Maratona. Il giorno in cui Atene sconfisse l'Impero
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Maratona. Il giorno in cui Atene sconfisse l'Impero

Richard A. Billows

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Maratona. Il giorno in cui Atene sconfisse l'Impero

Richard A. Billows

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11 agosto 490 a.C., piana di Maratona. Un esercito di diecimila greci, in maggioranza ateniesi, affronta a viso aperto lo sterminato schieramento persiano. La vittoria degli invasori sembra già scritta, ma la rapidità d'attacco e l'ardore guerriero degli opliti ribaltano in poche ore l'esito della battaglia. Viene impresso un nuovo corso al futuro della Grecia e alla storia di tutto l'Occidente. Già agli occhi dei contemporanei quella storica giornata divenne la massima espressione dell'ingegno e del coraggio individuali, uniti alla disciplina collettiva e alla coesione tenace: Eschilo volle che sulla propria tomba fosse ricordato il suo valore durante la grande battaglia piuttosto che le sue doti drammatiche. A rendere lo scontro quasi leggendario contribuì il ricordo dell'impresa di Filippide, il messo ateniese che percorse una distanza di quarantadue chilometri, da Maratona ad Atene, per dare ai concittadini la notizia della vittoria. Tuttavia, sulle tracce di Erodoto, Billows abbandona il mito e racconta la storia, soffermandosi sulla marcia dei reduci che, dopo aver combattuto, ancora muniti di armatura, scudo e lancia, tornarono ad Atene rapidi per difendere le alte mura della città. Confutando i luoghi comuni, concentrandosi sulla strategia militare e sulla tecnologia delle armi, Richard A. Billows ripercorre gli avvenimenti storici portandoci sul campo di battaglia, mostrandoci il furore dei combattenti greci mentre si abbattono, incredibilmente compatti, sul nemico persiano. Maratona ricostruisce gli eventi, avvalorando l'interpretazione del xix secolo, secondo la quale la vittoria ateniese costituì il momento fondamentale per la nascita della cultura greca classica e dunque della civiltà occidentale.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788865762820

1. Gli antichi greci nel VII e VI secolo a.C.

La civiltà greca classica ha i suoi fondamenti in Omero. I poemi omerici – l’Iliade e l’Odissea – furono composti con tutta probabilità nella seconda metà dell’VIII secolo a.C. In breve tempo divennero, per così dire, la «bibbia» degli antichi greci – specie l’Iliade – e tali rimasero fino a che non furono rimpiazzati dalla Bibbia cristiana nel IV secolo d.C. Di conseguenza, durante il VII, VI e V secolo a.C., e anche più tardi, i greci si formarono con i poemi omerici, vedendo in quelle storie una raffigurazione delle loro origini culturali e considerando assoluti i valori e gli ideali che esprimevano.

Omero e lo spirito competitivo nella cultura greca

Per comprendere l’antica cultura greca è importante tenere a mente che i poemi omerici erano epopee militari: l’Iliade parla delle azioni militari e delle imprese del grande eroe greco Achille, e l’Odissea racconta il ritorno in patria di Ulisse dopo una lunga guerra e la sua vendetta contro quelli che avevano profanato la sua casa durante la sua assenza. Da quei poemi, i greci impararono a stimare più di ogni altra cosa le virtù marziali e un acceso spirito competitivo. Infatti, in Omero, la virtù è strettamente legata alle prodezze militari e alla competizione per lo status e la supremazia. Gli eroi descritti nei poemi si sforzavano di primeggiare, di dimostrare la loro aristeia, la loro «eccellenza». I greci impararono da Omero a competere per l’onore e il prestigio, a sforzarsi di essere sempre i migliori e a ritenersi tali secondo un criterio basato soprattutto sulla prodezza fisica, guerresca. Per esempio, Achille era universalmente considerato «il migliore degli achei». Quando esaminiamo le qualità che lo rendevano tale, non troviamo alcuna traccia di rettitudine morale per come venne intesa più tardi, dopo Platone e soprattutto dopo l’avvento del cristianesimo: Achille era il più alto, il più forte, il più bello, un corridore eccezionale, un guerriero senza pari, possedeva il carro da guerra con la pariglia di cavalli più veloce ed era tutto questo a fare di lui «il migliore», non la sua fibra morale. La sua eccellenza consisteva in straordinarie caratteristiche, doti e qualità fisiche e combattive.
Il bisogno imperioso di essere il migliore alimenta uno spirito competitivo. Migliore significa essere superiore agli altri. Per un condottiero omerico non bastava essere bravo: bisognava essere più bravo degli altri. C’era una continua competizione per il prestigio e l’unico modo di provare la propria aretè («eccellenza», intesa poi come virtù) era battere qualcuno: un guerriero nemico in un duello o un compagno d’armi in un’impresa. Dato che i commilitoni non potevano battersi e uccidersi fra loro, era necessario un sistema che limitasse il pericolo di un esito letale e a tale scopo si ricorreva alla competizione atletica.
L’esempio più famoso nell’Iliade sono i giochi funebri organizzati da Achille per Patroclo, in cui i guerrieri greci gareggiavano per dimostrare chi fosse il migliore: corsa, lotta, combattimento con il giavellotto, tiro con l’arco, pugilato, corse di carri. In riconoscimento delle loro eccezionali imprese, al vincitore e al secondo e terzo arrivato venivano assegnati premi che erano considerati simboli di onore e di prestigio. Analogamente, venivano conferiti premi ai guerrieri più valorosi per le loro gesta in battaglia: l’ira di Achille si scatenò perché il re Agamennone, capo della spedizione, aveva offeso il suo onore portandogli via il riconoscimento che aveva ricevuto per il suo valore. L’onore dev’essere costantemente protetto e valorizzato: quando Ulisse, nella terra dei Feaci, dichiarò di non voler partecipare a una competizione atletica, venne schernito fino a essere costretto a difendere il proprio onore e mostrare la propria «eccellenza» battendo tutti i Feaci nella gara di lancio. Agon significa «competizione» in greco, è la radice della parola «agonia» e dello spirito «agonistico», che ha impregnato la cultura greca in ogni epoca, ed è una delle chiavi che aiutano a comprendere la natura di quella società e del suo sistema di vita.
Lo spirito di competizione non era una preoccupazione solo aristocratica. Una generazione dopo Omero, Esiodo compose il suo poema Le Opere e i Giorni idealizzando il sistema di vita della classe contadina indipendente. Come gli «eroi» aristocratici, i piccoli agricoltori descritti da Esiodo erano animati da uno spirito agonistico, anche se per loro la competizione non si basava tanto sull’onore quanto sulla rispettiva ricchezza. Esiodo sosteneva l’esistenza di due tipi di eris («conflittualità»), una cattiva e una buona. La prima – l’accezione più normale di eris – poteva lacerare una comunità con una violenta e insana lotta per il potere e la posizione. Quella buona, invece, era il desiderio di superare i propri vicini che metteva in concorrenza vasaio contro vasaio e fabbro contro fabbro. Esiodo raccomandava ad agricoltori e artigiani di lavorare sodo, lottare per avere successo e sfidarsi a vicenda. Lo scopo era riuscire a comprare il terreno del vicino prima che lo facesse lui. Era una competizione davvero aspra perché nella cultura e nella società greche la terra e lo status erano profondamente legati, e l’uomo che non possedeva terreni si trovava in fondo alla scala sociale.
Molti degli aspetti più apprezzati e al tempo stesso più criticati della cultura greca classica derivano da questo spirito universale di competizione: da un lato, le straordinarie conquiste militari, politiche e culturali per cui gli antichi greci sono stati ammirati nel corso della storia; dall’altro, la costante violenza che ha macchiato la storia greca – guerre interminabili fra le città greche e frequenti conflitti civili entro le città stesse.
L’enfasi di Esiodo sulla competizione per il possesso della terra merita particolare attenzione. La Grecia è un paese montagnoso e quasi l’ottanta per cento del suo territorio è talmente roccioso e scosceso da essere incoltivabile. Di conseguenza, la terra fertile era un bene scarso e prezioso e la lotta per il possesso o il controllo di quella terra non era soltanto una competizione pacifica fra agricoltori che lavoravano duramente. Gran parte della storia politica delle città-stato greche si spiega con la contesa per il controllo della terra coltivabile. In poche parole, gli stati greci tendevano a sviluppare forti rivalità per il controllo dei territori di confine, con il risultato che le dispute furono endemiche nel corso di tutta la loro storia. Gli stati confinanti erano quasi sempre nemici anziché amici, perché avevano una storia comune di dispute di confine e di guerra reciproca invece che di collaborazione.
Inoltre, nella stessa ricerca di terra, ricchezza e quindi potere, gli stati greci più vasti tentavano spesso di dominare o incorporare i vicini più piccoli, creando così relazioni ostili. Si contendevano anche il predominio regionale e queste lotte sfociavano inevitabilmente in aperti conflitti. Esempi di questa tipologia di rapporti interstatali sono comuni e ben noti: stati limitrofi come Corinto e Megara, Eretria e Calcide, Samo e Priene, per indicarne solo alcuni, erano impegnati in continue controversie di confine che avvelenavano i loro rapporti. Stati più vasti come Argo e Tebe cercavano di sottomettere o inglobare vicini più piccoli – Cleone, Sicione o Epidauro nel caso di Argo; Platea, Tespi o Tanagra nel caso di Tebe –, provocando frequenti ostilità. E grandi stati come Sparta e Argo, Atene e Tebe, lottavano per conquistare rispettivamente il predominio nel Peloponneso e nella Grecia centrale, determinando secoli di scontri.
Come i singoli individui, gli stati greci erano impegnati nella costante lotta per eccellere e il risultato si basava sul potere, sulla ricchezza e soprattutto sulla porzione di territorio e sul numero di insediamenti che uno stato controllava. A causa della continua guerra fra stati, il criterio di giudizio omerico era sempre in primo piano nella vita dei greci e le virtù militari rimanevano le più importanti nel loro pensiero etico. Per quanto devastante potesse essere, e spesso lo era, questa guerra per il predominio trasformava i greci in combattenti agguerriti e fermamente decisi a lottare per l’indipendenza propria e delle loro rispettive comunità. In tutta la storia classica, i greci mal sopportarono di essere sottomessi ad altri e soprattutto di dover pagare tasse o tributi ad altri, ritenendo le proprie risorse solo poco più che adeguate.
Quando l’Impero persiano si affermò a metà del VI secolo a.C. e iniziò a usurpare le loro terre e a tentare di sottometterli, i greci avevano alle spalle più di centocinquant’anni di guerre intestine che li avevano abituati alle durezze e ai pericoli della battaglia e che avevano insegnato loro un sistema militare molto efficiente. D’altro canto, gli odi reciproci dei greci erano una debolezza che i persiani potevano e tentarono di sfruttare, adottando la consueta strategia del divide et impera. Voglio sottolineare ancora una volta come il sistema omerico di valutazione, la società competitiva e marziale e i valori che ne derivano fossero al tempo stesso una fonte di forza e di debolezza per i greci e non era affatto chiaro quale dei due aspetti avrebbe prevalso.

La lezione del Vicino Oriente

I greci, che alla fine dovettero resistere alla pressione persiana, pur essendo ancora guidati da Omero nel loro modo di pensare e nei loro valori, avevano alle spalle duecento anni di ulteriore sviluppo dai tempi del poeta. Durante questi due secoli avevano esplorato e appreso molto dalle altre culture e dalle altre terre del Mediterraneo e del Vicino Oriente, avevano creato strutture di città-stato perfettamente organizzate e coese entro cui un ampio segmento dei cittadini condivideva i diritti politici, avevano sviluppato una cultura propria che li faceva sentire un popolo speciale e avevano messo a punto un sistema militare che privilegiava la disciplina collettiva, la condivisione del pericolo e una formazione basata su migliaia di uomini in armatura pesante, decisi a resistere e a combattere.
Al tempo di Omero, circa trecento anni dopo il crollo della grande civiltà ellenica dell’età del bronzo – la civiltà micenea –, la Grecia era da lungo tempo una terra impoverita e sottopopolata, tagliata quasi completamente fuori dal contatto con le terre e i popoli circostanti. Gli studiosi moderni definiscono spesso questi trecento anni, dal 1050 al 750 a.C. circa, i «secoli bui» della Grecia. Nel 750 a.C., però, erano ormai in atto importanti mutamenti che avrebbero trasformato la Grecia e i greci nei duecentocinquant’anni successivi.
Per cominciare, nell’VIII secolo a.C. la popolazione era in costante aumento; di fatto, cresceva a un ritmo che si può quasi definire un’esplosione demografica. L’indagine archeologica ha rivelato che il numero d’insediamenti stabili in Grecia cresceva continuamente e a grandi balzi durante l’VIII e il VII secolo a.C., e se ne estendevano anche le dimensioni medie. Chiaramente, nuovi e più vasti insediamenti venivano creati per ospitare una popolazione in continuo aumento. Tuttavia, già dal 750 a.C. questo fenomeno iniziò a creare un problema nel territorio ristretto della Grecia, con le sue limitate risorse di cibo. Perciò, da quell’anno in poi, i greci iniziarono quello che gli storici definiscono un «movimento di colonizzazione». Lasciarono a gruppi le comunità di origine per avventurarsi a bordo di navi nel Mediterraneo, alla ricerca di nuove terre dove stabilirsi. Fondarono così centinaia di nuove comunità: nel Mediterraneo occidentale, tutto intorno alla costa orientale e meridionale della Sicilia, lungo la costa meridionale e quella occidentale dell’Italia e lungo la costa meridionale della Francia; nel Mediterraneo orientale, nella regione chiamata Cirenaica (da Cirene, la prima antica colonia greca), corrispondente all’odierna Libia, e lungo la costa settentrionale dell’Egeo; al di là del bacino del Mediterraneo, tutto intorno alle coste del Mar Nero e i suoi approdi. Il mondo greco venne enormemente esteso e arricchito da questa spinta colonizzatrice e decine di migliaia, probabilmente centinaia di migliaia, di greci trovarono una nuova patria fuori dalla terra natale.
Tuttavia, gli insediamenti nella madrepatria continuarono ad aumentare in numero e dimensioni, segno che l’incremento della popolazione superava l’enorme movimento emigratorio verso le nuove colonie. Possiamo chiederci come venisse alimentata questa continua crescita demografica. Possiamo chiederci anche come i greci dei «secoli bui», impoveriti e introversi, avessero acquisito nel 750 a.C. le conoscenze e le doti marinare necessarie per trovare nuove terre oltremare dove stabilirsi e trasferire un gran numero di coloni. La risposta a entrambe le domande è la stessa: vi riuscirono grazie alla loro volontà e capacità di apprendere dai vicini più progrediti, a est e a sud, e di svilupparsi sul piano culturale, sociale ed economico sfruttando quello che avevano appreso. La Grecia si trovava al margine delle grandi e antiche civiltà del Vicino e Medio Oriente: gli egizi, i babilonesi e gli assiri, i popoli della Siria e della Palestina. Per secoli i greci erano stati quasi completamente tagliati fuori da quelle civiltà, ma durante il IX e VIII secolo a.C. le navi mercantili salpate dalle città dei fenici – Tiro e Sidone, Biblo e Berytos (Beirut) nell’odierno Libano – esploravano il Mediterraneo occidentale e stabilivano nuove rotte e avamposti commerciali fino alla Spagna e all’Africa nordoccidentale, allo stretto di Gibilterra e anche oltre, nell’Atlantico. Talvolta le navi fenicie si fermavano lungo le coste della Grecia per rifornirsi di viveri e acquistare i prodotti locali in eccedenza che i greci potevano offrire, per quanto pochi e insignificanti fossero all’inizio.
I greci erano impressionati dal sapere e dalla ricchezza dei fenici, come si può dedurre dai frequenti riferimenti di Omero ai loro mercanti; e in breve tempo gli esploratori impararono la lezione, costruendo navi, solcando le acque dell’Egeo e del Mediterraneo e seguendo le rotte commerciali dei fenici, a est e a ovest. Così, a occidente, i greci trovarono le terre della Sicilia e della Francia meridionale, relativamente «non civilizzate», sottopopolate ma ricche di risorse, e decisero d’intraprendere la colonizzazione di quelle coste, come abbiamo visto. Cosa forse ancora più importante, seguendo i fenici sulla via del ritorno ai loro porti di provenienza nel Mediterraneo orientale, per la prima volta da secoli i greci si trovarono a diretto contatto con le culture più avanzate dell’Egitto e dell’Asia occidentale. Il risultato fu una straordinaria fioritura della civiltà e della cultura greca. Essi attinsero avidamente alle antiche civiltà dell’oriente, le adattarono e le migliorarono, creando così la loro straordinaria cultura.
Una delle prime cose che i greci adottarono fu il sistema di scrittura dei fenici. Dalla fine dell’età del bronzo in Grecia non esisteva alcun sistema scrittorio e i fenici, estremamente civilizzati, annotavano le informazioni tracciando particolari segni su fogli di papiro o su tavolette d’argilla o di legno ricoperte di cera.
Il sistema dei fenici era limitato alle sole consonanti: non esistevano simboli per le vocali. Quindi, un documento scritto era composto soltanto da serie di consonanti, una specie di espediente mnemonico in cui il lettore doveva inserire, a memoria o per deduzione, le giuste vocali per formare parole complete che poteva pronunciare. Quando i greci appresero questo sistema di scrittura e tentarono di adattarlo alla loro lingua, scoprirono che certi simboli della scrittura fenicia stavano a indicare consonanti non usate in greco: ebbero allora l’idea di usare quei simboli per rappresentare, invece, le vocali. Fu creato così l’alfabeto greco, il primo vero sistema di scrittura alfabetico del mondo, nel senso che l’intera gamma di suoni di una lingua veniva trascritta e, quindi, poteva essere pronunciata leggendo il testo. L’importanza di questo adattamento del sistema di scrittura fenicio non sarà mai sottolineata abbastanza: l’alfabeto greco composto da ventiquattro a trenta lettere (c’erano varie versioni nei primi secoli) era così semplice da imparare che consentì per la prima volta una vasta diffusione dell’alfabetismo. Tutti i moderni alfabeti occidentali, il latino e il cirillico al pari del moderno alfabeto greco, discendono direttamente da quello antico creato intorno all’800 a.C.
Non adottare semplicemente il sistema fenicio, ma modificarlo e perfezionarlo è esemplificativo del modo in cui i greci appresero dalle culture orientali avanzate durante la fase della cosiddetta «orientalizzazione» della loro storia, fra il 750 e il 600 a.C. circa. Architettura monumentale in pietra, scultura, metallurgia, pittura, agricoltura, navigazione, costruzione navale, religione: in tutte queste e in altre discipline, i greci presero in prestito idee, tecniche, metodi, elementi decorativi e conoscenze dall’Egitto e dal Vicino Oriente e in ciascun caso svilupparono e migliorarono quello che avevano imparato, facendolo proprio. Senza dubbio, questa smania di perfezionamento derivava almeno in parte dalla natura intensamente competitiva della cultura greca già descritta: come individui e come comunità i greci erano spinti a essere migliori degli altri, a eccellere, e questa aspirazione all’eccellenza generava un continuo bisogno di sperimentare cose nuove, adattarle e migliorarle. Come ha osservato l’archeologo e storico Anthony Snodgrass, questo periodo della storia greca era l’«età della sperimentazione» e fu appunto la costante sperimentazione di idee e metodi nuovi a creare la società e la cultura della Grecia classica.
Gli storici hanno avuto la tendenza, abbastanza comprensibile, da certi punti di vista, a focalizzare sulle materie culturali gran parte dell’attenzione rivolta a questa fase di apprendimento dalle civiltà progredite del Vicino Oriente: l’architettura, la scultura e le arti decorative greche e lo sviluppo che ebbero grazie all’impatto di quei modelli. Altrettanto, se non più importante fu, tuttavia, lo sviluppo economico della Grecia a contatto con l’Oriente. Seguendo le rotte commerciali dei fenici verso ovest, i greci aprirono un nuovo mondo di possibilità economiche ai loro mercanti grazie alle abbondanti risorse naturali disponibili nella zona del Mediterraneo occidentale, le più importanti delle quali erano sicuramente il frumento, il legname e i metalli.
Colonizzando vaste aree del Mediterraneo occidentale, i greci si garantirono l’accesso a queste risorse e svilupparono rotte commerciali sicure, mettendosi in competizione e tagliando fuori in una certa misura i mediatori fenici attraverso i quali avevano potuto accedere inizialmente a queste mercanzie. In effetti, per competere efficacemente con i greci, anche i fenici...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Mappe
  3. Alberi genealogici
  4. Prefazione
  5. Introduzione
  6. 1. Gli antichi greci nel VII e VI secolo a.C.
  7. 2. L’ascesa dell’Impero persiano
  8. 3. La città-stato ateniese tra il VI e V secolo a.C.
  9. 4. L’aggravarsi del conflitto fra persiani e greci
  10. 5. La battaglia di Maratona
  11. 6. Le conseguenze della battaglia di Maratona
  12. Cronologia
  13. Glossario
  14. Letture ulteriori
  15. Bibliografia
  16. Ringraziamenti
  17. Immagini
Stili delle citazioni per Maratona. Il giorno in cui Atene sconfisse l'Impero

APA 6 Citation

Billows, R. (2013). Maratona. Il giorno in cui Atene sconfisse l’Impero ([edition unavailable]). Il Saggiatore. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3244820/maratona-il-giorno-in-cui-atene-sconfisse-limpero-pdf (Original work published 2013)

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Billows, Richard. (2013) 2013. Maratona. Il Giorno in Cui Atene Sconfisse l’Impero. [Edition unavailable]. Il Saggiatore. https://www.perlego.com/book/3244820/maratona-il-giorno-in-cui-atene-sconfisse-limpero-pdf.

Harvard Citation

Billows, R. (2013) Maratona. Il giorno in cui Atene sconfisse l’Impero. [edition unavailable]. Il Saggiatore. Available at: https://www.perlego.com/book/3244820/maratona-il-giorno-in-cui-atene-sconfisse-limpero-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Billows, Richard. Maratona. Il Giorno in Cui Atene Sconfisse l’Impero. [edition unavailable]. Il Saggiatore, 2013. Web. 15 Oct. 2022.