SCENA PRIMA Strada
Pancrazio e Tiburzio orefice.
PANCRAZIO Appunto di voi andava in traccia, signor Tiburzio dabbene, e se qui non vi trovavo, venivo alla vostra bottega.
TIBURZIO Oh, signor Pancrazio, ella Ăš mio padrone; mi comandi; in che posso servirla?
PANCRAZIO Vi dirĂČ: ho certe gioje da vendere, châerano di una buona vedova, la quale me le lasciĂČ per maritar alcune fanciulle; vorrei che colla vostra sinceritĂ mi diceste il loro valore.
TIBURZIO Volentieri, son pronto a servirvi. Le avete con voi?
PANCRAZIO Eccole. Osservatele bene (tira fuori il bauletto, e lâapre).
SCENA SECONDA
Il Bargello coi birri, osservando le gioje da lontano.
TIBURZIO Signor Pancrazio, queste gioje sono di valore, non si possono stimar cosĂ su due piedi. Venite a bottega e vi servirĂČ.
PANCRAZIO Dite bene, verrĂČ: ma sono alquanto sporche, avreste intanto qualche segreto per ripulirle?
TIBURZIO Io veramente ne ho uno singolarissimo1: ma non soglio affidarlo a chicchessia, perché Ú un potentissimo veleno.
PANCRAZIO A me perĂČ potreste usar qualche distinzione2: non potete dubitar châio ne abusi. Sapete chi sono...
TIBURZIO So che siete un uomo onesto e da bene, e perciĂČ vi voglio servire, giacchĂ© per buona fortuna me ne trovo avere indosso un piccolo scatolino. Eccolo, prendete, servitevene, e le vedrete riuscir terse e risplendentissime. In caso poi voleste privarvene, avrĂČ forse lâincontro di farvele esitar3 con vantaggio.
PANCRAZIO Non lascerĂČ di valermi di voi. Intanto vi sono molto obbligato. Attendetemi domani.
TIBURZIO Siete sempre padrone (parte).
SCENA TERZA
Pancrazio, Bargello e birri in disparte.
PANCRAZIO (Veramente son belle queste gioje: ma la legatura Ăš antica, e i diamanti sono tanto sporchi che non compariscono. Con questa polvere risalteranno assai piĂș) (da sĂ©).
BARGELLO (Quel bauletto di gioje Ăš appunto quello che ha indicato Arlecchino) (osservando in disparte).
PANCRAZIO (Spererei con questo bel regalo di guadagnarmi la grazia della mia cara Rosaura) (da sé).
BARGELLO Alto, signore, con sua licenza.
PANCRAZIO Che câĂš? Cosa volete?
BARGELLO Favorisca quelle gioje.
PANCRAZIO Per qual ragione?
BARGELLO Perché sono rubate.
PANCRAZIO Come? Io sono un galantuomo.
BARGELLO Da chi le ha avute vossignoria?
PANCRAZIO Dal signor Zanetto Bisognosi.
BARGELLO Il signor Zanetto Bisognosi dice che gli sono state rubate; onde ella che le tiene, Ăš in sospetto di tale furto.
PANCRAZIO Un uomo della mia sorte? Della mia esemplaritĂ ?
BARGELLO Basta, si contenti che la lascio in libertĂ . Porto le gioje a Palazzo, e se vossignoria Ăš innocente, vada a giustificarsi.
PANCRAZIO Io per la curia? Io per i tribunali? Son conosciuto, sono un uomo dâonore.
SCENA QUARTA
Zanetto e detti.
PANCRAZIO Oh, ecco appunto il signor Zanetto. Dica egli come ho avute codeste gioje.
ZANETTO Zogie? Le mie zogie?
BARGELLO Signor Zanetto, conosce queste gioje?
ZANETTO Sior sĂ, queste xe le zogie che mâha lassĂ mio sior barba. Le cognosso, le xe mie.
PANCRAZIO Sentite? Le conosce. Erano del suo signor zio, erano sue (al Bargello).
BARGELLO Ed ella le ha date al signor Pancrazio? (a Zanetto).
PANCRAZIO Signor sĂ, signor sĂ, egli me le ha date. Non Ăš vero?
ZANETTO Mi no so gnente, mi no vâho dĂ gnente.
PANCRAZIO Come non mi avete dato nulla? Mi maraviglio di voi.
ZANETTO E mi me maraveggio de vu. Questa xe roba mia.
PANCRAZIO Oh cielo! Volete farmi perdere la riputazione?
ZANETTO PerdĂš quel che volĂš, no ghe penso gnente. Quel zovene, deme la mia roba (al Bargello).
PANCRAZIO Poter del mondo! In casa del signor Dottore, in camera della signora Rosaura, voi me lâavete date e ne sapete il perchĂ©.
ZANETTO SĂš un busiaro, che no contĂš altro che fandonie. MâavĂš anca dito che ...