La questione italiana
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La questione italiana

Il Nord e il Sud dal 1860 a oggi

Francesco Barbagallo

  1. 244 pagine
  2. Italian
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La questione italiana

Il Nord e il Sud dal 1860 a oggi

Francesco Barbagallo

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Barbagallo mette in luce come luoghi comuni e politiche sbagliate abbiano penalizzato metà del nostro paese. Secondo l'autore il Mezzogiorno da 'problema' dovrebbe trasformarsi in opportunità per l'intera società italiana. A patto di liberarsi dal familismo dei clan e di puntare sulla preparazione e le capacità di lavoro del più esteso e inattivo capitale giovanile. Rocco Moliterni, "Tuttolibri"

Francesco Barbagallo dimostra in queste pagine quale ruolo centrale abbia avuto la questione meridionale nella storia d'Italia e sottolinea come essa abbia ancora oggi un'importanza fondamentale, malgrado ultimamente sia pressoché scomparsa dal discorso pubblico: come se la si desse oramai per irrisolvibile. Valerio Castronovo, "Il Sole 24 Ore"

Nell'alternarsi di dati e pagine sobriamente emotive sul cosiddetto divario Nord-Sud, che ha attraversato l'Italia dall'Unità a oggi, emerge un promemoria impressionante: da un lato si vede il filo del 'meridionalismo' stendersi lungo i decenni; dall'altro l'azione delle classi dirigenti nei riguardi del Sud, che ha conosciuto rari momenti di auge e lunghi periodi di stasi. Nello Ajello, "la Repubblica"

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Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788858130292
Argomento
Storia

VI.
Il Mezzogiorno al centro
della rinascita nazionale

La terra e i contadini: Guido Dorso e Manlio Rossi-Doria

Caduto il fascismo e crollato il Regno d’Italia, saranno invece gli agrari siciliani a riprendere l’iniziativa e a cercare di ricontrattare il loro ruolo nel nuovo assetto politico che si dovrà definire nella penisola. O, ancora meglio, a rimettere in discussione lo Stato unitario e a puntare sul separatismo dell’isola dall’Italia, senza negarsi di guardare chi agli Stati Uniti, chi all’impero britannico, poco interessati peraltro a questi fantastici progetti.
Il barone Lucio Tasca Bordonaro, grande agrario, diede per tempo alle stampe L’elogio del latifondo siciliano, dichiarandolo il miglior sistema di conduzione agricola per la Sicilia interna. Il grano della Sicilia tornava importante nella scarsezza e nella fame degli anni della guerra e del dopoguerra e alimentava un mercato nero dove operavano tutte le figure sociali, dai baroni ai banditi.
L’occupazione alleata e la rottura tra le due Italie favorirà l’esplosione in Sicilia del separatismo, guidato da antichi notabili del liberalismo e della massoneria come Andrea Finocchiaro Aprile e Giovanni Guarino Amella e dall’aristocrazia agraria dei Tasca, Alliata, Arezzo, Notarbartolo, Starrabba. Il Movimento per l’indipendenza della Sicilia (Mis) rilancerà il sicilianismo, ideologia di grandiose aspirazioni nazionali materiata di più limitati interessi locali e sociali, contro i Comitati di liberazione nazionale e contro i partiti democratici che si riorganizzano e combattono contro nazisti e fascisti nel Centro-Nord. Il separatismo si darà un partito armato (Evis), cui aderiranno pure i banditi di Salvatore Giuliano228.
Guido Dorso, nell’estate 1944, definirà il separatismo siciliano «l’ultima evoluzione del trasformismo meridionale» e ne denuncerà la contrapposizione al drammatico processo in atto di ricomposizione democratica e antifascista dell’unità italiana: «Mentre i partiti antifascisti a base unitaria si diffondono nell’isola per proseguire ivi, come altrove, l’opera del Risorgimento, e cercare di allargare le basi politiche dello Stato, con l’apporto decisivo di quelle masse, che la rettorica regia accusava di separatismo, il fenomeno aberrante si produce a opera di questi corifei dell’ancien régime che vedono in pericolo il loro chiuso e violento predominio regionale»229.
Il separatismo riproponeva in modo radicale il vecchio schema ideologico del sicilianismo interclassista a forte direzione proprietaria, che verrà riassorbito nel dopoguerra dentro le forme dell’autonomismo regionale, riconosciuto all’isola con lo statuto speciale, che servì a superare le spinte separatistiche e a riannodare i fili del lacerato tessuto nazionale230.
Il Sud viene alla ribalta politica e culturale, dopo la liberazione dall’occupazione tedesca ad opera delle truppe anglo-americane, nel convegno di studi sui problemi del Mezzogiorno organizzato dal Partito d’Azione il 3 dicembre 1944 a Bari. Guido Dorso legge il saggio su La classe dirigente del Mezzogiorno. Manlio Rossi-Doria inizia la sua splendida relazione intitolata La terra: il latifondo e il frazionamento, riconoscendo anzitutto «come Guido Dorso sia oggi davvero il nostro capo spirituale» e fissa un preciso giudizio che mantiene tutto il suo valore, nonostante le negazioni inventate in questi tempi grami. «Il merito di quel gruppo, eterogeneo nella sua composizione e altissimo nella sua ispirazione, cui si è dato il nome di ‘meridionalisti’, è stato quello di avere impostato su piano nazionale, come problema nazionale, la ‘questione meridionale’, di aver dimostrato che, se tale questione non si risolve, tutta la vita della Nazione ne resta indebolita e minacciata, e una vera, civile e moderna democrazia non può nascere in Italia»231.
Segue una magistrale descrizione della struttura sociale dell’economia agricola del Mezzogiorno, che non è uno solo, ma molti: quello «nudo» dell’agricoltura estensiva, quello «latifondistico», quello «alberato» dell’agricoltura intensiva, quello intermedio dell’agricoltura «promiscua». Il centro di quest’acuta analisi è la valutazione delle grandi e medie aziende cerealicolo-pastorali a ordinamento capitalistico che, nelle condizioni date, costituiscono comunque «un modello di razionalità».
Ma questa agricoltura, diffusa nel Meridione e nelle isole, «ne rappresenta anche una delle ragioni più potenti di inferiorità e di confusione e marasma. Essa rappresenta certo un mirabile circolo tra montagna e pianura, tra estate e inverno, adatto al clima e al naturale circolo della fertilità, ma è, ciò nonostante, un circolo di miseria, che conserva e riproduce miseria, che impedisce il vero progresso agrario e il nascere d’una moderna agricoltura nell’una e nell’altra parte del circolo. Quest’agricoltura è, allo stesso modo di quella contadina dell’interno, un’agricoltura dell’assurdo e la civiltà moderna più non consente assurdi nell’ordinamento della produzione e della società»232.
L’arretratezza dell’agricoltura meridionale si concentra nelle zone interne: l’«osso» rispetto alla «polpa» costiera dei successivi approfondimenti233. Qui domina il «sistema latifondistico», che non è solo la grande proprietà, ma anche la media e la piccola proprietà borghese e anche una parte della proprietà contadina. L’intuizione originale di Rossi-Doria rispetto ai meridionalisti di fine Ottocento, come metterà in evidenza lui stesso, consiste nell’aver messo insieme le tante cause della «immobilità» meridionale, unificandole in un «sistema di rapporti sociali», in una «struttura economica e sociale»: il «latifondo contadino».
Se il clima, la malaria, la mancanza di acqua e di strade, le basse rese unitarie, il difetto di capitali «pesano così gravemente e così uniformemente su tutto il Mezzogiorno interno, gli è perché tutto un sistema di rapporti sociali, tutto un ordinamento della produzione – se si vuole, provocato da quelle condizioni e bene adatto ad esse – le rende ancor più dure e insuperabili di quanto, per loro natura, non sarebbero e le fa continuare ad agire sempre più duramente»234.
La bonifica, fin dai tempi della occultata collaborazione d’anteguerra alla rivista «Bonifica e colonizzazione», una riforma agraria non collettivistica né generalmente espropriatrice, la ristrutturazione produttiva dell’organizzazione agricola sui modelli avanzati delle fattorie americane: sono questi i passaggi fondamentali nell’azione meridionalistica del maggiore esperto e riformatore delle campagne meridionali.
L’anno prima che Dorso e Rossi-Doria incitassero, al convegno azionista di Bari, alla rivoluzione meridionale e alla distruzione del «blocco agrario», i contadini poveri della Calabria avevano ripreso a invadere le terre degli enormi latifondi nel marchesato di Crotone, subito dopo l’8 settembre 1943. A metà del 1944 era un ministro dell’Agricoltura calabrese e comunista, Fausto Gullo, a preparare il decreto che concedeva le terre incolte alle cooperative dei contadini, sulla falsariga del decreto Visocchi del primo dopoguerra.
Ora però le dimensioni del fenomeno erano più vaste. Le lotte contadine invadevano terreni di superficie doppia rispetto alle occupazioni effettuate dopo la prima guerra mondiale. I decreti Gullo e poi i decreti del ministro democristiano Antonio Segni nel 1946 assegnarono alcune centinaia di migliaia di ettari di terre incolte ai contadini del Meridione e della Sicilia e stabilirono la proroga dei contratti agrari e il blocco delle disdette. Ma soltanto nell’anno 1947 le cooperative di contadini avanzarono richieste per oltre un milione di ettari.
La reazione degli agrari, a difesa della rendita fondiaria, fu durissima. La strage di Portella della Ginestra, affidata alla banda di Salvatore Giuliano per il 1° maggio 1947, fu la vicenda più tragica. Ma, al di là della resistenza padronale, le cooperative, che duravano mediamente non più di un triennio, funzionarono male e prevalse nettamente il sistema inefficiente della quotizzazione individuale235.
Alla fine della seconda guerra mondiale – scriverà un esperto agrario quale Corrado Barberis – «l’identificazione del Mezzogiorno con la ruralità e della ruralità con l’agricoltura era un fatto assodato». Qualche anno dopo, il censimento verificava che quasi il 70% della popolazione del Mezzogiorno continentale viveva nei comuni rurali; mentre nelle regioni del Nord si era scesi al 50%236.
I movimenti di lotta contadini ripresero nel Mezzogiorno sul finire degli anni Quaranta e contribuirono al varo delle leggi riformatrici nel 1950. Ma già prima, in occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, i contadini meridionali avevano dato un contributo decisivo alla nascita della Repubblica. Men...

Indice dei contenuti

  1. Premessa
  2. I. L’imprevista unità
  3. II. Conflitti e squilibri
  4. III. La questione meridionale, il meridionalismo
  5. IV. Il modello italiano di sviluppo e il Mezzogiorno
  6. V. Guerra, dopoguerra, fascismo
  7. VI. Il Mezzogiorno al centro della rinascita nazionale
  8. VII. Lo sviluppo, lo squilibrio, l’esodo
  9. VIII. Modernità dei consumi e modernizzazione apparente
  10. IX. Da un millennio all’altro
  11. X. Il Mezzogiorno attuale
  12. Conclusione
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APA 6 Citation

Barbagallo, F. (2017). La questione italiana ([edition unavailable]). Editori Laterza. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3459872/la-questione-italiana-il-nord-e-il-sud-dal-1860-a-oggi-pdf (Original work published 2017)

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Barbagallo, Francesco. (2017) 2017. La Questione Italiana. [Edition unavailable]. Editori Laterza. https://www.perlego.com/book/3459872/la-questione-italiana-il-nord-e-il-sud-dal-1860-a-oggi-pdf.

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Barbagallo, F. (2017) La questione italiana. [edition unavailable]. Editori Laterza. Available at: https://www.perlego.com/book/3459872/la-questione-italiana-il-nord-e-il-sud-dal-1860-a-oggi-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Barbagallo, Francesco. La Questione Italiana. [edition unavailable]. Editori Laterza, 2017. Web. 15 Oct. 2022.