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LâEuropa e la pace
1.1. Pace e sovranitĂ nazionale
Alla conclusione della prima guerra mondiale la sovranitĂ nazionale finĂŹ sul banco degli imputati. Venne considerata la causa scatenante del conflitto: non solo di quello bellico, ovvero del conflitto tra Stati, ma anche di quello interno agli Stati, ovvero del conflitto redistributivo.
La denigrazione della sovranitĂ ricorreva tra i fautori di molte fra le visioni politiche che avevano animato la costruzione e lo sviluppo dello Stato nazionale. Ricorreva tra i liberali, che si stavano peraltro avviando a innovare il loro credo secondo schemi poi definiti come neoliberali, per sottolineare la volontĂ di riabilitare il ruolo dei pubblici poteri nella disciplina dellâordine economico, e in particolare nella prevenzione dei fallimenti del mercato. La sovranitĂ era poi invisa ai cattolici, specialmente tra coloro i quali si rivolgevano a valori premoderni per pacificare lâordine economico e neutralizzare il conflitto redistributivo. Anche tra i socialisti si levavano le voci di chi considerava la dimensione nazionale un ostacolo al superamento della proprietĂ privata dei mezzi di produzione e, piĂč in generale, alla promozione della giustizia sociale.
Comune a questo variegato insieme di critici della sovranitĂ nazionale era lâintento di scioglierla entro aggregazioni di entitĂ statuali in massima parte definite come federazioni. Il fine ultimo era imporre la condivisione di scelte relative al mantenimento dellâordine pubblico e della politica estera e di difesa, ma anche e soprattutto alla disciplina di vicende rilevanti per lâassetto dellâordine economico, nella convinzione che, in tal modo, lâordine politico sarebbe risultato inservibile come catalizzatore di conflitti.
Il composito insieme di avversari della sovranitĂ nazionale ha variamente attinto dal pensiero di Immanuel Kant, che ha celebrato il federalismo come un presidio di pace, e di Alexander Hamilton, a cui si deve la prima elaborazione concernente i suoi profili istituzionali.
Kant stigmatizzava le caratteristiche del diritto internazionale, nato nel Settecento come ordinamento di Stati sovrani e indipendenti, alla base dellâordine mondiale definito con la Pace di Westfalia. Un ordine reputato instabile e violento proprio per le caratteristiche degli Stati sovrani, i quali non riconoscevano «nessun potere legislativo superiore» e impedivano, cosĂŹ, la ritualizzazione del conflitto: gli Stati sovrani non «perseguono i propri diritti» attraverso «il processo, come con un tribunale esterno». Di qui, la centralitĂ della guerra come modalitĂ utilizzata per far valere le loro prerogative e, anzi, lâimpossibilitĂ di instaurare la pace in un contesto dominato dagli Stati: lâassenza di una istanza superiore capace di orientare i loro comportamenti consentiva tuttâal piĂč di raggiungere semplici tregue tra un conflitto e lâaltro.
Entra in gioco a questo punto la federazione, entitĂ dotata di prerogative diverse da quelle di norma riconosciute allo Stato e, in tal senso, non concepita per «la costruzione di una potenza politica». La federazione non intendeva cioĂš sottomettere gli Stati «a leggi pubbliche e alla costrizione da esse esercitata», bensĂŹ semplicemente promuovere «la garanzia della libertĂ di uno Stato preso a sĂ© e contemporaneamente degli altri Stati federati», bandendo con ciĂČ la guerra dalle relazioni internazionali e realizzando tra essi un ordine incentrato sulla garanzia della pace perpetua.
Hamilton si Ăš occupato di federalismo in un momento cruciale per la storia degli Stati Uniti: quando gli Articoli della Confederazione, approvati alla conclusione della Guerra dâindipendenza, avevano istituito tra le ex colonie un legame capace di alimentare «i medesimi meccanismi dispotici che hanno rappresentato la piaga del Vecchio mondo». Di qui la soluzione poi accolta alla convenzione di Filadelfia e codificata nella Costituzione degli Stati Uniti, che intacca le sovranitĂ statuali avendo tuttavia cura di non renderle soccombenti di fronte alla sovranitĂ sovrastatuale. Il tutto rispecchiato nellâassetto del potere legislativo, comprendente una camera bassa per la quale vale la rappresentanza proporzionale, e una camera alta con rappresentanza paritaria di ciascuno Stato. E completato dalla individuazione delle materie di esclusiva competenza dellâUnione, tra le quali spiccano quelle in materia di politica economica: il potere di «fissare e riscuotere tasse» e il potere di «battere moneta» (art. 1).
Questo assetto avrebbe assicurato la pace perchĂ© consentiva al livello sovrastatuale di realizzare una «sovraintendenza generale e discrezionale» nei confronti degli Stati, ma anche e soprattutto dei loro cittadini. Se, infatti, i provvedimenti assunti a livello sovrastatuale «non potessero essere attuati senza lâintervento di una amministrazione particolare, allora la loro possibilitĂ di essere eseguiti sarĂ minima»: sarebbero provvedimenti ridotti a «mere raccomandazioni che gli Stati osservano o ignorano a loro piacimento», potendo cosĂŹ essere «alternativamente amici e nemici» in base a mutevoli «gelosie e rivalità ».
Va detto a questo punto che, sebbene Hamilton sia ritenuto il padre del pensiero federalista nella sua articolazione istituzionale, lâequilibrio tra livello nazionale e livello sovranazionale cui rinviano le sue riflessioni non Ăš stato ripreso in tutti gli sviluppi di quel pensiero. Il politico e studioso statunitense ha promosso la cessione di porzioni della sovranitĂ statuale a un contesto sovrastatuale, ma non anche una complessiva riduzione del raggio di azione dei pubblici poteri. Vedremo, invece, che lâevoluzione del pensiero federalista, almeno quello cui la costruzione europea mostra di essersi ispirata, ha inteso promuovere la compressione delle prerogative statuali non tanto e non solo per trasferirle a un livello superiore, bensĂŹ per ottenere la loro evaporazione: per alimentare lâidea di uno Stato minimo e affidare a quel livello il compito di presidiare la sua realizzazione.
1.2. Federalismo cattolico
Se nel Nuovo mondo il federalismo ha riscosso notevole successo, divenendo lâossatura della Costituzione statunitense, lo stesso non puĂČ dirsi per il Vecchio continente. LĂŹ il radicamento della dimensione nazionale ha impedito di scalfire il sistema delle relazioni internazionali inaugurato con la Pace di Westfalia, costringendo il federalismo entro i ristretti spazi di un dibattito intellettuale piĂč o meno circoscritto a poche personalitĂ prive di un seguito significativo.
Le cose cambiarono in parte alla conclusione del primo conflitto mondiale su stimolo del Conte Richard Nikolaus Coudenhove-Kalergi, un intellettuale austro giapponese da molti considerato il padre spirituale dellâunitĂ europea. La sua opera offre spunti di notevole interesse in quanto completa le riflessioni degli iniziatori del federalismo con alcuni aspetti inevitabilmente trascurati da questi ultimi e, tuttavia, destinati a comporre il nucleo fondativo del federalismo europeo e in particolare di quello di matrice cattolica.
Kalergi non ha approfondito piĂč di tanto i risvolti istituzionali della sua proposta, per i quali si limitava a rinviare allâesempio statunitense. I suoi scritti, poi, hanno un taglio divulgativo e marcatamente militante: si esprime con il piglio di chi intende promuovere un progetto politico con argomenti semplificati, illustrati ricorrendo a retoriche ad effetto. Si deve perĂČ a Kalergi il collegamento tra le implicazioni politiche del federalismo, quelle concernenti lâedificazione di un ordine internazionale pacificato, e quelle di rilievo economico, ovvero la promozione di una disciplina del mercato caratterizzata da una contenuta ingerenza dei pubblici poteri. SarĂ questo lâaspetto destinato a divenire prevalente nel dibattito europeo e,...