Capitolo terzo.
Che cosa si produce e a chi si vende
1. Manifattura o servizi? Una domanda ormai irrilevante
Nel capitolo precedente ci siamo occupati di imprese manifatturiere. Tuttavia, la distinzione fra manufatti e servizi sta sfumando: un manufatto Ăš sempre piĂč spesso un mero contenitore di servizi, senza i quali non avrebbe valore. Sono i servizi che ne determinano lâevoluzione qualitativa. Lâesempio degli smartphone Ăš lampante.
Il Rapporto sulla competitivitĂ dei settori produttivi dellâIstat del 2015 lo documenta in modo esauriente, incentrando lâanalisi sulla terziarizzazione dellâindustria e sulla interconnessione tra industria e servizi, fenomeni definiti come âil tratto distintivo dellâevoluzione economica degli ultimi decenniâ1. Essi sono attribuiti soprattutto alla frammentazione internazionale delle produzioni e alla loro riorganizzazione secondo catene globali del valore, di cui abbiamo parlato e parleremo in ancora maggiore dettaglio piĂč avanti. Noi perĂČ preferiamo illustrarli qui attraverso un racconto tratto dalla storia del cinema.
Nel 1936, ottantâanni fa, uscĂŹ nelle sale un film di Charlie Chaplin intitolato Tempi moderni (Modern Times). Era, tra lâaltro, una rappresentazione grottesco-satirica del âtaylorismoâ o âfordismoâ, cioĂš della tipica organizzazione del lavoro degli opifici meccanici del tempo, basata sulla catena di montaggio. Il termine âtaylorismoâ si rifĂ a Frederick Taylor, fondatore dello Scientific Management; âfordismoâ fa invece riferimento a Henry Ford, fondatore della omonima casa automobilistica che agli albori dellâaltro secolo avviĂČ la prima produzione di massa nella storia dellâautomobile, con il celeberrimo Modello T. Ford pagava molto i suoi operai per gli standard del tempo, 5 dollari al giorno, il doppio dei concorrenti, per fidelizzarli e innalzarne il tenore di vita al punto da potersi permettere di comprare un Modello T: lâembrione del consumismo.
La fabbrica del film Tempi moderni ha un nome di fantasia, Electro-Steel, che combina i due elementi su cui si riteneva basato il progresso di quellâepoca, lâelettricitĂ e lâacciaio.
In una delle tante scene memorabili di quel capolavoro assoluto della cinematografia mondiale si vede Charlot, protagonista del film e usuale maschera tragicomica di Chaplin, accanto a una delle catene di montaggio della Electro-Steel. La sua mansione consiste nello stringere con due tenaglie, una per mano, coppie di bulloni che la catena di montaggio, scorrendo sotto i suoi occhi, incessantemente gli mette davanti. Sempre lo stesso movimento, ruotando gomiti e polsi, ripetuto centinaia, migliaia di volte. Lâoperaio appena dietro di lui ha il compito di piantare i perni attorno a cui vanno stretti i bulloni, con un martellaccio. Anche lui Ăš condannato a una eterna ripetizione dello stesso gesto: picchiare il martello sui perni. Charlot, con le sue movenze maldestre, perde spesso il ritmo ed Ăš costretto ad arretrare finendo addosso al suo compagno di catena, che lo respinge a calcioni.
A un certo punto lâinquadratura cambia e mostra il presidente della societĂ seduto alla sua sontuosa scrivania, intento a giocare con un puzzle; allâingresso di una bionda e sussiegosa segretaria fa finta di sfogliare un giornale. Infine, stanco di oziare, accende degli schermi dietro di lui, che gli consentono di controllare, attraverso videocamere (a quel tempo una pura fantasia, non ancora realizzata), ogni angolo della fabbrica. DĂ un ordine secco a una specie di giovane dio Vulcano a torso nudo, incaricato di manovrare il gigantesco macchinario che muove le catene di montaggio, perchĂ© aumenti la velocitĂ proprio di quella a cui Ăš adibito il povero Charlot. I disastri che combina Charlot si moltiplicano, in un fuoco dâartificio di gag comiche.
Non sappiamo che cosa mai quella mostruosa fabbrica produca. Sappiamo per certo che si tratta di attivitĂ manifatturiera. Vengono di sicuro prodotti degli oggetti tangibili, con lâintervento decisivo delle mani degli operai: le mani di Charlot e del suo baffuto compagno di fatica sono costantemente in primo piano. Lâintero processo produttivo Ăš descritto come infinitamente ripetitivo. Il capitalista, lâozioso presidente, ha evidentemente investito i suoi capitali finanziari allâinizio di questa storia, acquistando lâenorme capannone e il madornale macchinario, progettato e costruito una tantum da qualcuno; quindi ha assunto migliaia di manovali generici e intercambiabili, qualche capetto per controllarne la solerzia, un singolo manovratore della macchina (il giovane Vulcano). La produzione Ăš stata impostata una volta per tutte, ora procede ad libitum, il presidente-manager deve solo buttarci un occhio di tanto in tanto per decidere il ritmo di produzione, scegliendo un punto di equilibrio fra la resistenza psicofisica degli operai e la sua aviditĂ di guadagno.
Inutile dire che la resistenza di Charlot crolla ben presto, gli viene un esaurimento nervoso che lo porta a gesti inconsulti tali da bloccare lâintera fabbrica, sicchĂ© viene cacciato via e da lĂŹ si dipana una storia tortuosa e appassionante che ci conduce per mano allâinterno dellâAmerica che si dibatte per uscire dalla Grande Depressione.
Chiediamoci: vi sono in quel processo produttivo degli input âdi servizioâ, che non si limitino allâinterazione macchina-mani? Non da parte del management: non vi sono apparentemente decisioni da prendere, solo verificare che le macchine vadano, vadano, vadano, tuttâal piĂč stabilirne la velocitĂ . Non da parte dei tecnici: ve ne Ăš uno solo, Vulcano, che esegue gli ordini del padrone in modo meccanico, secondo procedure prestabilite, di fatto Ăš un âmanovaleâ anche lui, solo lievemente piĂč addestrato. A somigliare a un âservizioâ vi Ăš solo lâodioso compito di controllo degli operai-schiavi svolto dalla sparuta pattuglia di capetti. Il valore del loro lavoro sarĂ tuttavia, possiamo immaginare, una percentuale infima di quello della produzione.
Ora cambiamo film. Quattro anni prima, nel 1932, era uscito negli Stati Uniti, per diventare rapidamente un blockbuster mondiale, Grand Hotel: il capostipite di tutte le megaproduzioni hollywoodiane, zeppo di celebritĂ , a cominciare da Greta Garbo. Ambientato in una Berlino non ancora nazista, in piena Repubblica di Weimar. Gente che va, gente che viene, tante storie che sâintrecciano, tutte di gente ricca, naturalmente. Fra le molte, due sequenze notevoli: Greta Garbo, famosa ballerina, pensa di essere sul viale del tramonto e medita il suicidio (âI want to be aloneâ); al bancone del bar dellâalbergo una giovane donna e due gentiluomini chiacchierano, la donna chiede dellâassenzio (scandalo!), si vede la schiena bianca del barman che le porge un calice pieno. La ballerina, il barman. Unâartista, un servitore. Le due fattispecie tipiche in cui a quel tempo si poteva concepire unâattivitĂ ...