČ accanto e lo salutĂČ con la mano, lanciandogli unâocchiata provocante.
«Ciao, Ruby» gridĂČ lui. «Ci vediamo dopo?»
Lei ridacchiĂČ e si allontanĂČ a passo rapido in mezzo alla folla. Mal continuĂČ a sorridere finchĂ© non mi vide alzare gli occhi al cielo.
«Che câĂš? Pensavo ti piacesse Ruby.»
«Si dĂ il caso che non abbiamo molto di cui parlare» risposi in tono secco. In realtĂ , Ruby mi piaceva... allâinizio. Quando io e Mal avevamo lasciato lâorfanotrofio di Keramzin per cominciare lâaddestramento militare a Poliznaya, ero in ansia al pensiero di incontrare persone nuove. Invece, molte ragazze si erano mostrate felicissime di fare amicizia con me, e Ruby era tra le piĂč entusiaste. Quelle amicizie erano durate il tempo da me impiegato per rendermi conto che il loro interesse nei miei confronti dipendeva solo dalla mia confidenza con Mal.
Lo guardai stendere le braccia con euforia e sollevare il viso al cielo autunnale, con espressione perfettamente appagata. Notai non senza un certo disgusto che câera persino un particolare slancio nel suo passo.
«Che problema hai?» sussurrai furiosa.
«Nessuno» disse lui, sorpreso. «Mi sento benissimo.»
«Ma come fai a essere cosÏ... baldanzoso?»
«Baldanzoso? Non sono mai stato baldanzoso. Spero di non esserlo mai.»
«Beâ, e allora che cosa significa questo?» chiesi, sollevando la mano a indicarlo. «Sembri uno che si prepara ad andare a un ricco banchetto, non a rischiare di morire dilaniato.»
Mal rise. «Tu ti preoccupi troppo. Il re ha mandato tutto il gruppo dei Grisha incendiari, gli Inferni, per proteggere le velesabbia, e persino qualcuno di quegli spaventosi Spaccacuore. Noi abbiamo i nostri fucili» disse, dando un colpetto allâarma che portava a tracolla. «AndrĂ tutto bene.»
«Un fucile non farà molta differenza se ci attaccano sul serio.»
Mal mi guardĂČ sconcertato. «Che hai ultimamente? Sei ancora piĂč scontrosa del solito. E il tuo aspetto Ăš terribile.»
«Grazie» brontolai. «Non sto dormendo bene.»
«Che novità .»
Aveva ragione, naturalmente. Non avevo mai dormito bene. Ma negli ultimi giorni era stato ancora peggio. I Santi sapevano che avevo unâinfinitĂ di buoni motivi per temere di entrare nella Faglia, motivi condivisi da ogni membro del nostro reggimento che aveva avuto la sfortuna di essere scelto per lâattraversamento. Ma câera dellâaltro, unâagitazione piĂč profonda a cui non avrei saputo dare un nome.
Gli lanciai unâocchiata. Câera stato un tempo in cui a lui confidavo tutto. «à solo... ho un presentimento.»
«Smettila di preoccuparti cosĂŹ tanto. Forse salirĂ anche Mikhael sulla velasabbia. Ai volcra basterĂ dare unâocchiata alla sua pancia grossa e golosa e lasceranno in pace noi.»
Un ricordo mi tornĂČ involontariamente alla memoria: io e Mal, seduti fianco a fianco su una sedia nella biblioteca del duca, a sfogliare le pagine di un grande libro rilegato in pelle. Eravamo capitati sullâillustrazione di un volcra: artigli lunghi e sudici, ali che sembravano di cuoio e file di denti affilati come rasoi per i suoi banchetti a base di carne umana. Dopo che per generazioni avevano vissuto e cacciato nella Faglia erano diventati ciechi, ma la leggenda narrava che potevano percepire lâodore del sangue umano a chilometri di distanza. Io avevo indicato la pagina e avevo chiesto: âChe cosa tiene tra le zampe?â.
Ancora adesso riuscivo a risentire il sussurro di Mal nel mio orecchio: âCredo... credo sia un piedeâ. Avevamo chiuso il libro di scatto e, urlando, eravamo corsi fuori a cercare il conforto della luce del sole...
Senza rendermene conto, avevo smesso di camminare e stavo immobile, impietrita, incapace di togliermi dalla mente quel ricordo. Quando Mal si accorse che non gli ero piĂč accanto, fece un sospiro di frustrazione e tornĂČ da me a grandi passi. Mi posĂČ le mani vicino al collo e mi diede una piccola scrollata.
«Stavo scherzando. Nessuno mangerà Mikhael.»
«Lo so» dissi, guardandomi le scarpe. «Sei proprio spassoso.»
«Alina, su. Andrà tutto bene.»
«Non puoi saperlo.»
«Guardami.» Mi costrinsi a sollevare gli occhi nei suoi. «So che sei spaventata. Lo sono anchâio. Ma affronteremo questa cosa, e ce la caveremo. Ce la caviamo sempre. Okay?» Sorrise, e io sentii il cuore palpitare forte nel mio petto.
Mi strofinai il pollice sulla cicatrice che mi attraversava il palmo della mano destra e buttai fuori un sospiro tremante. «Okay» dissi con riluttanza, e mi accorsi che stavo sorridendo anchâio.
«La signora ha recuperato il suo buon umore» gridĂČ Mal. «Il sole puĂČ tornare a splendere!»
«Oh, vuoi stare zitto?»
Mi voltai per dargli un pugno, ma mentre stavo per farlo lui mi afferrĂČ e mi sollevĂČ di peso. Un grido e uno scalpitio di zoccoli fendettero lâaria. Mal mi tirĂČ sul ciglio della strada proprio mentre unâenorme carrozza nera ci passava davanti a gran velocitĂ , disperdendo davanti a sĂ© la gente che scappava per non finire sotto le zampe possenti di quattro cavalli neri. Accanto al cocchiere che agitava la frusta erano appollaiati due soldati con cappotti grigio scuro.
LâOscuro. La sua carrozza nera e le uniformi del suo corpo di guardia personale erano inconfondibili.
Unâaltra carrozza, rossa questa volta, ci rombĂČ davanti a unâandatura piĂč rilassata.
Sollevai lo sguardo su Mal, il cuore che batteva forte per lo scampato pericolo. «Grazie» sussurrai. Lui sembrĂČ rendersi improvvisamente conto che mi stava ancora tenendo tra le braccia. Mi lasciĂČ andare e si affrettĂČ a fare un passo indietro. Io mi spazzolai la polvere dal cappotto, sperando che non notasse il rossore sulle mie guance.
Ci passĂČ accanto una terza carrozza, verniciata di blu, e una ragazza si sporse dal finestrino. Aveva capelli ricci e neri e un cappello di volpe argentata. ScrutĂČ la folla che la guardava e, comâera prevedibile, i suoi occhi indugiarono su Mal.
âStavi fantasticando tu stessa su di lui un attimo faâ mi rimproverai. âPerchĂ© una bella Grisha non dovrebbe fare lo stesso?â
La ragazza piegĂČ le labbra in un sorriso, fissando Mal negli occhi, e continuĂČ a cercarlo da sopra la spalla finchĂ© la carrozza non scomparve alla vista. Mal la guardĂČ allontanarsi a bocca aperta, come inebetito.
«Chiudi quella bocca prima che ci voli dentro qualcosa» gli dissi bruscamente.
Lui sbatté le palpebre, ancora frastornato.
«Hai visto?» tuonĂČ una voce. Mi voltai e scorsi Mikhael che si avvicinava a grandi passi, con unâespressione di meraviglia quasi comica sul viso. Mikhael era un omone con i capelli rossi, il viso largo e il collo ancora piĂč largo. Dietro di lui, Dubrov, esile e scuro, corricchiava per raggiungerlo. Erano entrambi tracciatori dellâunitĂ di Mal e non si separavano mai da lui.
«Ovvio che ho visto» disse Mal, lâespressione inebetita che evaporava in un sorriso spavaldo. Io alzai gli occhi al cielo.
«Stava guardando proprio te!» esclamĂČ Mikhael, dando a Mal una pacca sulla schiena.
Mal si strinse nelle spalle, ostentando indifferenza, ma il suo sorriso si allargĂČ. «Già » ammise compiaciuto.
Dubrov spostĂČ nervosamente il peso del corpo da un piede allâaltro. «Dicono che le ragazze Grisha possono lanciare incantesimi sulle persone.»
Mi scappĂČ una risatina.
Mikhael mi guardĂČ come se non si fosse neanch...