VI.
Il Mezzogiorno al centro
della rinascita nazionale
La terra e i contadini: Guido Dorso e Manlio Rossi-Doria
Caduto il fascismo e crollato il Regno dâItalia, saranno invece gli agrari siciliani a riprendere lâiniziativa e a cercare di ricontrattare il loro ruolo nel nuovo assetto politico che si dovrĂ definire nella penisola. O, ancora meglio, a rimettere in discussione lo Stato unitario e a puntare sul separatismo dellâisola dallâItalia, senza negarsi di guardare chi agli Stati Uniti, chi allâimpero britannico, poco interessati peraltro a questi fantastici progetti.
Il barone Lucio Tasca Bordonaro, grande agrario, diede per tempo alle stampe Lâelogio del latifondo siciliano, dichiarandolo il miglior sistema di conduzione agricola per la Sicilia interna. Il grano della Sicilia tornava importante nella scarsezza e nella fame degli anni della guerra e del dopoguerra e alimentava un mercato nero dove operavano tutte le figure sociali, dai baroni ai banditi.
Lâoccupazione alleata e la rottura tra le due Italie favorirĂ lâesplosione in Sicilia del separatismo, guidato da antichi notabili del liberalismo e della massoneria come Andrea Finocchiaro Aprile e Giovanni Guarino Amella e dallâaristocrazia agraria dei Tasca, Alliata, Arezzo, Notarbartolo, Starrabba. Il Movimento per lâindipendenza della Sicilia (Mis) rilancerĂ il sicilianismo, ideologia di grandiose aspirazioni nazionali materiata di piĂč limitati interessi locali e sociali, contro i Comitati di liberazione nazionale e contro i partiti democratici che si riorganizzano e combattono contro nazisti e fascisti nel Centro-Nord. Il separatismo si darĂ un partito armato (Evis), cui aderiranno pure i banditi di Salvatore Giuliano.
Guido Dorso, nellâestate 1944, definirĂ il separatismo siciliano «lâultima evoluzione del trasformismo meridionale» e ne denuncerĂ la contrapposizione al drammatico processo in atto di ricomposizione democratica e antifascista dellâunitĂ italiana: «Mentre i partiti antifascisti a base unitaria si diffondono nellâisola per proseguire ivi, come altrove, lâopera del Risorgimento, e cercare di allargare le basi politiche dello Stato, con lâapporto decisivo di quelle masse, che la rettorica regia accusava di separatismo, il fenomeno aberrante si produce a opera di questi corifei dellâancien rĂ©gime che vedono in pericolo il loro chiuso e violento predominio regionale».
Il separatismo riproponeva in modo radicale il vecchio schema ideologico del sicilianismo interclassista a forte direzione proprietaria, che verrĂ riassorbito nel dopoguerra dentro le forme dellâautonomismo regionale, riconosciuto allâisola con lo statuto speciale, che servĂŹ a superare le spinte separatistiche e a riannodare i fili del lacerato tessuto nazionale.
Il Sud viene alla ribalta politica e culturale, dopo la liberazione dallâoccupazione tedesca ad opera delle truppe anglo-americane, nel convegno di studi sui problemi del Mezzogiorno organizzato dal Partito dâAzione il 3 dicembre 1944 a Bari. Guido Dorso legge il saggio su La classe dirigente del Mezzogiorno. Manlio Rossi-Doria inizia la sua splendida relazione intitolata La terra: il latifondo e il frazionamento, riconoscendo anzitutto «come Guido Dorso sia oggi davvero il nostro capo spirituale» e fissa un preciso giudizio che mantiene tutto il suo valore, nonostante le negazioni inventate in questi tempi grami. «Il merito di quel gruppo, eterogeneo nella sua composizione e altissimo nella sua ispirazione, cui si Ăš dato il nome di âmeridionalistiâ, Ăš stato quello di avere impostato su piano nazionale, come problema nazionale, la âquestione meridionaleâ, di aver dimostrato che, se tale questione non si risolve, tutta la vita della Nazione ne resta indebolita e minacciata, e una vera, civile e moderna democrazia non puĂČ nascere in Italia».
Segue una magistrale descrizione della struttura sociale dellâeconomia agricola del Mezzogiorno, che non Ăš uno solo, ma molti: quello «nudo» dellâagricoltura estensiva, quello «latifondistico», quello «alberato» dellâagricoltura intensiva, quello intermedio dellâagricoltura «promiscua». Il centro di questâacuta analisi Ăš la valutazione delle grandi e medie aziende cerealicolo-pastorali a ordinamento capitalistico che, nelle condizioni date, costituiscono comunque «un modello di razionalità ».
Ma questa agricoltura, diffusa nel Meridione e nelle isole, «ne rappresenta anche una delle ragioni piĂč potenti di inferioritĂ e di confusione e marasma. Essa rappresenta certo un mirabile circolo tra montagna e pianura, tra estate e inverno, adatto al clima e al naturale circolo della fertilitĂ , ma Ăš, ciĂČ nonostante, un circolo di miseria, che conserva e riproduce miseria, che impedisce il vero progresso agrario e il nascere dâuna moderna agricoltura nellâuna e nellâaltra parte del circolo. Questâagricoltura Ăš, allo stesso modo di quella contadina dellâinterno, unâagricoltura dellâassurdo e la civiltĂ moderna piĂč non consente assurdi nellâordinamento della produzione e della società ».
Lâarretratezza dellâagricoltura meridionale si concentra nelle zone interne: lâ«osso» rispetto alla «polpa» costiera dei successivi approfondimenti. Qui domina il «sistema latifondistico», che non Ăš solo la grande proprietĂ , ma anche la media e la piccola proprietĂ borghese e anche una parte della proprietĂ contadina. Lâintuizione originale di Rossi-Doria rispetto ai meridionalisti di fine Ottocento, come metterĂ in evidenza lui stesso, consiste nellâaver messo insieme le tante cause della «immobilità » meridionale, unificandole in un «sistema di rapporti sociali», in una «struttura economica e sociale»: il «latifondo contadino».
Se il clima, la malaria, la mancanza di acqua e di strade, le basse rese unitarie, il difetto di capitali «pesano cosĂŹ gravemente e cosĂŹ uniformemente su tutto il Mezzogiorno interno, gli Ăš perchĂ© tutto un sistema di rapporti sociali, tutto un ordinamento della produzione â se si vuole, provocato da quelle condizioni e bene adatto ad esse â le rende ancor piĂč dure e insuperabili di quanto, per loro natura, non sarebbero e le fa continuare ad agire sempre piĂč duramente».
La bonifica, fin dai tempi della occultata collaborazione dâanteguerra alla rivista «Bonifica e colonizzazione», una riforma agraria non collettivistica nĂ© generalmente espropriatrice, la ristrutturazione produttiva dellâorganizzazione agricola sui modelli avanzati delle fattorie americane: sono questi i passaggi fondamentali nellâazione meridionalistica del maggiore esperto e riformatore delle campagne meridionali.
Lâanno prima che Dorso e Rossi-Doria incitassero, al convegno azionista di Bari, alla rivoluzione meridionale e alla distruzione del «blocco agrario», i contadini poveri della Calabria avevano ripreso a invadere le terre degli enormi latifondi nel marchesato di Crotone, subito dopo lâ8 settembre 1943. A metĂ del 1944 era un ministro dellâAgricoltura calabrese e comunista, Fausto Gullo, a preparare il decreto che concedeva le terre incolte alle cooperative dei contadini, sulla falsariga del decreto Visocchi del primo dopoguerra.
Ora perĂČ le dimensioni del fenomeno erano piĂč vaste. Le lotte contadine invadevano terreni di superficie doppia rispetto alle occupazioni effettuate dopo la prima guerra mondiale. I decreti Gullo e poi i decreti del ministro democristiano Antonio Segni nel 1946 assegnarono alcune centinaia di migliaia di ettari di terre incolte ai contadini del Meridione e della Sicilia e stabilirono la proroga dei contratti agrari e il blocco delle disdette. Ma soltanto nellâanno 1947 le cooperative di contadini avanzarono richieste per oltre un milione di ettari.
La reazione degli agrari, a difesa della rendita fondiaria, fu durissima. La strage di Portella della Ginestra, affidata alla banda di Salvatore Giuliano per il 1° maggio 1947, fu la vicenda piĂč tragica. Ma, al di lĂ della resistenza padronale, le cooperative, che duravano mediamente non piĂč di un triennio, funzionarono male e prevalse nettamente il sistema inefficiente della quotizzazione individuale.
Alla fine della seconda guerra mondiale â scriverĂ un esperto agrario quale Corrado Barberis â «lâidentificazione del Mezzogiorno con la ruralitĂ e della ruralitĂ con lâagricoltura era un fatto assodato». Qualche anno dopo, il censimento verificava che quasi il 70% della popolazione del Mezzogiorno continentale viveva nei comuni rurali; mentre nelle regioni del Nord si era scesi al 50%.
I movimenti di lotta contadini ripresero nel Mezzogiorno sul finire degli anni Quaranta e contribuirono al varo delle leggi riformatrici nel 1950. Ma giĂ prima, in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, i contadini meridionali avevano dato un contributo decisivo alla nascita della Repubblica. Men...